Caso Utente

Trincea Covid-19: la risposta IT dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo

Intervista con Antonio Fumagalli, CIO e Ciso del presidio sanitario bergamasco per parlare di questa loro esperienza incredibile. Mesi vissuti pericolosamente con l’obiettivo di salvare vite umane. Tanta passione, solidarietà, senso di gruppo e necessità di mettersi in gioco con competenze nuove e resilienza. Evidenziando anche alcune opportunità che la pandemia, con tutto il suo carico di dolore, ha lasciato in eredità. Da non disperdere quando si sarà tornati ad una nuova normalità

Pubblicato il 11 Gen 2021

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Questa è una storia di passione. Di chi, attraverso il proprio lavoro, la tecnologia e la capacità di tirare fuori il meglio da sé e dalle persone con cui lavora, si è trovato in corsa contro il tempo per contribuire a salvare il maggior numero di vite umane.

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È la storia, nel territorio più colpito d’Italia, della “guerra di trincea”, nei durissimi mesi di inizio pandemia Covid-19, vissuta dall’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, della corsa a fronteggiare il virus, della necessità di ripensare un intero ospedale, costruirne uno nuovo in sette giorni, rivedere l’organizzazione del lavoro. Una storia di solidarietà tra colleghi, di persone sconosciute che volevano offrire aiuto, di fornitori che regalavano software, hardware, apparecchiature medicali e quant’altro. Un’esperienza che, inevitabilmente, ha lasciato un segno in chi l’ha vissuta.

Abbiamo incontrato Antonio Fumagalli, Chief Information Officer e Chief Information Security Officer presso l’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo, per parlare di questa avventura. In questo racconto lasciamo volutamente la descrizione dettagliata, talvolta anche concitata, che Fumagalli ha dato del lavoro svolto da lui e dal suo team durante il susseguirsi delle emergenze che in modo spesso drammatico si manifestavano.

foto Antonio Fumagalli
Antonio Fumagalli, Chief Information Officer e Chief Information Security Officer presso l’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo

Un’esperienza emozionante, indimenticabile e…si spera… unica

ZeroUno: Proviamo a ripercorrere le tappe principali di questa avventura. Un’esperienza che sarà senz’altro stata pesante ma che, proprio per l’eccezionalità degli eventi, avrà anche insegnato molto. Ci può raccontare la vostra battaglia, come team IT, in risposta ad un’emergenza di questo tipo?

Antonio Fumagalli: È stata senz’altro un’esperienza emozionante e indimenticabile, un evento che, lo speriamo fortemente, capita una sola volta nella vita. Partiamo dal 21 febbraio 2020, dall’Ospedale San Matteo di Pavia dove mi trovavo a svolgere il ruolo di commissario di concorso. Ero al bar con il direttore amministrativo il quale riceve una telefonata in cui gli annunciano che era appena arrivato il primo paziente Covid-19. Un paio di giorni dopo iniziano ad arrivare al nostro ospedale di Bergamo le prime persone ammalate di Covid. La gente incomincia a venire nel mio ufficio chiedendo nuovi computer perché si sta riconvertendo l’Ospedale in reparti Covid. Da una veloce verifica risultano disponibili 2 computer e 1 monitor. Stavamo aspettando da un mese e mezzo una fornitura di 20 computer che non era ancora arrivata. Anche come budget non siamo messi meglio: ci sono ancora circa 15 mila euro del 2019. Intanto, dei computer ordinati il 20 di gennaio non c’era ancora nemmeno l’ordine; tutto era ancora fermo mentre il Covid cominciava a correre.

ZeroUno: Cosa si fa in questi casi per non entrare in corto circuito? Quali le prime decisioni prese?

Fumagalli: Ho chiamato tre nostri fornitori bergamaschi che ben conoscevo perché compriamo regolarmente da loro i sistemi attraverso le gare ufficiali. Ho chiesto se avessero computer disponibili e che, a un prezzo ragionevole, li avrei comprati tutti. “Me li portate tutti subito – dico – e io domani trovo il modo di farvi avere l’ordine”. Insomma, nell’arco di due settimane, tra budget disponibile, fondi arrivati dalla Regione, abbiamo speso circa 200 mila euro in materiale informatico. Ricordo che arrivavano gli scatoloni fuori dall’ospedale perché nessuno poteva entrare. Scaricavamo gli scatoloni, ordinavo i computer via WhatsApp, me li portavano non appena li avevano disponibili e poi mandavamo l’ordine. In questo modo abbiamo contribuito ad aprire in pochi giorni 2 terapie intensive ricavate da magazzini inutilizzati. Vicino alle sale operatorie c’era poi una recovery room da 12 posti letto, adibita anch’essa a magazzino. Anche questa svuotata e attrezzata per la gestione pazienti Covid. Nel frattempo, l’ospedale veniva blindato, svuotato e nell’arco di due settimane completamente riconvertito in un ospedale da 500 posti letto Covid. Non c’era nessun altro qua dentro. Scotch rosso per terra in reparto in mezzo al corridoio: sul lato sinistro le camere con i pazienti Covid e tutte le persone vestite con le protezioni; sul lato destro c’eravamo io e il mio team che sistemavamo i macchinari, le stampanti e i computer. In terapia intensiva, entravi, facevi i collegamenti del caso, uscivi e aspettavi che qualcuno ti svestisse, ti disinfettasse e poi potevi riprendere altri lavori. Si vedevano passare solo medici, infermieri, qualche informatico e le barelle piene di sacchi neri…

Una corsa contro il tempo

ZeroUno: Qual è stato il vostro presidio tecnologico, al di là di garantire i collegamenti essenziali fra reti, computer ecc?

Fumagalli: Le macchine medicali, cioè respiratori, ventilatori, ecc, sono in carico all’ingegneria clinica; però la nostra terapia intensiva è la più grande d’Italia e tra le più grandi in Europa, completamente informatizzata da anni, per cui al letto e sui carrelli mobili abbiamo un centinaio di postazioni con la cartella clinica che gestiamo direttamente noi dell’IT. La cartella clinica elettronica della terapia intensiva è un software di General Electric dedicato. Lì operiamo noi con computer, carrelli, stampanti, wi-fi, poi colleghiamo direttamente al computer il respiratore, per avere in tempo reale in cartella, oltre ai parametri clinici, anche tutti i dati che scrivono le diverse persone coinvolte nell’attività di assistenza, nonché i dati che derivano direttamente dagli strumenti.

ZeroUno: Si capisce bene l’elemento critico dell’affidabilità dell’informatica e delle competenze necessarie in una situazione di stress test come questa…

Fumagalli: Assolutamente. E il tutto in corsa contro il tempo. Durante l’emergenza, solo in questo ospedale abbiamo realizzato oltre 100 letti di terapia intensiva. Per la cartella clinica della terapia intensiva avevamo 80 licenze: un po’ ce le hanno prestate, un po’ regalate, altre comprate…siamo arrivati a 120 licenze in pochissimo tempo. Di notte cambiavo i profili-utente e li facevo diventare profili da terapia intensiva: anestesisti, rianimatori, specialisti del cuore, del cervello…tanta gente si è trovata in pochissimo tempo a operare esclusivamente in terapia intensiva. Nel software avevamo caricato nefrologi, oncologi, cardiologi, diabetologi…qualsiasi medico e infermiere disponibile in questo ospedale era stato riclassificato nella terapia intensiva e si trovava così catapultato a lavorare in un posto nuovo, con computer nuovi, applicativi nuovi.

ZeroUno: Dev’essere stata una situazione di enorme pressione, non semplice da gestire…

Fumagalli: Nella sfortuna del momento, abbiamo avuto la fortuna che, come team informatico, tra protezioni estreme, rotazione di personale in presenza e in smart working, non siamo mai stati contagiati dal virus, perché altrimenti sarebbe stata una tragedia: ci richiedevano computer giorno e notte, come avremmo fatto? Se, come detto, medici e operatori sanitari sono stati dirottati alla terapia intensiva, tutte le altre figure professionali, ad esempio quelle dell’amministrazione, sono state spostate in smartworking. Erano anni che provavamo a organizzare il lavoro in smartworking e ci prendevano per pazzi. Perché? Perché non era possibile, non c’era il regolamento che lo consentisse, ecc. Arrivato il Covid, in due settimane erano tutti nei nostri uffici in fila per prendere il portatile e lavorare da casa con la Vpn. Comunque, siamo riusciti in pochi giorni a garantire una continuità operativa a circa 400 persone, che ancora oggi lavorano fuori dall’ospedale. Considerate che in un anno cambiamo in media circa un centinaio di computer: quest’anno ne abbiamo sostituiti, tra nuovi e ricambi, circa 700. Quello che abbiamo fatto in un anno, tipicamente lo realizziamo in 3 o 4 anni. Grazie a un team IT eccezionale sotto tutti i punti di vista.

Immagini dell’Ospedale ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo

In 7 giorni un nuovo ospedale da 140 posti letto

ZeroUno: Ma a un certo punto, ricordiamo tutti, l’emergenza era arrivata a un punto tale che l’ospedale non era più sufficiente a contenere i malati Covid. E sono arrivati gli Alpini…Com’è stata l’avventura della costruzione di un vero ospedale ex-novo?

Fumagalli: Il periodo critico, davvero difficile, è stato la prima quindicina di marzo.

La governance non era banale: utilizzavo cruscotti che con applicativi di business intelligence mi davano in tempo reale chi era entrato/uscito dall’ospedale, chi era positivo, i passaggi in terapia intensiva, i decessi. Monitoravamo anche la provenienza dei pazienti, tenendo sempre il tracking di tutto per organizzarci di conseguenza. Ma verso il 20 marzo, dopo aver riempito tutti i 500 letti normali, i 90 posti di terapia intensiva…insomma, non c’era più un buco, e rischiavamo di dover rifiutare i pazienti. Già da tempo si pensava all’ipotesi di un ospedale da campo, ma per vari motivi non si era mai partiti. Finalmente domenica 22 marzo abbiamo l’ok per partire. Avviso via WhatsApp il direttore generale che come IT eravamo pronti.

Immagini dell’ospedale da campo realizzato dall’Ospedale ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo insieme agli Alpini e altri volontari

Lunedì 23 marzo, alle 6 del mattino ci troviamo alla Fiera di Bergamo. C’erano muratori, carpentieri, il padiglione della Fiera vuoto, nudo a cemento, con solo i pozzetti dei cavi della corrente. Arrivano i camion di chi fa linoleum, di chi fa impianti elettrici, iniziano ad arrivare [e qui inevitabilmente Fumagalli si commuove – ndr] centinaia di camioncini di artigiani bergamaschi con le loro cassette degli attrezzi. Centinaia…alcuni abbiamo dovuto a malincuore rimandarli indietro.

Martedì 24 marzo, pavimento; il 25 le pareti alzate, poi il wi-fi, insomma…il 30 marzo era tutto finito, un ospedale completo da 140 posti letto. Il 30 tutti via, alpini, muratori, quelli dell’Atalanta, tutti lì gratis, dopo aver installato l’attrezzatura completa, tutta donata, compresa la Tac con le pareti piombate. Collegati computer, reti, macchine medicali e quant’altro, il 4 aprile era tutto funzionante, il 6 aperto ufficialmente.

Il tutto è proseguito per un mese e mezzo circa, fino a maggio, dopodiché abbiamo “spento” l’ospedale da campo perché le cose si sono calmate. È stato trasformato in 18 ambulatori per le vaccinazioni ai bambini. Ha funzionato tutta l’estate con questa modalità. A settembre…siamo ritornati dentro il Covid. Via ancora tutti gli ambulatori, via tutti i cartongessi montati, riacceso l’ospedale. Migliorandoci, nel frattempo, perché mentre prima c’erano soprattutto posti di semi-intensiva, adesso invece ci sono 48 posti di vera terapia intensiva, che possono salire a 72; abbiamo abilitato anche 30 posti di degenza che possono aumentare fino a 80; operano 24 medici e infermieri di Bergamo e altrettanti medici degli Spedali Civili di Brescia. Abbiamo poi requisito altre parti della Fiera e attrezzato il Centro Congressi in centro vaccinazioni, dove sono state erogate le vaccinazioni anti-influenzali, pronti oggi a partire con le vaccinazioni anti-Covid. Insomma, è ormai un vero e proprio presidio ospedaliero.

ZeroUno: Cosa vi ha lasciato questa esperienza considerando tutti gli elementi, sia di carattere professionale, umano, organizzativo, di ridisegno dei processi, la creazione di teamworking…

Fumagalli: Da un punto di vista informatico questi mesi ci hanno lasciato una grande opportunità: possiamo concretamente guardare a nuove applicazioni della medicina: telemedicina e tele-monitoraggio. Siamo partiti, per forza di cose, a metà aprile, con sistemi forniti gratuitamente da un nostro partner, a fare telemedicina: in questo momento abbiamo 20 unità operative. Abbiamo comprato decine di monitor, centinaia di webcam, abbiamo installato il tutto per consentire al medico di operare su due monitor: da un lato ha a disposizione la cartella clinica elettronica del paziente, dall’altro lo strumento di telemedicina con il paziente che viene visitato on line. Tutto a norma, sicurezza e protezione privacy garantite, applicazioni di software medicale protette, autenticazione a due fattori…tutto a posto. Ma da un punto di vista tecnologico non abbiamo usato niente di innovativo. Erano anni che se ne parlava ma non si riusciva a rimuovere i blocchi.

Ecco, questa urgenza è stato l’elemento chiave. Se avessimo dovuto realizzare queste innovazioni con un percorso standard di approvazione, gestione del cambiamento, formazione… penso che ci sarebbero voluti almeno 15 anni. Le abbiamo avviate in 3 mesi. Adesso la telemedicina è operativa: siamo partiti con due unità pilota e le stiamo estendendo a quelle specialità mediche dove ci sono evidenti vantaggi: pensiamo ad esempio alle malattie croniche…

Dovremo invece lavorare ancora per realizzare un sistema di telemonitoraggio, che siamo stati i primi a sperimentare qui in Lombardia. Con un cerotto sul corpo hai un trasmettitore bluetooth che manda una serie di dati al tuo telefono e li inoltra alla centrale operativa. Anche qui niente di tecnologicamente avanzato, ma è il futuro. Purtroppo non sono riuscito ancora a far passare l’importanza di questa soluzione, ma avevamo, nei mesi scorsi, troppi problemi per avere l’adeguata attenzione. Ci riproveremo…

Immagini dell’Ospedale ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo

La sensazione di far parte di un’unica grande squadra

ZeroUno: È immaginabile che questa esperienza abbia generato anche un forte avvicinamento professionale e umano tra i diversi soggetti, tra figure professionali, sia interne sia esterne all’ospedale. In tempi normali, questa osmosi, è difficile da realizzare

Fumagalli: Questo è stato certamente uno degli elementi più belli di questa avventura. Nei momenti critici, che tu fossi un informatico, un medico, un infermiere, uno specialista di terapia intensiva, uno che portava i tablet per far fare ai pazienti isolati nelle camere le videochiamate ai parenti, ti sentivi di appartenere davvero ad un’unica squadra unita. Tutto ciò che ha fatto l’Ospedale di Bergamo è stato possibile solo grazie a questa forte coesione, un’unione di intenti che in passato non c’è mai stata.

Questo spirito di gruppo interno ed esterno mi resterà sempre impresso ed è davvero commovente: un giorno arrivano nel mio ufficio due signore, con le mascherine e in mano due sacchetti che lasciano sul tavolo. C’erano dentro 4 tablet nuovi, comprati da questo gruppo di amiche, da destinare ai pazienti affinché potessero parlare con i loro familiari a casa. Non hanno nemmeno voluto dire i loro nomi, anche se in seguito sono poi riuscito a rintracciarle per ringraziarle tutte.

E i fornitori? Anche loro sono stati eccezionali. Salti mortali per aiutarci, al di là delle donazioni di ogni tipo. A partire dalle mascherine che inizialmente mancavano e che i fornitori ci facevano arrivare a nostra insaputa; nei primi mesi erano preziosissime. Ci hanno regalato cose, tempo, energie…sono stati encomiabili.

ZeroUno: Infine, a che punto siete adesso? Siete pronti ad una eventuale nuova ondata Covid? E per la campagna vaccinale, come vi siete organizzati?

Fumagalli: L’ospedale da campo ha una potenzialità di ampliamento che riusciamo ad attivare in tempi brevissimi e anche nella sede principale non ci sono problemi: oggi stiamo ospitando pazienti Covid provenienti principalmente da altre province. Sulle vaccinazioni abbiamo già sperimentato l’organizzazione per le vaccinazioni anti-influenzali. Abbiamo dedicato una ventina di luoghi, nell’ospedale da campo, in un altro nostro ospedale in val Brembana, altri presidi sul territorio, presso alcuni oratori dove tramite chatbot è possibile prenotare la tua vaccinazione. Abbiamo fatto sviluppare una serie di chatbot con Microsoft, che ce li ha forniti gratuitamente, e Reply, per gestire le vaccinazioni anti-influenzali, i prelievi e con gli stessi criteri gestiremo le vaccinazioni anti-Covid. La tecnologia c’è, i luoghi ci sono e sono attrezzati. I programmi per la gestione delle code ed anti-assembramento li abbiamo già testati, per cui…ancora una volta siamo qui, pronti.

Di seguito riportiamo alcuni link a filmati realizzati, ospedale da campo filmato 1 e ospedale da campo filmato 2, e al videolibro Covid che ripercorre le tappe di questa incredibile esperienza.

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