In occasione de Gli Incontri ICT2017 di metà anno, Roberto Monducci, Direttore del Dipartimento per la produzione statistica di Istat ha evidenziato un quadro positivo per l’economia italiana, nonostante il PIL, a differenza di altri paesi europei, resti ancora inferiore a quello del 2008. L’espansione è guidata dalla domanda interna e la quota delle esportazioni italiane torna a crescere dopo anni di diminuzioni. Un altro fattore importante per il consolidamento del quadro macroeconomico è l’aggancio della ripresa da parte del Mezzogiorno, in termini sia di PIL (+1,6%) sia di occupazione (+0,9%) (figura 1).
“Se si tiene conto dei primi mesi del 2017, il ritmo di crescita dell’economia italiana si sta avvicinando a quello medio dell’area euro”, sottolinea Monducci, evidenziando lo stimolo venuto dalla recessione del 2009-2013 alle imprese italiane ad adottare strategie organizzative, di mercato, tecnologiche che hanno indotto una crescita della produttività, dopo decenni di diminuzione (figura 2). Certo si deve fare di più visto che la crescita è ancora frammentata, aumentano le distanze nella competitività dei settori e restano ancora sotto i livelli pre-crisi gli investimenti, nonostante le politiche di stimolo.
Anche l’occupazione è in ripresa, ma il recupero è ancora parziale: “Preoccupa soprattutto la persistenza di una elevata sottoutilizzazione dei giovani con tassi di occupazione ancora troppo bassi e un’ampia fascia di inattività, con rischi di impoverimento del capitale umano”, commenta Monducci.
La scarsa occupazione giovanile (1 milione di ragazzi fra i 15 e i 29 anni in cerca di occupazione e circa 600mila Neet, acronimo inglese di “not (engaged) in education, employment or training”, ossia persone non impegnate nello studio, né nel lavoro né nella formazione) è in gran parte il portato di una scarsa qualificazione professionale. Ma secondo i dati Istat, nel triennio 2013-2016 c’è stato un forte aumento delle transizioni dalla disoccupazione all’occupazione per i laureati e in Italia, come nel resto d’Europa, l’andamento dell’occupazione nelle professioni ICT è stato più favorevole di quello complessivo, anche durante la crisi.
Ancora troppo lento il recupero di adozione ICT
Lo sviluppo di skill ICT è d’altra parte una necessità per la digitalizzazione, frenata proprio dalla carenza di competenze, come anche i dati successivamente illustrati da Giancarlo Capitani, Presidente di NetConsulting Cube evidenzieranno nel dettaglio.
Secondo l’analisi Istat in base al Digital intensity indicator, l’88,3%, delle imprese con almeno 10 addetti si colloca ad un livello ‘basso’ o ‘molto basso’ di adozione dell’ICT (la media europea è di circa l’80%); mentre solo il restante 11,7% si posiziona su livelli ‘alti’ o ‘molto alti’ di digitalizzazione. Si rileva un divario significativo tra piccole e grandi imprese: l’indicatore di digitalizzazione è al 10,7% per le prime e al 34,4% per le seconde per i livelli ‘alto’ e ‘molto alto’.
“Ci sono aspetti di tipo dimensionale, problemi sulla digitalizzazione e sull’economia della conoscenza – ricorda Monducci, che si chiede – Come incentivare la digitalizzazione? Le imprese vanno sui mercati esteri con spirito imprenditoriale, ma non basta”.
La sfida delle competenze ICT e manageriali
“Il tema delle competenze rappresenta la leva o l’ostacolo per la trasformazione digitale”, evidenzia Capitani. La CIO Survey 2017 realizzata da NetConsulting cube [1] mette in luce 12 cantieri digitali aperti presso le aziende grandi e medie; fra questi Mobile e Cloud Computing, in continuità con il passato, e alcune novità come Cybersecurity e Big Data (Intelligence & Analytics) e IoT. “Si evidenzia un’accelerazione molto forte che i dati europei non registrano – nota Capitani – Non sono più progetti sperimentali ma cominciano ad avere impatti profondi sui modelli organizzativi aziendali”.
I dati del mercato ICT confermano questa dinamica: crescita 1,8% nel 2016 e la previsione del 2,2% per quest’anno, con dinamiche superiori nelle aree emergenti. “La digitalizzazione nelle aziende è tuttavia un processo più caotico che governato – sottolinea Capitani – Più per silos verticali che per progetti sistemici basati su master plan integrati”.
La Survey conferma che uno dei principali ostacoli è la mancanza di competenze, sia manageriali sia ICT (figura 3).
L’Osservatorio delle Competenze Digitali 2017, condotto da Aica, Assinform, Assintel e Assinter Italia e promosso da Miur e Agid e realizzato da NetConsulting cube, Università Milano Bicocca, Università di Pavia e Fondazione Cini, è allora andato ad analizzare la domanda di competenze e la risposta del sistema della formazione, partendo sia dalle esigenze espresse dalle aziende sia dagli annunci web per la ricerca di lavoro: “Si evidenzia che fra i cantieri esaminati, quello che sta generando maggiore richiesta di competenze è il cloud, che sta entrando in una fase che induce nuovi comportamenti da parte delle aziende nell’utilizzo delle risorse”, evidenzia Capitani. Mentre al secondo posto vengono collocate differenti tecnologie per i diversi settori.
Si tratta di competenze e figure che vanno inserite in progetti strategici complessi che richiedono concatenazione di competenze non solo di natura tecnologica: servono contaminazione fra business e tecnologia e competenze di alto livello (figura 4).
Necessità di nuove competenze e capacità di crearle
Per quantificare le esigenze sono stati esaminati 175mila annunci in ambito ICT nel periodo 2013-2016, di cui 60mila nel 2016. Le figure più richieste sono sviluppatori, analisti di sistemi, consulenti ICT, media specialist… Nel complesso crescono le richieste per tutte le figure professionali Ict; raddoppiano, in particolare, le prime in classifica: in 3 anni si passa per i developer da poco più di 13mila a oltre 26mila, per gli Ict Consultant da circa 2500 a oltre 6mila, per i media specialist da circa 2.200 a oltre 4mila.
Una grande importanza è stata assegnata anche alle competenze ICT/digitali in professioni non ICT. “È il segno della contaminazione digitale e della necessità di riconversione sul digitale”, conferma Capitani, sottolineando che: “Il 15% delle professioni in Italia verrà rimesso in discussione dall’introduzione del digitale”.
NetConsulting ha stimato la necessità di nuove risorse ICT in 65mila unità nel periodo 2016-18, nell’ipotesi più espansiva, e 41mila in quella più conservativa (figura 5). La formazione è in grado di soddisfare tale richiesta?
Sembrerebbe proprio di no, considerando l’attuale ‘produzione’ di 7-8mila laureati l’anno, in un sistema formativo che vede un elevato grado di abbandono proprio in area ICT (60%) e un notevole gap gender (quota di ragazze 20%): “Inoltre i corsi sono poco capaci di rispondere nei contenuti alla domanda”, sottolinea Capitani, notando che il cloud è quasi assente nei corsi di studio.
La difficoltà nella creazione di nuovi profili e nella riconversione di quelli esistenti sta limitando la capacità di trasformazione digitale: “La scarsità di risorse fa sì che le poche sul mercato abbiano costi proibitivi per le PMI, che non sono quindi in grado di entrare nell’era digitale – spiega Capitani – Serve dunque un mercato del lavoro strutturato e popolato”.
Da qui alcune proposte sul versante del sistema della formazione che dovrebbe avere un Dna più digitale prevedere aggiornamenti periodici di percorsi di studio non-ICT in ottica digitale e nuove metriche per le performance degli atenei in ottica digitale e innovativa.
“Ci sono però responsabilità anche sul versante delle imprese, che investono troppo poco nella formazione, come emerge dalle nostre rilevazioni”, sottolinea Capitani suggerendo non solo investimenti in formazione e l’incentivazione dell’upskilling e del reskilling ICT, ma anche di rafforzare la e-leadership interna: “II top management deve essere più digitale nel concepire le strategie e riconoscere maggior ruolo alla formazione, favorendo la compenetrazione del digitale in tutte le aree”, conclude Capitani.
(1) L’indagine non di tipo statistico ha coinvolto 115 aziende ICT, 50 aziende utenti di tecnologia (industria e servizi), 30 Enti Pubblici Locali (incluse 4 società in-house regionali).