Tutto inizia nel 2008, anno che tutti ricordiamo per il tracollo del sistema finanziario globale di cui ancora oggi sentiamo le conseguenze. Satoshi Nakamoto, personaggio attorno al quale tutt’oggi aleggia una nube di mistero [Satoshi Nakamoto sarebbe infatti uno pseudonimo dietro al quale ancora non si sa chi vi sia in realtà; a maggio 2016 Craig Wright, imprenditore e informatico australiano ha deciso di rivelare la sua doppia identità davanti le telecamere della BBC, sostenendo di essere lui l’uomo che ha inventato il bitcoin ma nessuno è stato in grado di confermarlo – ndr], pubblica il protocollo Bitcoin attraverso un white paper nel quale viene descritta un’architettura tecnologica atta a reggere la circolazione di bitcoin, criptovaluta [moneta digitale la cui implementazione si basa sui principi della crittografia per convalidare le transazioni e la generazione di moneta stessa – ndr] che transita liberamente tra gli utenti senza costi sulle operazioni e senza il controllo di un organo centrale [Bitcoin con la maiuscola indica l’architettura tecnologica – di cui sono stati rilasciati dettagli e codice nel 2009, bitcoin con la minuscola indica la moneta digitale criptata – la cui prima emissione risale al 2010 – ndr].
L’architettura che ‘regge’ la fiducia distribuita è la Blockchain. La grande rivoluzione, da un punto di vista teorico, sta proprio nell’assenza di ‘intermediari’, come una banca; il libro contabile, il cosiddetto bank ledger, ossia il libro mastro sul quale viene registrata tutta la contabilità di una banca, diventa in realtà un ‘distributed ledger’ accessibile da qualsiasi utente che effettui una transazione ed entri quindi a far parte della ‘catena di distribuzione’, cui è affidato il controllo dell’intero sistema o di una parte di esso (tutte le informazioni del ‘libro mastro’ sono distribuite e condivise da tutti i soggetti del network, cioè da coloro che partecipano alla Blockchain).
Sebbene Nakamoto abbia dato il via all’architettura Bitcoin (cioè l’infrastruttura che sottende alla circolazione della moneta criptata bitcoin), in poco tempo il concetto di Blockchain ha preso il sopravvento (identificando appunto con esso il nome dell’infrastruttura e preferendo parlare di Blockchain e non di Bitcoin per evitare che venga culturalmente associata solo alla moneta bitcoin) e più o meno dal 2013 lo si utilizza per descrivere la piattaforma tecnologica che sta alla base di meccanismi di ‘trust’ che potrebbero abilitare nuove forme di scambio (di valuta, di beni, di informazioni, di contratti, ecc.) dove la fiducia non è più riposta in una entità centrale ma distribuita tra tutti i partecipanti dello ‘scambio’.
Le tecnologie alla base del funzionamento della Blockchain non rappresentano in realtà nulla di nuovo per il mondo It; si tratta di un mix di soluzioni informatiche che vanno dal file sharing peer-to-peer alla crittografia, in particolare ‘a chiave pubblica e privata’ [algoritmi asimmetrici o simmetrici che si basano sull’utilizzo di chiavi per cifrare e decifrare una informazione – ndr] e la crittografia hash [algoritmo matematico che trasforma dei dati di lunghezza arbitraria – un messaggio – in una stringa binaria di dimensione fissa chiamata ‘valore di hash’; gli algoritmi di questo tipo sono unidirezionali quindi difficili da invertire, motivo per cui sono utilizzati nelle firme digitali, per l’autenticazione dei messaggi oppure proteggere le credenziali private degli utenti nell’accesso ai servizi digitali – ndr]. Ciò che appare rivoluzionario, seppur con l’impiego di tecnologie già esistenti, è la loro unione nel formare quella che appunto viene riconosciuta come una ‘catena di blocchi’.
Che cos’è dunque un’architettura Blockchain?
Un’architettura Blockchain, in sostanza, ‘custodisce’ un deposito di dati formalmente costituito da una lista di record che continua a crescere, ma che resiste ad eventuali modifiche. Tale deposito di dati (il distributed ledger che nel mondo finanziario potrebbe essere ‘paragonato’ al libro contabile della banca) risiede su ogni singolo nodo (computer) e non è quindi governabile e manipolabile da un ente centrale. La lista di record contiene differenti tipi di informazioni: le transazioni (che contengono i dati di un fatto o un’operazione) e le tracce di come le transazioni vengono inserite nel database distribuito (che rappresentano i veri e propri blocchi). È importante comprendere la differenza tra transazioni e blocchi perché è su di essa che si basa anche la diversità tra utenti/partecipanti alla Blockchain e i cosiddetti ‘miners’: i primi sono gli utenti che vogliono effettuare una transazione (per esempio trasferire un bene ad un altro), i secondi sono coloro che creano i blocchi e che inseriscono la transazione nel database centralizzato (generalmente a fronte di una ‘ricompensa’ per il controllo effettuato sulla transazione, per non alimentare comportamenti illeciti che farebbero quindi cadere il meccanismo di fiducia della comunità).
Un mercato in movimento
Non è compito di ZeroUno tracciare scenari di tipo sociologico o ideologico, certo è che, in linea teorica, un meccanismo di fiducia distribuita a livello globale, sorretto da tecnologie ‘nelle mani di tutti’, senza la possibilità che tale sistema possa essere corrotto, risulta a dir poco dirompente. È bene rimanere sul fronte della ‘teoria’ perché, in realtà, seppur i rischi di finire come in un film di fantascienza intrappolati all’interno di un’anarchica prigione cibernetica siano remoti, i limiti oggettivi allo sviluppo di una tecnica liberatrice e disintermediante, applicata a qualsiasi contesto, sono tutt’altro che superabili.
Rimanendo all’interno dei nostri confini, quelli It, il funzionamento della Blockchain mostra evidenti difficoltà in termini di scalabilità. Per poter verificare un nuovo blocco o aggiungere una transazione all’interno della catena serve tempo; partendo dall’analisi fatta su Bitcoin gli analisti di Forrester stimano che il 50% dell’intero network in realtà lavori per questo tipo di operazioni e per ogni singola verifica servano in media 10 minuti (cosa che porta ad avere, all’interno di Bitcoin, 7 tps – transazioni al secondo). “Paragonando questi dati alla media di 2500 tps generate all’interno del circuito Visa che può reggere fino a 40mila e più tps, risulta ancora difficile pensare ad una Blockchain scalabile”, ammette Martha Bennett di Forrester.
Vero è che il mondo si è mosso, soprattutto sul fronte It, dallo sviluppo di software per inviare, ricevere e gestire il proprio conto bitcoin (Exchange bitcoin, Greenbits, posteBit, Blockchain.info, solo per citare alcuni nomi), fino a coloro che costruiscono le infrastrutture od offrono servizi di pagamento. Dal 2010 ad oggi, attorno a algoritmi Bitcoin/Blockchain si è sviluppato un mercato di aziende Ict specializzate – che nel primo trimestre 2016 valeva già oltre 1 miliardo di dollari – suddivise in 7 categorie (figura 1): payment processing, infrastrutture, exchange, financial services, mining, wallet e ‘universal’ (quelle di carattere un po’ più generale che lavorano magari in consorzi su specifici progetti di sperimentazione).
Per maggiori informazioni: Blockchain: cos’è, come utilizzarla e come cambierà il business