L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando anche il settore legale e lo sta facendo “a suo rischio e pericolo”, ben consapevole che si tratti di una delle sfide più impegnative in corso. Ciò vale a livello generale, dati i temi e le dinamiche in gioco, ma è particolarmente vero in Italia, Paese in cui il mondo legal ha delle caratteristiche specifiche che lo distinguono anche da altri apparentemente simili come cultura e spirito di innovazione (o di conservatorismo).
A spiegarlo è Marco Imperiale, Founder e Managing Director di Better Ipsum che, da “insider”, ne illustra gli aspetti più impattanti a livello di adozione tecnologica. Ciò non blocca l’AI, ma ne rivoluziona le dinamiche di adozione, lanciando una sfida anche alle università e alle aziende.
Le unicità del settore legale italiano
“Gli investimenti in innovazione sono scarsi perché pochi sono i grandi studi: il 40% degli avvocati dichiara meno di 20mila euro all’anno, secondo i dati ufficiali sul settore. Anche la stessa legislazione italiana non è adatta a logiche di automazione: è un mondo civil law con poche clausole standardizzabili, al contrario del common law dove i contratti risultano più strutturati e serializzabili” spiega Imperiale. “A rallentare il tutto c’è anche un codice deontologico antiquato e l’assenza di indicazioni in merito a come approcciarsi all’intelligenza artificiale, ormai penetrata in ogni settore”. Lo sta facendo anche in quello legale, in diversi task e in modo parallelo e non uniforme.
L’attività più immediata da affidare all’AI, secondo Imperiale, è la ricerca di documenti. Internamente si fa leva sul know how relativo a contratti e pareri accumulato negli anni dai singoli professionisti o dagli studi, lo si riversa in un sistema AI e si ottengono risposte in tempi più brevi, alzando il livello di reattività offerto e i margini di business. Similmente può accadere con documenti esterni, dove però diventa più che mai fondamentale la fase di controllo umano sull’output AI, basato sul buon senso e sull’esperienza.
“Più complesso, per l’Italia, puntare sull’AI per i predictive analitycs. Nel mondo anglosassone ci sono molti meno contenziosi e vige la consuetudine di fornire al cliente una percentuale di successo. Nel nostro contesto molto meno: l’esito è meno prevedibile e si va quasi sempre a litigation” afferma Imperiale. “Resta inoltre tuttora più conveniente far fare un lavoro simile a un praticante, invece che investire su un nuovo strumento tecnologico”.
Per quanto riguarda l’analisi statistica di anomalie su due diligence, lo spazio per l’AI ci sarebbe, data la mole di documenti da processare in tempi ridotti. “Tempi e costi si abbatterebbero, ma il panorama di atti e contratti è molto vario in Italia, diventa quindi un’analisi statistica complessa – fa notare Imperiale – e molti modelli sono inoltre allenati inizialmente in inglese e vanno adattati: un processo che rende questa innovazione economicamente poco sostenibile”
Il campo della “document automation”, secondo Imperiale, offre poco spazio all’AI, più che altro perché spesso viene effettuata internamente dalle stesse aziende, adattando processi e software di smart contract management. “C’è invece un uso molto sottovalutato dell’AI generativa che riguarda la redazione di atti o contratti. In questo caso la tecnologia suggerisce strategie e mosse da compiere, fornendo spunti di buon livello. Per ora, però, non ci sono regole relative alla trasparenza su questo tipo di utilizzo e sulla gestione della responsabilità deontologica – aggiunge Imperiale – per il contesto italiano, potrebbe essere molto interessante applicare l’AI anche per la collezione di documenti e la gestione delle prove. Permetterebbe di minimizzare la durata della fase di discovery”.
L’oracolo AI e le clausole “mancate”: quali rischi
Con tanti “se” e “ma”, ma il settore legal non resta escluso dalla rivoluzione AI, offrendo al contrario molti ambiti di innovazione e ottimizzazione. Allo stesso tempo pone varie sfide, la maggior parte delle quali sono legate alla gestione di questa tecnologia dal punto di vista umano e di talenti.
“Il più grande rischio è l’utilizzo di uno strumento statistico come quelli basati sull’AI, considerandolo una sorta di oracolo. C’è oggi una forte ignoranza applicativa nel prompting legal che blocca i benefici di questa tecnologia e la trasforma in un potenziale pericolo” spiega Imperiale.
Per esempio, credendo che l’AI generativa abbia sempre ragione, in nome della matematica, si può trascurare “quella clausola che può cambiare l’intera causa, compromettendo la qualità del lavoro del professionista o dell’intero studio”.
Un’altra criticità che impatta sulla sua adozione è il mindset che permea il settore, secondo Imperiale. “Difficilmente si pensa in termini di innovazione esponenziale, sopravvalutando gli impatti nel breve termine e sottovalutando quelli nel lungo termine. Così si rischia di sbagliare priorità e non investire, restare indietro o addirittura tagliati fuori”.
Il male minore è iniziare a usarla e formare talenti
Agire su competenze e mentalità resta una priorità, per un mondo che a oggi non può contare su una strutturata formazione centrata sull’innovazione e sulle tecnologie emergenti. Esistono “eccellenti eccezioni”, qualche corso specifico, ma non un’azione di sistema a livello di settore. Non aiuta la generale mancanza di domanda di innovazione da parte dei clienti. Come spiega Imperiale, “il rapporto con l’avvocato resta simile a quello con il medico di famiglia. Non si chiede innovazione e analisi, ma solo il risultato, si guarda poco al processo e manca la spinta a evolversi”.
In aree come UK, USA, Singapore e Honk Kong, il clima sembrerebbe diverso. Lì l’AI ha maggior respiro e incontra più fiducia e maggiori investimenti, anche perché tutto il mondo legal “ragiona” e può contare su cifre di ordine di grandezza diverso: “In quei contesti i ‘grandi’ sono più grandi e strutturati e hanno clienti più facoltosi, ma anche più consapevolezza. Grazie agli investimenti che si possono permettere di fare, hanno modo di scommettere su risorse nuove e promuovere una mentalità più votata alla tecnologia. Li aiuta anche un sistema giuridico più votato alla serializzazione e con clausole molto facili da automatizzare”.
Tutto ciò non deve condannare l’Italia e il suo mondo legal a restare indietro. Partendo dalla formazione, la situazione può cambiare e l’AI può trovare spazio di azione in modo virtuoso e adatto alla legge italiana. Una operazione che porta a dei rischi, “ma è il male minore” secondo Imperiale. “La priorità è quella di non accumulare ritardi e prima si inizia a sperimentare questa tecnologia, prima si impara a farlo con cura e cognizione di causa. Necessari ed essenziali restano un coinvolgimento massiccio delle università e la sinergia con il mondo delle imprese, uniti a una buona dose di senso pratico”.