In qualsiasi ambito della vita, quando le situazioni si complicano, occorre innanzitutto fare ordine, puntando alla semplificazione. Così come ogni buon manager sa che il sistema di delega è la soluzione a cui deve ricorrere per snellire i propri carichi di lavoro, un CIO può guardare all’iperconvergenza come la via maestra per dominare uno scenario digitale che ribolle e che richiede prestazioni e infrastrutture sempre più sofisticate.
Di hyper converged infrastructure (HCI) si parla da più di un decennio, ma è solo da pochi anni che la tecnologia sta registrando crescite sostenute. Le cause di questo cambio di marcia sono diverse: il lockdown con il suo carico di criticità economiche e il conseguente avvento dello smart working; l’incremento esponenziale degli attacchi informatici; l’esigenza di far fronte allo shortage di figure IT specializzate e, non ultima, la trasformazione digitale, chiesta a imprese e PA per sostenere la ripresa del Paese.
Negli ultimi 3-4 anni, utilizzando il criterio dell’addizione, i team IT hanno cercato di far fronte alle emergenze per quanto possibile, aggiungendo soluzioni adattate al contesto infrastrutturale già presente (data center e architetture informatiche obsoleti, potenza di calcolo non più sufficiente, cybersecurity a livelli minimi). Si è creato, così, un patchwork di componenti e software sul quale oggi conviene fare una riflessione: la complessità rappresenta un ostacolo e un costo, pertanto occorre creare un framework IT innovativo.
Cresce la richiesta di HCI per governare la complessità e abbattere i costi
In molti, nel mondo, ritengono che un sistema iperconvergente sia il framework più adeguato ai tempi moderni, perché perfettamente in grado di supportare al meglio il cambiamento e la trasformazione digitale. Difatti, secondo le ricerche sul tema, la domanda è in forte crescita: ReportLinker, per esempio, ritiene che il mercato globale delle infrastrutture iperconvergenti raggiungerà i 38,58 miliardi di dollari entro il 2027, avendo registrato nel 2021 un dato pari a 8,98 miliardi di dollari e un tasso di crescita annuale composto (CAGR) del 27,5%. Anche lo studio di Fortune Business Insight è giunta a numeri simili, anche se più contenuti: 32,19 miliardi di dollari nel 2028, un CAGR del 24,9%, mentre Markets&Markets, annuncia un giro d’affari di 27,1 miliardi di dollari nel 2025, con tasso di crescita annuo del 28,1%.
In Europa, la tecnologia dell’iperconvergenza convince soprattutto i tedeschi e gli inglesi (fonte ReportLinker): Aziende e PA italiani stanno scoprendo e adottando la soluzione più lentamente, ma l’interesse e la richiesta di implementazioni non mancano. A confermarlo è Marco Del Plato, Systems Engineer Manager di Nutanix Italia, filiale della multinazionale pioniera e leader del settore: “Le aziende chiedono soluzioni agili e sicure, che permettano di rispondere alle esigenze di business nel più breve tempo possibile. Il periodo di incertezza macroeconomica, che entra nelle discussioni quotidiane delle nostre famiglie, non lascia certo indifferenti gli imprenditori e gli amministratori, che devono pianificare le richieste di servizi per i prossimi anni”.
Il valore dell’Hyperconverged infrastructure in tre parole: efficienza, agilità e risparmio economico
A causa del bisogno di maggiore semplicità, agilità e implementazioni ibride, le aziende stanno decidendo di abbandonare le tradizionali soluzioni di server, storage e rete a favore dell’infrastruttura iperconvergente (HCI), che, in breve, riduce le complessità relative al data center e aumenta la scalabilità, permettendo anche un forte riduzione dei costi.
L’HCI può essere vista come una combinazione di vari elementi (elaborazione, archiviazione, e rete), che sono virtualizzati per fornire un unico sistema per gli utenti. In pratica, l’infrastruttura è composta da elaborazione virtualizzata (hypervisor), storage software-defined e rete virtualizzata.
Va detto che un gran numero di organizzazioni si sta muovendo verso una strategia cloud-first e che l’HCI viene richiesto proprio per mantenere uno stretto controllo sulle risorse IT.
“Il concetto di virtualizzazione dello storage conduce, necessariamente, a parlare di iperconvergenza. Questa evoluzione della tecnologia- spiega Del Plato – permette di garantire la semplicità di fruizione delle risorse, la possibilità di scalare in modo semplice e la libertà di scelta di ogni componente”.
In sostanza, è possibile avere una soluzione che rende invisibili le complessità, ma allo stesso tempo apre al mondo applicativo, dall’end user computing, al network, passando per la gestione dei database fino allo unified storage. L’evoluzione naturale è garantire la stessa esperienza di utilizzo nel proprio datacenter o nel cloud pubblico, avendo quindi un approccio ibrido per utilizzare al meglio le risorse a disposizione.
Un caso d’uso: l’Università di Catania e la scelta dell’iperconvergenza
Cosa significa concretamente rinnovare e potenziare l’infrastruttura esistente, passando a un sistema iperconvergente? Per comprendere meglio il tema e verificare empiricamente la promessa delle HCI, ZeroUnoWeb ha interpellato l’Università di Catania (UniCT) e Nutanix, all’indomani della rivoluzione delle architetture IT dell’Ateneo.
Da qualche anno, UniCT sentiva il bisogno di rinnovare totalmente l’infrastruttura data center, migliorandone potenza e resilienza. L’infrastruttura in uso era stata impostata tra il 2004 e il 2010 e, nel tempo, erano stati fatti alcuni aggiornamenti delle componenti, in particolare, rispetto a processori, memoria e dischi. I problemi da affrontare riguardavano l’obsolescenza dell’hardware, che non garantiva più le performance in termini di potenza di calcolo e spazio di storage.
“La scelta della iperconvergenza è scaturita dalla proposta dei principali vendor/player del settore” racconta Gerardo Maiorano, IT Manager di Università di Catania. “Tutti indistintamente delineavano soluzioni iperconvergenti con modalità implementative diverse che, almeno sulla carta, rispondevano alle nostre esigenze. In più, si configuravano sia la possibilità di una gestione centralizzata dell’infrastruttura, sia la presenza di un unico partner incaricato di fornire il supporto e la manutenzione dell’hardware e del software”.
L’Università di Catania ha scelto la soluzione Nutanix per lo use-case con il quale l’azienda è nata, ovvero la virtualizzazione dei desktop. Ricca IT, partner Nutanix, ha accompagnato l’implementazione del progetto.
Business continuity più semplice da garantire
“Il progetto creato per UniCT consta di una soluzione basata su un’architettura TDI (Tailored Data Integration) con hardware Lenovo e soluzioni software Nutanix, soluzione che ha dato risposta ai bisogni di scalabilità, gestione del Total Cost of Ownership, resilienza e disponibilità del servizio”, argomenta Del Plato di Nutanix.
“Oggi, con la Metro Availability di Nutanix, possiamo vantare una sincronizzazione in tempo reale e un’attivazione completamente automatizzata in caso di failure del sito di produzione del sito secondario. In questo modo abbiamo prontamente realizzato l’obiettivo della Business Continuity”, fa notare Maiorano.
Grazie alla HCI, UniCT pensa già agli sviluppi futuri: espansioni nel dimensionamento dell’infrastruttura stessa, ulteriori nodi potenziati con GPU finalizzati al VDI e modalità di sfruttamento della tecnologia dei container per realizzare microservizi, da usare come componenti riutilizzabili nelle applicazioni.
C’è un’ulteriore peculiarità che fa dell’iperconvergenza una tecnologia adatta alle sfide della transizione al digitale: la semplificazione di azioni complesse per gli operatori IT.
La piattaforma di iperconvergenza di Nutanix, per esempio, mette a disposizione un processo di standardizzazione che spazia dal data-center fino al cloud. “L’adozione della piattaforma permette, di fatto, di consolidare le competenze e di avere una curva di apprendimento più rapida nella gestione delle infrastrutture”, chiosa Marco Del Plato.
In questo modo è possibile allentare il nodo delle competenze IT interne alle amministrazioni pubbliche e alle aziende, aspetto tutt’altro che trascurabile.