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Prysmian: un IT solido e sicuro per concentrarsi sull’innovazione

Tra i primi tre gruppi industriali italiani, Prysmian è un’eccellenza del nostro paese con una spiccata propensione all’innovazione nei prodotti. Con un IT solido ed efficiente, al quale però “mancava qualcosa”, un “qualcosa” portato da Stefano Brandinali, Group CIO e da un anno anche Chief Digital Officer, introducendo un’”ambizione digitale” nei processi e nei prodotti e diffondendo il “digital plancton” in azienda

Pubblicato il 12 Set 2019

logo e immagine ufficiale di prysmian

È ai vertici della classifica dei gruppi industriali italiani con un fatturato intorno ai 12 miliardi di euro, quotata in Borsa dal 2007 (ma senza un azionista di maggioranza), con alle spalle 140 anni di storia. Stiamo parlando di Prysmian, società fondata nel 2005 dall’acquisizione delle attività Cavi e Sistemi Energia e Cavi e Sistemi Telematici di Pirelli.

Il Gruppo, che lo scorso anno ha acquisito l’americana General Cable, è oggi attivo in oltre 50 Paesi, con 112 stabilimenti produttivi, 25 centri di ricerca e sviluppo e 30.000 dipendenti, con una posizione di leadership nella produzione di cavi per la trasmissione di energia e per le telecomunicazioni che si fonda sulla spiccata propensione all’innovazione: “Abbiamo sviluppato tecnologie proprietarie molto avanzate. L’innovazione di prodotto rappresenta il nostro differenziale rispetto ai competitor”, afferma Stefano Brandinali, dal 2015 Group CIO e dall’aprile dello scorso anno anche Chief Digital Officer di Prysmian, trasmettendo tutto l’orgoglio di far parte di un Gruppo che rappresenta un’eccellenza del nostro paese dato che si tratta di una realtà completamente italiana, “con il cuore e il cervello italiani” ribadisce il top manager, ricordando che l’azienda è ad esempio l’unico produttore a fornire cavi sottomarini in grado di sopportare tensioni superiori ai 600 mila Volt e che è proprietaria di uno dei principali brevetti per la produzione di fibra ottica di qualità.

L’IT funzionava perfettamente, ma “manca qualcosa”

Quando Brandinali, una lunga esperienza internazionale in ruoli apicali dell’IT di realtà come Kraft, Bolton, Ferrero e WBA, viene chiamato in Prysmian si sente fare un discorso che molti dei CIO più innovativi oggi vorrebbero probabilmente sentire: “La mission che mi fu delineata era abbastanza generica. ‘Il nostro IT funziona bene, è forte e solido e ne siamo soddisfatti’, mi disse l’AD aggiungendo però subito: ‘Ma abbiamo la percezione che manchi qualcosa, non sappiamo cosa’. Il mio incarico era dunque di identificare questo qualcosa”.

Stefano Brandinali, Group CIO e Chief Digital Officer di Prysmian

Un compito sfidante che Brandinali ha vissuto facendo prima di tutto un assessment dei sistemi informativi aziendali: “Ed effettivamente ho trovato un’ottima situazione generale, con un IT confinato nella posizione di service provider. Svolgeva con la massima efficienza tutto quello che veniva richiesto, lavorando in un’ottica di minimizzazione dei costi. Per esempio, ho trovato un SAP unico per tutto il Gruppo, cosa non comune in realtà di queste dimensioni e con questa storia [nel 2011 l’azienda aveva compiuto un’altra importante acquisizione, Draka, dando vita a Prysmian Group ndr]. Non era però considerato nella sua potenzialità come una leva strategica di trasformazione, non era un IT proiettato verso l’innovazione”.

L’ambizione digitale di Prysmian

Dopo pochi mesi dall’ingresso in azienda, il CIO promuove la creazione di un Innovation Lab con lo scopo di “esplorare tecnologie digitali innovative che potessero rappresentare un’opportunità anche per un mondo industriale consolidato come il nostro”.

L’azienda si orienta quindi progressivamente verso quella che Brandinali definisce un’”ambizione digitale”, rafforzata con l’istituzione della nuova funzione di Chief Digital Officer: “Generalmente si parla di trasformazione digitale, ma in Prysmian sappiamo che la nostra azienda non verrà trasformata dal digitale siamo però certi che il digitale ci aiuterà a crescere meglio. Per questo parliamo di ambizione digitale più che di trasformazione”.

L’Innovation Lab è stato utilizzato come “grimaldello” per generare curiosità intorno alle tematiche digitali: “Abbiamo messo in cantiere tutta una serie di progetti che non erano neanche immaginabili a priori. Un esempio? L’utilizzo di droni per effettuare l’inventario di magazzino”.

L’obiettivo era esplorare le nuove tecnologie digitali per capire se e come potevano generare valore all’interno dei processi: “Il primo focus è stato quindi sull’efficientamento dei processi, con uno sguardo rivolto soprattutto verso l’interno”, spiega Brandinali, che prosegue: “Forse può apparire un po’ in controtendenza rispetto all’attuale dibattito sull’innovazione digitale, ma l’Innovation Lab ha avuto un mandato esplorativo partendo dalla tecnologia e non dal business; in realtà il business non aveva espresso questo bisogno, siamo partiti direttamente dalla tecnologia per capire se questa poteva stimolare un ‘pensiero laterale’ nel business”. Il business non avrà fatto esplicite richieste, ma ci sembra che questa visione sia quel “qualcosa” che l’AD aveva chiesto a Brandinali di trovare.

L’innovazione digitale nei processi

Il CIO/CDO illustra con due esempi l’utilizzo di tecnologie digitali innovative nei processi.

Il primo riguarda la messa in comunicazione delle 30.000 persone del Gruppo: “Lo scorso anno, dopo l’acquisizione di General Cable, è arrivato il momento del Day One in cui tutti i colleghi delle due società sono diventati parte di una stessa entità. Ovviamente ci sono stati cambiamenti nell’organigramma, inoltre i 10.000 colleghi provenienti da General Cable non sapevano, per esempio, quale fosse l’iter di approvazione di una nota spese o di altri processi del Gruppo. Abbiamo quindi implementato un chatbot utilizzando un sistema di linguaggio naturale, basato su un algoritmo di intelligenza artificiale, che consente di porre domande sull’organizzazione in modo semplice e immediato”.

Il secondo esempio riguarda l’adozione di strumenti di RPA (Robotic Process Automation) utilizzati per automatizzare i processi ripetitivi, come alcuni processi amministrativi ecc., ma anche qui l’”ambizione digitale” è andata oltre: “Ci siamo chiesti: ha senso investire in RPA per automatizzare processi a basso valore? O ha più senso utilizzare robot intelligenti nei processi ad alto valore aggiunto? Da questa domanda un po’ pleonastica è scaturito un progetto di implementazione di un robot intelligente in uno dei processi più critici per un’azienda come la nostra: l’acquisto dei metalli”.

In Prysmian esistono ovviamente buyer specializzati nell’acquisto del rame e dell’alluminio, materie prime che sono utilizzate come conduttori nei cavi, un’attività che si basa su anni di esperienza, ma anche sul fiuto e sull’intuizione. Avrebbe un robot potuto sostituire queste qualità tipicamente umane? Come avrebbe reagito il responsabile del procurement? Si sarebbe sentito minato nella sua competenza? “Abbiamo invece avuto la fortuna di trovare una persona che si è entusiasmata per il progetto. Che ha capito che se avesse insegnato queste cose alla macchina, questa avrebbe potuto agire, oltretutto 24 ore su 24, in sua vece lasciando a lui la possibilità di concentrarsi su aspetti particolari e complessi del processo. Così adesso i buyer dei metalli lavorano fianco a fianco con Amilcare [il nome che è stato dato al robot ndr] che segue direttamente alcune attività critiche di hedging a supporto del processo di acquisto, costantemente aggiornato dal know how del buyer umano”.

L’iniezione digitale nei prodotti

Gioca facile chi spinge sulla digitalizzazione di prodotti come le auto o i frigoriferi, le lavatrici ecc., ma quando Brandinali mi parla di sviluppo di oggetti con contenuto digitale per prodotti come quelli che realizza Prysmian, ossia cavi, rimango un po’ perplessa.

Eppure il team del CDO sta lavorando anche in questa direzione e nelle prossime settimane verrà presentato un oggetto innovativo per il settore: “Il prodotto si chiama Alesea, un device che verrà inserito nelle bobine sulle quali vengono avvolti i cavi che, grazie a una serie di sensori, indicherà la quantità di cavo utilizzata, quella disponibile e il posizionamento della bobina”, spiega Brandinali: “Una soluzione che è stata accolta con grande favore dai clienti ai quali l’abbiamo presentata perché per loro è fondamentale poter inventariare in tempo reale l’utilizzo del cavo; questo sistema, inoltre, consente di recuperare le bobine vuote che speso giacciono abbandonate nei cantieri”.

Il “digital plancton” che permea l’azienda

La terza area di investimento sul digitale riguarda lo sviluppo di una cultura digitale, quella che Brandinali chiama “digital plancton”: “Sono abbastanza scettico rispetto alle azioni tradizionali utilizzate per ‘diffondere la cultura digitale’ attraverso percorsi formativi: sono convinto che la differenza la fa non ciò che si dice in aula, ma quello che si vive nel quotidiano. Per questo abbiamo introdotto il concetto di digital plancton: come il plancton permea il mare e tutti se ne nutrono senza che lo si veda, allo stesso modo il digitale non si racconta, è efficace se lo si vive”.

Un esempio concreto? Il progetto di dotare tutte le 93 sale riunioni, già attrezzate con le più avanzate tecnologie di collaboration, con un’assistente virtuale come Alexa di Amazon in modo da accedere a tutte le funzionalità semplicemente attraverso comandi vocali: “Una user experience Digitale semplificata che non necessita di alcuna formazione”, spiega il CIO/CDO.

Ma l’innovazione si fa se l’IT funziona

Prysmian è quindi un grande gruppo industriale che produce e distribuisce prodotti tradizionali e apparentemente poco “digitalizzabili”, ma che esprime una forte “ambizione digitale” sia nei prodotti sia nei processi.

Tutto ciò è però possibile perché alle basi vi è un’organizzazione dei sistemi informativi orientata al business e un’IT solida, ma nel contempo flessibile e sicura.

L’arrivo di Brandinali ha portato cambiamenti anche nell’organizzazione che è oggi strutturata con un responsabile globale del service delivery e un team di “business partner”, funzionali o di business, che non si occupano solo di demand management ma seguono le attività di loro competenza (F&A, Operations, HR, R&D, Energy, Telecom, ecc.) end-to-end ossia da quando viene manifestata una determinata esigenza, allo sviluppo della soluzione fino al delivery: “Questa organizzazione ha responsabilizzato notevolmente queste figure”. Vi sono poi i responsabili per regione geografica (Regional CIO), un responsabile dell’Office of CIO e manager che si occupano di infrastruttura ed enterprise architecture ovviamente trasversali rispetto ai business partner.

L’integrazione dei sistemi General Cable

Una struttura specifica è stata dedicata a tutto il processo di integrazione dei sistemi General Cable, il cui IT era meno ottimizzato di quello Prysmian: “Solo per quanto riguarda l’ERP ci siamo trovati con 13 diverse soluzioni non integrate tra loro e quindi abbiamo dovuto procedere con un progetto di migrazione massiva verso SAP”, precisa Brandinali. Un altro aspetto, oltre a quello applicativo, è rappresentato dall’integrazione infrastrutturale: nel 2016 era stato siglato un contratto di outsourcing con IBM per cui l’azienda non aveva più un data center interno, con l’arrivo di General Cable si è dovuto affrontare il tema dell’integrazione, e progressivo spostamento delle attività presso l’outsourcer, dei 3 data center dell’ex azienda americana.

“È stato quindi necessario predisporre un programma con un focus specifico sull’integrazione, senza dimenticare la spinta propulsiva verso l’innovazione. Si tratta di un programma molto impegnativo; ovviamente la ‘macchina’ ha continuato a funzionare contemporaneamente al processo di integrazione quindi di volta in volta i project manager responsabili delle varie attività sono entrati nel programma per poi uscirne una volta terminata la parte di loro competenza”, spiega il CIO.

L’infrastruttura tecnologica e applicativa

Per quanto riguarda l’infrastruttura tecnologica, come abbiamo detto, il data center è in outsourcing con IBM, un outsourcing tradizionale sul quale il team di Brandinali sta lavorando per favorire una migrazione verso il cloud, mentre per la WAN (rete geografica) è stato recentemente lanciato un progetto di potenziamento ed ammodernamento su scala mondiale con Verizon.

Particolarmente delicati sono ovviamente i temi della gestione delle infrastrutture di rete e della security e protezione del dato (il tema della cybersecurity, per tradizione aziendale, non fa capo al team di Brandinali bensì alle HR) per i quali Prysmian ha siglato contratti di NOC (Network Operation Center) e SOC (Security Operation Center) con Dimension Data: “Contratti dei quali siamo decisamente soddisfatti. Per il resto ci avvaliamo della collaborazione di partner globali come SAP, Microsoft, IBM, Dassault Systemes, Salesforce, Service Now e Verizon”, conclude Brandinali.

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