Appassionato di musica, soprattutto degli anni ’70, ma anche di jazz e classica. Ama molto viaggiare e adora la West Coast dove torna appena gli è possibile; giocava a pallacanestro e gli piace la montagna. Alfonso Fuggetta, CEO del Cefriel, legge anche molto: ha appena finito l’ultimo libro di Stephen King, sta leggendo Il buio oltre la siepe, “leggo molta saggistica – dice nella lunga intervista rilasciata a ZeroUno – molti libri di management, ma non solo, per esempio, voglio dedicarmi ai saggi di Montaigne. Un libro che mi è piaciuto parecchio è Management in the gray, su come prendere decisioni difficili quando le alternative non sono nette, ma si è appunto in una zona grigia”.
Si alza verso le 7 e per prima cosa controlla i dati del Cefriel: “Ogni notte, il nostro sistema di analytics aggiorna tutti i dati di fatturato, produzione, sui progetti, tutti i dati rilevanti per il funzionamento del Centro”.
Autore del libro Cittadini ai tempi di Internet. Per una cittadinanza consapevole nell’era digitale, Fuggetta è uno dei soggetti di riferimento del nostro paese sui temi dell’innovazione di impresa e della digitalizzazione del sistema paese, ma prima di entrare nel concreto di questi temi abbiamo voluto, come è ormai tradizione della rubrica Vita da CEO, capire come il CEO del Cefriel gestisce le relazioni con collaboratori e clienti.
Uno stile di management improntato sull’estrema trasparenza
ZeroUno: C’è uno stile di management che la caratterizza?
Alfonso Fuggetta: Estrema trasparenza. Ritengo che nelle mie relazioni, sia con i clienti sia all’interno di Cefriel, la trasparenza sia un tratto distintivo. Dico sempre quello che penso e faccio quello che dico: a volte può risultare controproducente, ma essere molto chiari sugli obiettivi, i valori che ci devono guidare, se le cose funzionano o no credo sia un elemento distintivo in senso positivo.
Naturalmente ci sono delle caratterizzazioni specifiche se parliamo di clienti o di collaboratori. Per quanto riguarda le relazioni con l’esterno, quella del Cefriel è una missione molto precisa: promuovere l’innovazione operando come un’azienda, sapendo che non tutto è collegabile al ritorno economico, perché la nostra è un’istituzione dedicata a promuovere lo sviluppo socio-economico del paese e non solo un’impresa. Il fatto che debba funzionare come un’azienda è strumentale per la nostra sostenibilità, ma la nostra mission è più ampia: supportare le aziende nel fare sistema per sostenere la competitività del paese; trasferire know how alle imprese; valorizzare il rapporto con l’università. Il tutto con una ricerca spasmodica della qualità.
ZeroUno: Come si riflette questo approccio nei rapporti con i suoi collaboratori?
Alfonso Fuggetta: Prima di tutto penso che per lavorare bene si debba stare in un ambiente gradevole e quindi abbiamo cercato di creare una sede dove ci sia luce, spazio, verde, insomma un ambiente bello da vivere. E poi cerchiamo di curare moltissimo la formazione delle persone, lo sviluppo professionale. Io credo che le persone debbano crescere dal basso e quindi investiamo molto sulla loro evoluzione.
Siamo rigorosi nel rispetto della dignità e della professionalità delle nostre risorse per cui, oltre al fatto che qui tutti sono assunti, cerchiamo di dare anche un’adeguata soddisfazione economica.
Grande attenzione alla crescita delle risorse interne
ZeroUno: Per lavorare in una realtà come il Cefriel sono necessarie competenze qualitativamente elevate, in ambiti dove non è facilissimo reperirle. Come vi assicurate che, una volta formate, le vostre risorse non vadano altrove?
Alfonso Fuggetta: Abbiamo un turnover molto basso proprio perché poniamo una grande attenzione alle persone. Per esempio, cerchiamo di garantire una certa rotazione sui progetti, sia per quanto riguarda le aziende sia per le attività all’interno delle aree funzionali di riferimento. Lavoriamo in team multidisciplinari e le nostre persone hanno la possibilità di fare tante esperienze diverse.
Per quanto riguarda il tipo di relazione, ovviamente essendo una struttura abbastanza grande abbiamo momenti canonici di confronto e un’organizzazione di riferimento, ma cerchiamo di bilanciare questi momenti formali con contatti più informali e incontri destrutturati: il mio ufficio è sempre aperto. Adesso, per esempio, ci siamo dati una nuova organizzazione interna perché un’azienda è un corpo vivo, deve evolvere ed essere capace di cambiare quando è necessario.
ZeroUno: Avendo un’attenzione così forte alla qualità e investendo molto nella formazione, qual è la sua reazione di fronte a un errore?
Alfonso Fuggetta: Tempo fa, in un convegno sentii questa frase: da un collaboratore accetto solo errori nuovi. Una frase che mi vede totalmente d’accordo. Quello che mi fa arrabbiare è la reiterazione dell’errore o quando viene lasciato lì, a incancrenirsi; se invece è un errore nuovo e viene affrontato subito, significa che stiamo sperimentando e nella ricerca di una soluzione ci sta che si facciano delle scelte sbagliate.
Innovare: innamorarsi dei problemi non delle tecnologie
ZeroUno: Il tema della cultura dell’errore introduce a ruota quello dell’innovazione. Qual è il suo modello di innovazione?
Alfonso Fuggetta: Più che un modello cerchiamo di avere un metodo e un principio e ci sono varie cose in cui credo. La prima è la concretezza: innovare significa avere un impatto. Oggi ci sono alcuni termini, come open innovation, startup, digital transformation che si stanno svuotando di significato, si sta facendo strada un’enorme semplificazione per cui se si mettono insieme open innovation+startup+hackthon ci si considera grandi innovatori. Non è così, bisogna avere la capacità di scaricare a terra le bellissime idee che si sono avute; bisogna avere la capacità di andare a fondo dei problemi, perché solo in questo modo li puoi semplificare, quindi capirli e poi risolverli.
Innovare significa innamorarsi dei problemi non delle tecnologie. Per noi che veniamo dal mondo della tecnologia questo pericolo è dietro l’angolo, è facile che ci si innamori di una soluzione, di una tecnologia: per un martello il mondo è fatto di chiodi, dobbiamo cercare di non essere martelli. Quindi bisogna sempre porsi una domanda: quale sarà l’impatto dell’introduzione di una determinata innovazione? E quando parlo di impatto mi riferisco a un’analisi a 360°: impatto dal punto di vista delle tecnologie coinvolte, organizzativo, sulle risorse interne ed esterne ecc.
ZeroUno: La pervasività del digitale, l’introduzione di tecnologie che coinvolgono sempre più il nostro privato, ha fatto emergere con più forza negli ultimi anni il grande tema dell’etica nelle tecnologie. Cosa ne pensa?
Alfonso Fuggetta: Quello dell’uso corretto delle tecnologie o delle scoperte scientifiche è un problema che è sempre esistito, ma sicuramente il digitale esaspera alcuni aspetti, pensiamo per esempio alla privacy. Il vero problema però non è la visione catastrofica che alcuni hanno immaginando un futuro governato da robot, ma di come affrontare la potenza del digitale e la sua capacità moltiplicatrice quindi bisogna aumentare la nostra capacità di autocontrollo e avere maggiore consapevolezza di quello che succede. Autocontrollo e consapevolezza sono due caratteristiche sulle quali dobbiamo lavorare.
Il digitale ci consente di fare cose bellissime, ci semplifica la vita, ci permette di rimanere in contatto con persone che stanno a migliaia di chilometri di distanza, come fossero tra di noi. Certamente tutto ciò ha degli impatti anche negativi: se lo guardiamo dal punto di vista dell’occupazione, vediamo che alcuni lavori spariscono, ma anche che se ne creano di nuovi. Il vero problema è: come si gestisce la transizione?
Ognuno deve fare la sua parte
ZeroUno: E chi dovrebbe farsene carico?
Alfonso Fuggetta: Questo è “il” problema della nostra società al quale non è facile dare risposta, ma quello di cui sono certo è che tutti devono fare la propria parte. Lo Stato deve investire nella scuola, a partire dall’edilizia scolastica perché andare a scuole deve essere un piacere, una gioia e il luogo è importante. Sono troppi gli edifici fatiscenti sparsi per il paese.
Le aziende devono uscire dall’idea di assumere giovani già formati e di pagarli pochissimo. Così non funziona, oltre a non essere etico non è neppure funzionale per la crescita delle aziende e del sistema paese nel suo insieme: le aziende devono impegnarsi in un processo di formazione su tutti i livelli, a partire dal loro attuale capitale umano, favorendo la crescita, oltre al giusto riconoscimento economico per i più giovani.
Poi naturalmente ci saranno sempre delle persone che non sarà possibile riconvertire e qui interviene il terzo pilastro che sono gli ammortizzatori sociali, ma questi da soli non bastano.
La vera sfida oggi è proprio quella di incastrare diversi tipi di intervento, per farlo ci vorrebbe un’adeguata strategia a livello politico e invece è proprio quello che la politica non sa fare: troppo spesso si occupa in larga misura di “mettere delle pezze” ad alcune situazioni; è molto più impegnata a portare a casa consenso invece di definire una visione a lungo termine dove tutti i tasselli del puzzle vengano previsti e si possano incastrare per affrontare la questione a 360°.
ZeroUno: Qual è stato il momento più gratificante e quello più difficile della sua carriera professionale?
Alfonso Fuggetta: Difficile dirlo perché di momenti gratificanti ne ho avuti molti. Uno di questi è stata sicuramente l’inaugurazione della nuova sede del Cefriel [nell’ufficio del CEO del Cefriel campeggia una foto della giornata che lo ritrae con il sindaco di Milano Beppe Sala, il presidente del consiglio Paolo Gentiloni e l’allora prefetto di Milano Luciana Lamorgese, e oggi Ministro dell’Interno ndr].
Per quanto riguarda i momenti difficili, più che momenti è una sensazione continua, incessante di stare buttando via, come Paese, una quantità immensa di occasioni: una maggiore propensione ad effettuare investimenti sul futuro ed una minore attenzione a politiche di consenso popolare, porterebbero il Paese sulla strada di un progressivo e diffuso benessere.
ZeroUno: Cosa consiglierebbe a un giovane che deve decidere del proprio futuro?
Alfonso Fuggetta: Prima di tutto che questa università, tanto vituperata, dà comunque un vantaggio rispetto al non farla. Lo studio ha un grande valore, ce l’ha l’università, ma ce l’hanno anche gli ITS nei quali si sta facendo un grande lavoro e nei quali dovremmo investire maggiormente. Quindi prima di tutto studiare e poi cercare di scegliere un percorso di studi dando un occhio a quello che serve, alle professionalità ricercate. Tra l’altro oggi l’istruzione superiore, grazie al 3+2 o alla possibilità di effettuare master, consente una grande flessibilità per cui ai giovani dico: sfruttate questa flessibilità, modulate la vostra formazione.
Bisogna entrare nel mondo del lavoro pensando che c’è ancora molto da imparare. Soprattutto nei primi anni, bisogna vivere il lavoro come un investimento, un periodo di crescita. Certamente, bisogna che vengano eliminate due storture: da un lato è necessario che le aziende paghino il giusto, dall’altro dobbiamo mettere in campo interventi sul costo del lavoro che riducano l’impatto della tassazione.