È ormai da anni che Poste italiane ha intrapreso una propria strada di trasformazione digitale.
Uno degli ultimi progetti ha avuto come obiettivo l’automazione dei processi di backoffice, con la creazione di una struttura di consolidamento di tutte le operation del gruppo, cioè le attività di backoffice e di assistenza ai clienti (customer operation). Un progetto che ha coinvolto circa 5500 persone, 85 siti (luoghi fisici presenti sul territorio), 6 linee di business…Insomma un progetto di cui è facile immaginare il potenziale di ottimizzazione e di trasformazione operativa e culturale che porta con sé.
Abbiamo parlato di questa “transformation” con Luca Verducci, Head of Operations Governance & Transformation e Giovanni Bertoli Palomba, Responsabile Servizi di Back Office di Poste italiane.
ZeroUno: Quali sono state le motivazioni primarie e gli highlights che hanno guidato questo consolidamento e il relativo importante percorso di trasformazione?
Verducci: Era ormai necessario migliorare tanti aspetti a livello di servizio erogato e una customer satisfaction da potenziare ulteriormente. Tutto ciò doveva passare da elementi di reingegnerizzazione, digitalizzazione, innovazione di processo con un’automazione dei processi verticali e una razionalizzazione del lavoro delle persone distribuite negli 85 siti sul territorio. L’obiettivo era creare a livello di gruppo un One Contact Center e un One Backoffice (figura 1), di fatto un’unica struttura responsabile delle attività di backoffice e customer service. Il punto di arrivo era chiaro: a fronte di una richiesta di un cliente non si dovevano avere dubbi su chi ne fosse responsabile; quando c’era una lavorazione su specifiche pratiche, si doveva avere la certezza di chi fosse deputato a garantire la lavorazione e l’attivazione del servizio per quel cliente e su quella pratica. Ci siamo anche posti l’obiettivo di sfruttare quella “miniera d’oro” rappresentata dalle chiamate dei clienti alla nostra assistenza per capire le opportunità di miglioramento dei processi di servizio al cliente che potevano esserci.
Bertoli Palomba: In Poste italiane abbiamo sempre vissuto processi di reingegnerizzazione e investimenti tecnologici con una vista non sempre trasversale. E così è stato anche per le attività di backoffice, creando nel tempo una specializzazione delle singole persone elevatissima. Quindi il paradosso che vivevo come responsabile di backoffice, era avere a disposizione molte persone, però su determinate attività, quelle che erano in grado di svolgere quella specifica attività erano poche. L’idea quindi è partita proprio da qui: riuscire, attraverso una piattaforma come Appian, a rivedere i processi in un’ottica trasversale, semplificando e quindi despecializzando le risorse che lavoravano solo su specifiche attività.
ZeroUno: Questo passaggio da una verticalità a una trasversalità di competenze è di fatto un percorso obbligato per un miglioramento del servizio al cliente finale?
Bertoli Palomba: In prima battuta, la despecializzazione è stata concepita per migliorare l’efficienza dei nostri processi interni in un’ottica di gestione integrata e trasversale: una persona che non ha mai visto un conto corrente è oggi guidata da un workflow, da una check list di movimenti e controlli che deve necessariamente compiere per arrivare ad aprire un conto. Prima questa attività era impossibile da fare perché l’operatore doveva conoscere in dettaglio le transazioni 3270, le codifiche con le quali interfacciarsi con i vari sistemi legacy e quindi un percorso di formazione importante, lungo e costoso. Il passaggio verso il cliente finale è uno step successivo: poiché stiamo andando sempre di più verso logiche di smart working in cui è possibile bypassare la presenza fisica di un operatore allo sportello riuscendo a vendere prodotti e servizi al cliente finale anche lavorando da casa, il backoffice sarà sempre di più, con il contact center, il vero front-end del cliente domani.
ZeroUno: Quindi uno spazio sempre maggiore per automazione e tecnologie intelligenti…Che ruolo sta giocando in questa trasformazione una piattaforma low code come Appian?
Bertoli Palomba: Sempre di più con una vendita e un’assistenza on line, avremo persone che saranno supportate nel loro lavoro da sistemi di AI e robot RPA. Però dobbiamo anche riuscire ad educare il nostro operatore di backoffice a vedere il cliente vicino a lui, a parlargli correttamente e con competenza, supportandolo mentre sta cercando di fare un’operazione per conto proprio da casa. Questi sono però step da completare: prima stiamo lavorando su un cambiamento culturale dell’operatore di backoffice che non deve più avere paura di interfacciarsi con qualunque tipo di operatività gli possa capitare. Pur mantenendo la specializzazione verticale dei sistemi, guai a mettere in discussione i legacy, appoggiare sopra questi la platform Appian ci consente di semplificare al massimo l’attività sottostante, che prima necessitava invece dell’esperto massimo di ogni singolo processo.
Verducci: Prendiamo ad esempio il processo “Successioni”, per noi molto complesso perché coinvolge molti più prodotti rispetto a una banca. A fine 2017 era solo cartaceo. Dagli uffici postali, che raccoglievano la documentazione presentata dall’erede, venivano inviate queste comunicazioni cartacee verso i backoffice, dove queste pratiche si impilavano sulla scrivania dei vari operatori. Un primo passo, quindi, con Appian, ha portato la comunicazione tra ufficio postale e backoffice ad essere totalmente in digitale: gli uffici postali ora scannerizzano la documentazione e la inseriscono a sistema, i nostri operatori lavorano su Appian e come passo successivo, i clienti, anziché andare all’ufficio postale, potranno inserire la documentazione necessaria per la dichiarazione di credito direttamente on line. Sarà sempre più così su tutti i prodotti e per tutti i processi.
ZeroUno: Quali sono stati i criteri di scelta tecnologica per concretizzare un progetto di questa complessità?
Verducci: L’idea è stata quella di realizzare una struttura molto lean: (figura 2) due grandi fabbriche e due enabler per tutte le 5500 risorse. C’è stata poi una inevitabile razionalizzazione dei siti sul territorio (figura 3): 85 location, in cui ognuna rispondeva direttamente al centro, con dimensioni molto variabili. Siamo passati a una situazione in cui siti primari governano siti più piccoli, introducendo al contempo nuove managerialità ed energie per sostenere i processi di trasformazione.
Due principali dorsali evolutive, quindi, BackOffice e Customer Care (figura 4): sul primo, grande utilizzo di Appian e soluzioni RPA, guerra alla carta per ridurre la mole di documenti cartacei in entrata ogni anno nel backoffice. È evidente l’opportunità in termini di efficienza e tempi di percorrenza verso l’utente finale. Il Customer Care, invece, veniva da una situazione più avanzata, però l’idea era di un’ulteriore evoluzione ricorrendo a tecnologie tipo AI voicebot, chatbot, per automatizzare molte delle chiamate standard e di portarle su strumenti di self per liberare tempo utile e a maggior valore nella gestione del cliente. Introducendo inoltre tecnologie di automazione e gestione sempre più smart. A collante dei due backbones, la piattaforma voice of the customer, per capire opportunità di miglioramento dei nostri processi e dei processi esterni alle operation (di front end, commerciali, amministrativi, ecc.) e tecnologie di process reengineering, perché prima di utilizzare bot RPA devi avere processi digitalizzati, altrimenti la piattaforma gira a vuoto.
ZeroUno: Cosa significa, guardando ai tradizionali modelli organizzativi e di competenze tipici della parte IT di Poste italiane, lavorare su una piattaforma come Appian? Quali i punti delicati in termini di cambiamento delle competenze, approcci operativi e culturali, collaborazione?
Verducci: L’adozione di Appian è stata condotta con un vero progetto Agile, riuscendo ad avere servizi con tempi molto più ridotti rispetto a prima proprio grazie al passaggio da processi waterfall a criteri di maggiore collaborazione. Non è stato tutto semplice: per i partner che, data la complessità di Poste, si sono trovati ad affrontare sfide nuove e difficili; e per tutti noi, risorse IT e di processo, che abbiamo dovuto imparare un nuovo modo di lavorare e capire bene come ottenere il meglio da questa piattaforma. Ci abbiamo messo 6-7 mesi per avere i primi risultati con un processo di learning molto importante: i legacy sono l’alimentazione principale con cui la piattaforma dialoga e non possono essere dimenticati; soprattutto la parte IT che lavora sui sistemi legacy e sul mainframe, che è continuamente sollecitato, devi averlo completamente a bordo.
Bertoli Palomba: Questa è stata la parte più critica. Riuscire a far dialogare le persone che stavano sviluppando il progetto su Appian con i responsabili dei legacy è stata la cosa più difficile. Inizialmente avevamo pensato di sfruttare al massimo la robotica per evitare di “disturbare” la parte legacy. È invece fondamentale che fin dalla fase di pianificazione, una soluzione come Appian parta dalla ricerca della messa a disposizione dei servizi da parte dei legacy.
Lo spirito con cui avevamo pensato ad Appian poggiava su un modello di interazione e collaborazione nello sviluppo del progetto che inizialmente non siamo riusciti rendere effettivo. Questo non ha permesso di mettere a disposizione una libreria che consentisse a chi doveva sviluppare la parte Appian di sapere se su determinate esigenze il servizio esistesse o meno. Se esiste, collego il servizio perché è la cosa più facile da mettere a disposizione di Appian e porta un risultato già certificato. Se invece al servizio mi sostituisco con l’RPA vuol dire che devo per forza passare da un processo di collaudo e di verifica veramente importante e alla lunga difficilmente sostenibile. Nella fase di pianificazione è quindi importantissimo rendere disponibili tutti i servizi che sono già stati sviluppati, perché lì ci sono già tutte le transazioni che normalmente in 3270 lavora il backoffice. Tengo però a dire che non abbiamo mai messo in discussione la bontà della tecnologia Appian, che, si è visto fin da subito, consentiva un disegno e una modifica semplice e veloce dei workflow.
ZeroUno: In genere sono proprio le distanze culturali e le organizzazioni rigide a rallentare lo sviluppo di progetti basati su tecnologie innovative, correndo il rischio che quest’ultime siano rigettate come corpi estranei…
Bertoli Palomba: Concordo. Non va poi dimenticato che per lavorare su queste piattaforme innovative servono figure professionali del tutto diverse da quelle che fanno parte del mondo tradizionale IT: persone con dimestichezza nel disegnare e interpretare il processo migliore da attivare, i passaggi utili da fare, dove posizionare i processi RPA, qual è la dimensione di transazioni che effettivamente l’RPA può gestire…Insomma competenze nuove.
Verducci: Ma il risultato finale, in termini di semplicità, è davvero significativo. Il front end con cui interagisce l’operatore (figura 5) intermedia il legacy sottostante che prima aveva interfacce molto specialistiche. Questa è l’unica strada per migliorare e semplificare l’attività dell’operatore sia in attività interne sia, soprattutto, verso l’utente finale.
ZeroUno: A fronte dei feed back di agilità e flessibilità che avete sperimentato, si può pensare a un’estensione dei modelli di sviluppo dell’IT in modalità low code e Agile?
Verducci: Ormai nell’IT molti dei nuovi servizi sono realizzati con un approccio collaborativo, Agile e con tecnologie open API, open platform, ecc.. L’IT di Poste italiane è completamente diversa dal passato, anche perché ormai gli obiettivi di delivery sono nell’ordine di pochi mesi, settimane a volte.
Bertoli Palomba: Quest’anno, proprio per l’emergenza Covid, molte delle iniziative governative attivate in tema di rimborsi, bonus e quant’altro, ci hanno visto parte in causa, e questi processi sono stati tutti messi a terra velocemente proprio grazie a nuove procedure e tecnologie. Senza l’aiuto della “scrivania digitale” creata con il front end grafico e a maschere di Appian, sarebbe stato un po’ più complicato su alcuni processi.
ZeroUno: In conclusione, quindi, tra lesson learned e benefici evidenti, quali sono le vostre sottolineature finali?
Verducci: Process reengineering e digitalizzazione sono la chiave di tutto. L’RPA non lavora sulla carta. Mettersi dalla prospettiva del cliente può sembrare uno slogan, ma è quello che davvero ti guida verso un ridisegno efficace ed efficiente dei processi. Poi bisogna avere coscienza che i gestori dei processi attuali possono darti mille motivi per non cambiare: superare questi muri è un passo importantissimo per poter andare avanti. Inoltre, i team di realizzazione, business, IT e system integrator, devono essere misti e tra loro molto coinvolti.
Bertoli Palomba: In aggiunta c’è il tema delle persone. Questi sono progetti che razionalizzano la forza lavoro. Stando attenti a non perdere importanti competenze, abbiamo quindi gestito una riduzione di risorse e in alcuni ambiti recuperando, il backlog. Con queste piattaforme flessibili cambia proprio il livello e la figura professionale di cui hai bisogno. Se Appian lo dai a una persona non coinvolta nel cambiamento, lo mette costantemente in discussione: non si fida, verifica sempre che il 3270 gli confermi quanto sta leggendo nell’interfaccia, ecc. Nella fase di trasformazione abbiamo cambiato mestiere a quasi 1000 persone delle 1800 che lavoravano sul mondo finanziario e su quei processi che volevamo aggiungere su Appian. I benefici, in termini di ritorno di efficienza e produttività, sono veramente importanti, ma la chiave di tutto questo non è tecnologica: questo è un progetto profondamente organizzativo e culturale.