Analytics: come diffonderli in azienda

Data per scontata l’efficacia degli strumenti di Business analytics nel supporto delle decisioni e delle operazioni di un’impresa, vediamo, con Walter Lanzani, direttore Strategy & Operations di Sas, gli aspetti tecnologici e soprattutto organizzativi da considerare nel portare le applicazioni analitiche in azienda

Pubblicato il 03 Mag 2010

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Sappiamo come attraverso le soluzioni di Business Analytics si possano migliorare i processi attraverso i quali si crea informazione e conoscenza con strumenti di previsione temporale, di simulazione di scenari, di modellazione di comportamenti e altro ancora. E sappiamo come di ciò possano trarre vantaggio una quantità di azioni legate a molti ambiti di attività dell’impresa, dal marketing al controllo di gestione, dalla pianificazione della produzione alla gestione delle risorse umane. L’efficacia di questi strumenti nel supportare non solo le decisioni ma anche molte attività operative è un fatto riconosciuto da parte di coloro cui sono destinate, i cosiddetti “knowledge worker”, tanto che sono proprio queste figure le prime a proporne l’adozione in azienda. Come esordisce Walter Lanzani, Direttore Strategy & Operations di Sas, “Sono gli uomini del business che colgono per primi il vantaggio di avere analisi e previsioni accurate, e fa parte della nostra cultura e della nostra storia andare a parlare con loro, avendo alle spalle non solo la tecnologia ma competenze che ci aiutano a relazionarci meglio e a meglio comprenderne i bisogni”.
Ma naturalmente, una volta che l’interesse del business verso gli Analytics sia scattato, si pone il passo successivo: come far entrare, concretamente, queste soluzioni in azienda? Ed è qui che si apre il discorso con l’It e con i suoi responsabili.
“Inserire Sas all’interno di un’architettura informatica preesistente e operativa – prosegue Lanzani – è un processo certamente indolore: non si tratta di un software invasivo, come può essere, per dire, un Erp, e la sua tecnologia rispetta tutti i possibili standard. C’è però una questione che deve essere attentamente valutata. Ed è come fare per avere dei sistemi di business analytics che ‘girino’ giorno e notte assicurando a tutti gli utenti le informazioni cercate”.
Se guardiamo al passato, vediamo che la BI è in genere nata nelle aziende per opera di piccoli gruppi o singole persone che lavoravano di propria iniziativa, installando localmente soluzioni scelte (tra l’offerta di un mercato caratterizzato dal proliferare di nuovi prodotti) in base alle personali preferenze o esperienze e senza un vero coordinamento con l’It aziendale. Poi le architetture basate su data warehouse e data mart hanno portato la gestione dei dati di partenza sotto il controllo dell’It e la qualità delle analisi è migliorata. Resta però l’obiettivo, che non è tecnologico ma organizzativo, di coordinare analisi elaborate da diverse entità aziendali con diverse modalità, per creare un ‘corpo’ analitico unico capace di dare, grazie all’interazione tra le diverse fonti di informazione in esso integrate, un più alto livello di conoscenza. “Va in questo senso – spiega Lanzani – la nostra proposta Ace (Analytical Center of Excellence), intesa a fare in modo che le analisi compiute da risorse che lavorano in modo autonomo vengano raccolte e gestite centralmente per creare maggior valore: se un tempo il Bicc (Business intelligence competence center) era un qualcosa più che altro legato alla gestione del dato e al reporting, con Ace si crea un team, reale o virtuale, che capitalizza le competenze presenti in azienda sviluppando modelli analitici specifici per le diverse funzioni aziendali”.
Esiste poi il problema di travasare nell’impresa utente le conoscenze che un fornitore come Sas può avere maturato in specifici settori di business. “Quelle che offre Sas – osserva Lanzani – sono sovente un incrocio tra una soluzione orizzontale e una specifica all’industry di appartenenza. Ad esempio, la soluzione di customer intelligence è già oggi ritagliata sui bisogni di una banca piuttosto che su quelli di una telecom. Ma si tratta, per così dire, di ‘semilavorati’ che poi vanno adattati alle esigenze raccolte presso l’utente, soprattutto cercando di capire se i modelli analitici incorporati nella soluzione sono quelli più adatti al caso. Per questo abbiamo competenze interne e abbiamo molti partner che possono collaborare con noi come presso il cliente”. Un ruolo, quello dei partner, che Sas ritiene fondamentale sia per la conoscenza dell’azienda utente, sia per l’innovazione che queste figure possono portare. Quest’ultimo apporto viene ‘coltivato’ tramite programmi di reperimento e formazione di nuove risorse che si appoggiano al mondo accademico. Sono una quarantina le Università italiane dove docenti e studenti possono familiarizzare con soluzioni analitiche Sas nella didattica, come nella ricerca e nella scelta e sviluppo delle tesi, con argomenti a volte attinenti a problemi di business.
Tornando agli aspetti inerenti l’It, Lanzani ricorda come Sas oltre ad avere un’elevata capacità di integrazione nelle architetture esistenti proponga anche tecnologie innovative. Una è il grid computing e un’altra è la ‘in-database’ (dove le funzioni di analisi non sono applicate a dati precedentemente estratti ma sono svolte direttamente dal Dbms nella base dati), entrambe finalizzate alle massime performance per analisi in tempo reale. Un’ultima considerazione riguarda poi la figura stessa dell’It manager. “Noi siamo da sempre vicini al Cio, che vediamo come un personaggio dai due cappelli: uno come responsabile della fornitura dei servizi It al business e uno come responsabile della propria struttura, nel qual senso è un direttore di funzione al pari degli altri. Abbiamo soluzioni di It performance management che aiutano a migliorare in modo deciso l’efficienza del comparto It e vi sono stati casi – conclude Lanzani – in cui l’esperienza positiva del Cio nel performance management si è poi travasata nelle altre funzioni aziendali”.

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