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App per muoversi con meno rischi nella Fase 2 della pandemia

L’epidemia da Covid-19 ha evidenziato il valore della digitalizzazione. Con l’allentarsi del lockdown serviranno tecnologie in grado di mitigare i rischi di contagio. Fra queste le app di monitoraggio degli spostamenti che però devono mettere la tutela della privacy al primo posto. Come fa l’app open source PrivateKit nata da alcuni ricercatori del MIT

Pubblicato il 21 Apr 2020

PrivateKit 1

Lotta al coronavirus. Tecnologie digitali. Tutela della privacy. Sono tre ambiti che devono evolvere insieme. La pandemia da Covid-19 esplosa alla fine di febbraio, ha evidenziato l’utilità delle applicazioni digitali pervasive: “Un cambio di paradigma nel concetto di privacy è avvenuto con la diffusione dei social network”, spiega Enrico Santus, ex ricercatore umanista del MIT, oggi Sr data scientist in Bayer e uno dei volontari del team internazionale che supporta il progetto open source MIT Safe Paths. “Con la crisi in corso e il lockdown ne sta avvenendo un altro che è però fondamentale, in quanto queste tecnologie sono diventate necessarie per continuare a lavorare, studiare e per altre ragioni”.

foto Enrico Santus
Enrico Santus, ex Ricercatore umanista del MIT, oggi Sr Data Scientist in Bayer

Secondo il ricercatore, “le tecnologie saranno ancora più fondamentali nella Fase 2, per consentire alle attività economiche, e quelle sociali essenziali, di ripartire con i minori rischi possibili”. Fra queste non mancheranno quelle che consentono il tracciamento degli spostamenti e dei contatti, per monitorare e limitare la diffusione del virus.

Convinti che anche in questo ambito la privacy debba essere messa “al primo posto”, alcuni ricercatori del MIT (in collaborazione con altre istituzioni, fra cui Harvard e Stanford) hanno lanciato il progetto open source Safe Paths: l’obiettivo è sviluppare una piattaforma open source che permetta ai cittadini di essere consapevoli dei rischi di entrare in contatto con persone positive al Covid-19, per adottare comportamenti conseguenti.

“Dal progetto – racconta Santus – è nata l’app PrivateKit, intorno alla quale si è creata una community aperta di circa cinquecento volontari”.

Come funziona l’app PrivateKit

“Le persone che sono state contagiate possono condividere volontariamente, su una piattaforma installata presso il servizio sanitario, i dati relativi ai loro spostamenti nei precedenti 28 giorni. Tali dati vengono anonimizzati, aggregati e offuscati, solo a quel punto resi utilizzabili per eseguire il confronto tra gli spostamenti dei soggetti positivi con quelli dell’utente dell’app. Nel caso in cui risulti un’intersezione con una o più persone contagiate, l’utente dell’app riceve un alert sul potenziale rischio di contagio valutato sulla base della prossimità e della durata dell’eventuale contatto Il matching fra i percorsi personali e quelli contenuti nei pacchetti scaricati avviene solo all’interno del device dell’utente”.

Sicurezza, open source e integrazione

Quali i cardini per la tutela della privacy di questa app, candidata anche alla call for action di Innova Italia [lo scorso giovedì il governo italiano ha poi scelto l’app Immuni sviluppata dalla società italiana Bending Spoons ndr] ? “Gli utenti non necessitano alcuna autenticazione e l’applicazione non salva alcun dato identificativo. L’app è open source (a sorgente aperto): chiunque può, quindi, esaminare il codice. La natura open source è un fattore che alimenta l’entusiasmo e la collaborazione nella community. Inoltre favorisce la personalizzazione della piattaforma e la sua localizzazione, agevolando l’interoperabilità attuale e futura con altre tecnologie”.

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