Prospettive

Big data analysis e ricerca di base per salvare i monumenti minacciati dal climate change

Indica il grado di rischio a cui un bene culturale o naturale è esposto e suggerisce a chi lo amministra come agire per proteggerlo e prepararsi all’emergenza, che sia un’alluvione, una bomba d’acqua o un incendio legato alla siccità. È’ lo strumento che il CNR ha messo nella mani di amministratori pubblici e decisori politici dimostrando come la ricerca di base e la crescente capacità di elaborare i dati possano concretamente aiutare chi deve fare i conti con il climate change e non solo localmente, perché l’obiettivo è riuscire integrarsi e potenziare anche i piani strategici internazionali.

Pubblicato il 15 Ott 2021

proteggere beni culturali

Lanciare l’allarme sui cambiamenti climatici non basta, coloro che ne vogliono essere consapevoli conoscono ormai bene i rischi a cui si sta andando incontro e tra questi ci sono anche tanti amministratori di beni culturali giorno dopo giorno sempre più in pericolo a causa di piogge intense, alluvioni, inondazioni o incendi legati alla siccità.

È il passo successivo quello che mancava, il fornire indicazioni su come agire per prepararsi all’emergenza limitando i danni, ad esempio spostando ai piani alti i pezzi da museo più preziosi o rivestendo parti di cattedrale in vista di una bomba d’acqua. Proprio focalizzandosi sulla difesa del patrimonio artistico, architettonico e naturale minacciato da eventi estremi, il CNR ha deciso quindi di dare il proprio contributo valorizzando i tanti dati a disposizione e utilizzando complessi modelli climatici e di analisi per consegnare nelle mani di chi, esperto non di scienza ma di gestione amministrativa, ha la responsabilità e l’onere di proteggere i monumenti e i paesaggi che da turisti tutti noi apprezziamo.

Dai dati del presente e del futuro, mappe di rischio e misure per l’emergenza

In questa sfida, finanziata dall’Europa e che vede fisica e data science unirsi in difesa della cultura, confluiscono due progetti Interreg Central Europe, ProteCHt2save e STRENCH, entrambi coordinati dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr di Bologna che, in collaborazione con l’Institute of Theoretical and Applied Mechanics (ITAM) e il Donau-Universität Krems (DUK), ha risposto alla necessità di trovare strumenti per supportare decisori politici e autorità pubbliche e di sicurezza nella gestione e nella pianificazione della salvaguardia e della protezione del patrimonio culturale o naturale sempre più esposto a rischi legati a eventi climatici estremi.

Il progetto si può dividere in tre fasi e in tutte tre i dati giocano indiscutibilmente il ruolo di protagonisti come preziosa fonte di indicazioni per l’identificazione delle aree potenzialmente più esposte e la realizzazione di mappe di rischio ma anche per orientare gli interventi mettendo a punto, nell’ultimo e più importante step, chiare e precise strategie di gestione e preparazione all’emergenza (figura 1).

Per identificare le aree più a rischio di inondazioni, piogge intense e incendi, partendo dall’Europa Centrale a cui il progetto è per ora dedicato, sono stati elaborati dati di 12 modelli climatici regionali dell’esperimento Euro-Cordex considerando due scenari possibili, uno ottimistico in cui le emissioni di gas serra resterebbero invariate, e uno più realista in cui aumenterebbero.

“Si tratta di modelli esistenti e in grado di prevedere gli sviluppi climatici futuri ma la sfida inedita va oltre la big data analytics perché l’abbiamo applicata ad un contesto che finora non era mai stato considerato, quello del patrimonio culturale e ambientale con tutte le sue singolarità ed esigenze – spiega Alessandra Bonazza Ricercatrice Cnr-Isac – a questi dati abbiamo poi affiancato quelli satellitari del programma Copernicus dell’Agenzia Spaziale Italiana utilizzando in particolare Copernicus Climate Change Service (C3S) e Copernicus Atmosphere Monitoring Service (CAMS), per ottenere dati su precipitazioni, temperature e inquinanti. Integrando queste due tipologie di dati abbiamo potuto realizzare una valutazione delle aree potenzialmente più soggette ad eventi climatici estremi considerando sia la situazione presente che quella ipotizzata nei prossimi anni”

Partendo dalla pericolosità individuata area per area e integrando questi dati con quelli di valutazione della vulnerabilità a scala dell’edificio, i ricercatori hanno realizzato mappe di rischio a livello territoriale, con risoluzione spaziale di ∼12km, liberamente consultabili per comprendere quanto il bene culturale o naturale di cui si è responsabili potrà in futuro essere danneggiato da eventi climatici estremi. Delicata ma fondamentale in questo passaggio, la necessità di stimare il grado di vulnerabilità di ogni potenziale bene “vittima del climate change”: il team del CNR ha messo a punto una metodologia ad hoc che prendesse in considerazione sia elementi fisici strutturali come la tipologia di materiale, sia elementi manageriali e gestionali come la regolarità della manutenzione o la presenza di misure specifiche di protezione del patrimonio, trasformandoli in dati da elaborare e rappresentare su mappa.

Dalla big data analysis alle prove di evacuazione: i casi di Krems, Praga e Ferrara

Ben consapevole di non poter consegnare a decisori politici, amministratori pubblici e autorità di sicurezza una serie di mappe e di dati, anche se già finemente elaborati, il CNR ha sviluppato una piattaforma con i risultati non solo delle tante mappe di rischio dei vari modelli e scenari ma anche ‘ensemble’ ovvero una mappa con il valore mediato di tutte le mappe. “Il progetto doveva essere funzionale per gli attori sul territorio e incontrare le necessità dei decisori – spiega Bonazza – siamo stati molto attenti a questo aspetto fondamentale fin dall’inizio, tanto che oltre ai partner accademici e ad un’azienda privata per la gestione dati satellitari, ci sono numerose municipalità nel consorzio che supporta questa iniziativa”.

Se le mappe consentono una pianificazione a breve e lungo termine che tiene conto del livello di rischio a cui si è sottoposti, la sezione della piattaforma con le misure di preparazione – presumibilmente la più visitata – suggerisce esempi di interventi concreti e puntuali da portare avanti per ogni grado e tipologia di rischio.

“Se un museo è in una zona a rischio inondazione, ad esempio, posso creare piani di evacuazione in emergenza individuando i beni prioritari da salvare, prevedere uno spostamento da piani più bassi e più ‘allagabili’ di oggetti più preziosi verso piani più alti e realizzare una zona di storage con condizioni microclimatiche adeguate per poter custodire tutti beni e proteggerli fino a fine emergenza” spiega Bonazza riferendosi ad uno dei due siti pilota del progetto, Krems – Stein. Sia per questa località austriaca che per la città di Praga – Troja in Repubblica Ceca, entrambe storicamente a rischio per alluvioni da largo bacino, grazie ai dati raccolti ed elaborati ad hoc è stata realizzata una prima mappatura sperimentale per supportarle nel rafforzamento della resilienza del loro patrimonio culturale e naturale. Il risultato della data analysis non è stato incoraggiante: “gli edifici selezionati nelle aree pilota – prosegue la ricercatrice – hanno presentato un alto grado di vulnerabilità, dovuto alla significativa suscettibilità delle strutture all’impatto idrico e soprattutto alla mancanza di un piano di manutenzione. Abbiamo fornito indicazioni su come procedere facendo anche simulazioni di emergenza, in collaborazione con vigili del fuoco e protezione civile, un’esperienza ripetuta nel Dicembre 2019 anche a Ferrara dove la Piazza del Duomo si allaga regolarmente ad ogni bomba d’acqua rovinando la chiesa, a partire dai suoi basamenti”.

I dati della ricerca di base per migliorare i piani strategici internazionali

Già liberamente a disposizione online, il progetto continua ad evolvere e crescere contemporaneamente sia dal punto di vista geografico che da quello di elaborazione e analisi dati, senza trascurare l’aspetto della user experience.

“Vorremmo raccogliere ulteriori dati da altri casi studio e aumentare la mappatura UNESCO già visibile in piattaforma per l’Europa Centrale per cui abbiamo inserito dati georeferenziati di ogni sito distribuiti su territorio – spiega Bonazza – dal punto di vista dei dati miriamo a migliorare le previsioni degli impatti sul patrimonio culturale tramite soluzioni di intelligenza artificiale e/o machine learning ma al contempo anche ad integrare nella stesura delle mappe di rischio, oltre a pericolosità e vulnerabilità, anche un terzo fattore: il valore socio economico di ogni patrimonio analizzato”. Aumenterà la mole di dati da gestire e la big data analysis sarà ancora più sfidante, è un passaggio delicato ma importante, una sfida per il team di ricercatori convinti di voler affinare i risultati del progetto e, allo stesso tempo, di migliorarne la fruibilità e rendere la piattaforma interattiva. Ciò significa ad esempio il poter in futuro effettuare una valutazione della vulnerabilità di ogni specifico bene interrogando l’utente su caratteristiche sia fisiche che gestionali/manageriali per poi associargli un indice di rischio tra 0 e 1 personalizzato (figura 2).

Il progetto illustrato da Bonazza non si vuole però limitare a distribuire consigli ai singoli responsabili di un bene culturale e naturale, ha anche un ambizioso obiettivo internazionale e strategico, quello di far inserire le misure di preparazione e prevenzione elaborate a seconda delle casistiche di rischio diverse e del tipo di bene considerato e basate su ricerca scientifica di base, all’interno dei piani di azione sia nazionali che internazionali, a partire dal Sendai framework, il quadro di riferimento per la riduzione del rischio di disastri adottato dalle Nazioni Unite, e il team si sta già muovendo perché ciò accada.

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