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Accessibilità e digitale: un valore, un vantaggio o un obbligo per le aziende?

A vent’anni dalla legge Stanca, qualcosa sta cambiando in tema di accessibilità digitale. Abbiamo maggiori tecnologie in supporto e la consapevolezza che l’accesso ai prodotti e ai servizi digitali non solo è essenziale, ma è vantaggioso per tutti. La normativa si evolve e si compatta a livello europeo. Ciò che manca è l’accessibilità in “testa”

Pubblicato il 30 Gen 2024

Immagine di sdecoret su Shutterstock

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono circa 1,3 miliardi le persone che ogni giorno si scontrano con barriere fisiche, culturali e digitali. Barriere che la tecnologia può smussare e in molti casi, superare facendo leva su un concetto che, a guardar bene, riguarda tutti: l’accessibilità. Creare prodotti o servizi digitali accessibili significa renderli fruibili da parte di tutte le persone indipendentemente dalle capacità fisiche, sensoriali e cognitive.

Sono trascorsi 20 anni da quando il 9 gennaio 2004, il Parlamento approvò, all’unanimità, la legge Stanca sull’accessibilità dei servizi informatici della pubblica amministrazione. Da allora, l’accesso a servizi digitali è garantito a molte più persone e lo stesso tema dell’accessibilità è diventato più importante.

Non solo è un diritto umano, costituzionale e risponde ai criteri sociali e di inclusione, ma riguarda molto da vicino il futuro delle nuove tecnologie. “Se pensiamo alla transizione digitale o a quello che sarà la nostra vita con l’intelligenza artificiale non possiamo escludere nessuno. La cittadinanza digitale è un diritto per tutti” così si esprime, oggi, l’ex Ministro Lucio Stanca durante l’evento organizzato dalla Fondazione Pensiero Solido in collaborazione con IWA (International Web Association) Italy in occasione dei vent’anni dalla legge di cui fu promotore.

Allora, molto era focalizzato sulle tecnologie assistive e si parlava specificatamente della pubblica amministrazione. Oggi, la normativa ha subito un’evoluzione che investe il mondo delle imprese e del privato. Il 2025, infatti, sarà l’anno in cui l’European Accessibility Act (EAA) prenderà la sua forma applicativa.

Dalla Legge Stanca all’Accessibility Act

La legge Stanca ha rappresentato un unicum per il nostro Paese. Siamo stati tra i primi in Europa a stabilire l’obbligo di “favorire e semplificare l’accesso degli utenti e, in particolare, delle persone con disabilità agli strumenti informatici” della pubblica amministrazione. Negli anni, la legge ha subito diversi aggiornamenti sulle verifiche e i requisiti tecnici di accessibilità ma i cambiamenti sostanziali sono arrivati in questi ultimi anni con l’attuazione dell’European Accessibility Act (EAA), ovvero la Direttiva UE 2019/882.

Con l’ultimo decreto di maggio 2022, il recepimento della Direttiva europea ha esteso l’obbligo e la dichiarazione di accessibilità ai prodotti e servizi digitali delle imprese private che nei tre anni precedenti avevano un fatturato superiore ai 500 milioni mentre l’obbligo di accessibilità per tutte le altre imprese partirà dal 28 giugno 2025. Restano escluse solo le microimprese e viene previsto un periodo di transizione per alcune particolari situazioni.

I nuovi standard interessano prodotti e servizi digitali come quelli bancari, del trasporto pubblico e di booking o ticketing, e-book, gli e-commerce, app, smartphone o più in generale i sistemi operativi. A partire dal 28 giugno 2025 saranno in tanti ad essere obbligati a immettere nel mercato o fornire prodotti e servizi definiti come percepibili, utilizzabili, comprensibili e solidi.

By default e by design: cosa significa essere accessibili

Tra i termini coniati per meglio descrivere come ripensare l’accessibilità dei prodotti o dei servizi digitali c’è il “by default”. Fare accessibilità by default come spiega Fabrizio Caccavello di IWA Italy e responsabile del progetto Webaccessibile.org, vuol dire: “Fare le cose con l’accessibilità in testa”. Questo significa due cose.

Prima di tutto, attingere a strumenti come possono essere framework, librerie che costituiscono una vera e propria cassetta degli attrezzi (in questi contesti la cultura open può fare la differenza). In secondo luogo, sviluppare le competenze professionali e trasversali in grado di scegliere, combinare e implementare quegli stessi strumenti e linee guida.

Un passo avanti è stato fatto inserendo tra le professionalità ICT normate (UNI 11621), la figura del Web Accessibility Expert. Questo non ha un ruolo univoco. Può essere un supporto allo sviluppo di interfacce, di applicazioni ma anche di contenuti digitali e deve intervenire fin da subito, nelle fasi progettuali e di implementazione oltre che nella verifica finale del prodotto o servizio attraverso test di accessibilità.

Il tema delle competenze resta, però, una partita aperta: affidarsi a profili certificati deve essere un criterio di qualità ma anche di tutela per le aziende. “Spesso si pensa che investire sull’accessibilità sia un costo. L’accessibilità è una forma di innovazione ed un modo per creare un team con competenze e conoscenze fatte da culture diverse che si incontrano” afferma Roberto Villa, Fondazione IBM. Lui stesso sottolinea come gli standard di accessibilità e la metodologia di design siano da sempre un segno distintivo in IBM da replicare per le tecnologie del futuro.

Le segnalazioni di accessibilità

L’accessibilità by default non va d’accordo con il controllo finale. Non viene considerata, anche davanti ad un obbligo normativo, un principio di sviluppo da applicare a prodotti o servizi digitali fin dalla loro origine. Eppure, ci sono strumenti e linee guida internazionali come le Web Content Accessibility Guidelines o WCAG recentemente aggiornate.

“Molte aziende identificano l’accessibilità con l’essere a norma. Ma l’accessibilità è anche una opportunità di business” spiega Simon Mastrangelo CEO di Ergoproject che si occupa di consulenza su progetti di accessibilità.

La normativa obbliga, insieme alla pubblicazione della dichiarazione di conformità, a gestire le segnalazioni degli utenti attraverso un meccanismo di feedback (al momento riguarda PA e grandi imprese). Questa andrebbe vista come opportunità e non come obbligo, perché significa avere un canale di dialogo con le persone per migliorare la qualità dei servizi.

L’accessibilità come valore aggiunto e di business

Non è difficile comprendere come il tema di accessibilità sia sempre più rilevante in una società incentrata sull’uomo, soprattutto se rapportato alle tecnologie. Ci sono molti modi per creare presupposti inclusivi legati al business.

Per Alessandro Bider, Head of customer experience di NeN, l’accessibilità digitale “è una forma mentis che deve entrare nei processi e deve essere considerata importante al pari di altro. NeN, come fornitore di luce e gas, ha puntato da subito sulla chiarezza e trasparenza verso gli utenti e in questo percorso, ha dato un’importanza strategica all’aspetto tecnico dell’accessibilità by design e in particolare, dei testi. Il contenuto serve per creare coerenza e permettere a tutti di orientarsi rapidamente. Lavorare in ottica di accessibilità è stato fondamentale, ora l’obiettivo è di rafforzare la cultura aziendale in questo senso”.

Algor Lab è una startup innovativa che impiega l’intelligenza artificiale per la creazione di mappe concettuali attraverso una piattaforma utilizzata in contesti scolastici ed editoriali, ed è riconosciuta come strumento compensativo.

“La nostra prima idea di business -spiega il suo fondatore Mauro Musarra – è nata dalla Challenge del Politecnico di Torino per risolvere un problema concreto utilizzando l’intelligenza artificiale, era legata all’usabilità del libro (solo il 35% degli studenti riesce ad apprendere da un libro). Oggi con l’evoluzione delle tecnologie di machine learning e natural language processing vogliamo offrire interazioni sempre più fluide”.

Una convinzione appoggiata anche da Alessio Butti, oggi Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’innovazione tecnologica che al tempo votò la legge Stanca: “Questa legge ha significato tanto, ora dobbiamo recepire la normativa, superare le criticità e i punti deboli e guardare alle nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale o l’IoT”.

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