Partiamo dai fatti. Enrico Letta ha nominato l’Agenda digitale fra le azioni del prossimo governo, non ha però (ancora) indicato responsabilità politiche per l’attuazione del programma. Intanto l’operatività, che avrebbe dovuto essere assicurata dall’Agenzia per l’Italia digitale, ha subito uno stop (forse temporaneo) a causa del ritiro dello statuto, a suo tempo proposto dal direttore Agostino Ragosa, per presunte “imperfezioni” rilevate dalla Corte dei Conti.
Se questo è il quadro è del tutto giustificata la preoccupazione di Flavia Marzano, docente di tecnologie per l'innovazione nella Pubblica Amministrazione e presidente degli Stati Generali dell’Innovazione: “Siamo in un momento sicuramente non facile per il nostro Paese (e a dire il vero per tutta l'Europa) e apparentemente può sembrare comprensibile la ‘distrazione’ del nuovo Governo verso l'Agenda digitale. Apparentemente però, perché invece proprio da lì potrebbe partire la crescita e lo sviluppo, proprio da lì si potrebbero avviare circuiti virtuosi di innovazione”.
Per altri interlocutori, invece, il problema è a monte. Giorgio De Michelis, professore di Informatica teorica e Sistemi informativi all'Università di Milano Bicocca, considera addirittura privo di senso l’attuale dibattito sull’Agenda digitale. “Il primo problema è che non è una vera agenda, che dovrebbe contenere obiettivi, benefici attesi, tempi, risorse e così via”, dice. Invece lo statuto è stato bloccato dalla Corte dei conti per l’organico di 160 persone considerato sovradimensionato. Significa che non si è riusciti far capire che la digitalizzazione serve a generare valore e non è un costo. Per la riorganizzazione dell’infrastruttura sono stati previsti 26 miliardi senza saper dove saranno reperiti. Cosa possono fare allora le persone che hanno coscienza dell’importanza dell’innovazione digitale per il Paese?
“Avere l’onestà intellettuale di battersi – dichiara De Michelis – affinché l’Agenda digitale sia davvero un’agenda come ad esempio il piano Digital Government di Obama dove per ogni item si indicano responsabilità, obiettivi e tempi che non vanno oltre mai oltre i 12 mesi. Altrimenti qualunque sia l’investimento sono solo soldi buttati”.
Secondo Alfonso Fuggetta, amministratore delegato di Cefriel, in realtà l’Agenda digitale, a distanza di un anno, ancora non è decollata. “I temi sono sempre tutti lì. Il precedente governo ha creato un’Agenzia che dovrebbe garantire l’operatività ma ha proposto una governance che non funziona e ora lo statuto è stato bloccato; l’attuale governo non ha identificato né un ministro né un sottosegretario come referente politico”, afferma sconsolato.
Ancora aperto il nodo delle deleghe
“Ci sono nel governo persone di spicco nel mondo delle tecnologie e dell'innovazione, come il ministro Maria Chiara Carrozza al Miur [Ministero per l’istruzione, l’università e le politiche sociali, ndr] e il Ministro Enrico Giovannini per Lavoro, Salute e Politiche Sociali, ma che non appaiono immediatamente coinvolte nell'Agenda digitale – sottolinea Marzano – La speranza è che a loro venga in seguito affidato l'incarico di gestirla”.
Carlo Alberto Carnevale Maffè, professore di strategia alla Sda Bocconi, sostiene che le competenze digitali si contano sulle dita di una mano: “Enrico Letta, Enrico Giovannini, Massimo Bray…”, elenca. Ma non è questo a suo parere il problema principale. “La sfida del governo è mettere la transizione digitale al centro della politica, non di una nomina individuale o di una delega – incalza –. Il digitale non è una competenza specialistica ma una tecnologia trasversale che deve reinterpretare tutta l’attività della pubblica amministrazione, delle imprese, dei cittadini. Non si deve fare un’agenda ma un’Italia digitale!”.
Concorda Francesco Sacco, docente di Strategia aziendale presso l’Università dell’Insubria e managing director del centro di ricerca EntER sull’imprenditorialità dell’Università Bocconi. “L’agenda digitale non può essere considerata un settore, ma deve essere vista come uno strumento trasversale per cambiare il mondo dei servizi, l’industria e la pubblica amministrazione”, dice, ricordando che la necessità di una guida per lo sviluppo del digitale deve però essere considerata transitoria. Un referente all’interno della Presidenza del consiglio può dunque servire, ma con un ruolo di coordinamento e fertilizzazione.
Il blocco dello Statuto? Un’occasione per ridefinire l’Agenda
“La revoca dello statuto dell’Agenzia può essere l’occasione per rivedere gli errori di impostazione. È importante che Letta, abbia inserito l’Agenda digitale nel suo discorso di insediamento – aggiunge Sacco -. Ma va colta l’occasione per dare coerenza all’azione fondata su tre pilastri: quello politico, l’Agenzia che ha il ruolo di attuazione e l’Agcom, l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni. In ogni caso si deve trovare una soluzione; è indispensabile anche perché l’innovazione digitale può creare occupazione per i giovani, mentre nei settori tradizionali ci sono solo posti di rimpiazzo”.
Anche Luca De Pietro, a capo dell’unità di ricerca e-government del centro TeDIS della Venice International University, vede il blocco dello Statuto come occasione soprattutto per rivedere la governance dell’Agenda. “Perché le cose funzionino serve la definizione di una responsabilità politica (ed è un peccato che anche il nuovo governo non ne abbia sentito l’esigenza) e di una delega forte sul piano operativo” sottolinea.
Per cogliere l’occasione si dovrebbe dunque ripartire da quattro punti: una governance semplice con una responsabilità politica e una delega operativa piena; la consapevolezza che l’innovazione non si fa per decreto e per successive norme attuative; l’avvio dei progetti a partire dai bisogni reali: si deve uscire dal palazzo e andare sul territori; la definizione di 3-4 priorità al massimo, visto che le risorse sono poche.
Fra gli obiettivi principali, De Pietro indica la banda larga e una reale digitalizzazione che deve necessariamente escludere il doppio binario (analogico digitale), per evitare il rischio di fare esplodere i costi. Ci sono già esempi positivi: il processo di iscrizione alle scuole solo online e la consegna via web del Cud da parte dell’Inps. “Queste scelte servono a incentivare una domanda un po’pigra ad accostarsi al digitale”, ricorda.
Si dovrebbe spostare l’attenzione dalle infrastrutture al software e ai servizi, che stimolano invece la domanda digitale, è l’opinione di Sacco, il quale indica fra le priorità l’alfabetizzazione anche per imprenditori, dirigenti pubblici, pensionati. “Vanno in pratica trovati i modi per attivare trasversalmente tutte le forze in modo più rapido ed efficace di quanto sia accaduto fino a oggi”, sintetizza.
Smart City: ripartire da territori
Conta soprattutto sulle forze locali Michele Vianello, Direttore Generale del parco tecnologico Vega Park Venezia ed ex-vice sindaco di Venezia. “In realtà non ho mai creduto a una via centralizzata per la realizzazione delle Smart City", quella che dovrebbe essere spinta a livello centrale è la cultura della condivisione, Vianello si aspetta infatti molto dalle comunità locali, le vere protagoniste delle Smart Cities, le cui esperienze non devono rimanere isolate ma essere, appunto, condivise e deve esserci una vision a livello di sistema Paese. Presentando il suo libro “Smart Cities – Gestire la complessità urbana nell'era di Internet”, scrive: “Siamo in presenza di uno straordinario entusiasmo delle comunità locali nei confronti di tutto ciò che è smart. E ciò è bene perché, di questo sono fermamente convinto, la ripresa del Paese riprenderà dall’innovazione nelle aree urbane”. Rileva però che l’entusiasmo non basta se ancora manca la vision e le competenze professionali sono carenti, riportando il focus sulla governace dei processi smart.
Non possiamo che concludere con l’invocazione che arriva da un territorio importante per l’innovazione, come Milano, e in particolare dall’assessore alle Politiche per il lavoro, Sviluppo economico, Università e ricerca, Cristina Tajani. “Spero che le smart city e agenda digitale abbiano un futuro – sostiene -; saremmo altrimenti in controtendenza rispetto all’Unione europea: non possiamo permetterci di disallinearci rispetto ad alcune linee di investimento. Il nuovo ministro Carrozza si è occupata da ricercatrice di queste tematiche. Spero che anche altri ministeri, come quello dello sviluppo economico, investano su questi temi, promettenti per i nostri territori”.