Brevettabilità del software: la partita è ancora aperta

Il voto contrario del Parlamento Europeo alla direttiva della Commissione sulla brevettabilità del software non ha chiuso la questione che rimane, invece, aperta e dibattuta.
Dopo avere dedicato la cover del numero di luglio-agosto a questa scottante tematica, ZeroUno ha intervistato Mauro Toffetti, presidente di Confesercenti Milano e Giacomo Cosenza, fondatore e presidente di Sinapsi, per comprendere quali sono le tematiche ancora in discussione.

Pubblicato il 01 Set 2005

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MILANO – Calmate le acque, dopo il voto del parlamento europeo che ha respinto la normativa sulla brevettabilità del software, si dovrà ora capire quali nuove prospettive si aprano, anche a partire da un esame a mente fredda del voto stesso. Questo ha infatti respinto senza appello (con 648 voti contrari 14 a favore e 18 astenuti) la direttiva, sostenuta dalle maggiori corporation del software ed espressione di un accordo tra Consiglio e Commissione europei. Si tratta di un evento storico per ben due ragioni, come ricorda Mauro Toffetti, presidente di Confesercenti di Milano, associazione che si è battuta contro la normativa, soprattutto in nome delle Pmi italiane del software. “È la prima volta che il parlamento europeo respinge una direttiva approvata dalla commissione europea”, sottolinea Toffetti. “Il risultato è però importante anche perché evidenzia il ruolo, determinante per la mobilitazione, svolto non solo dai grandi quotidiani e dalla stampa tecnica, ma anche dalla Rete”.
Ritornando all’esame del voto, la quasi unanimità raggiunta non deriva da un accordo sulla materia in esame. Secondo molti osservatori, sulla decisione hanno influito anche le tensioni del parlamento nei confronti di commissione e consiglio per il modo in cui è stata portata avanti la direttiva. “Si è arrivati a questo voto con posizioni diverse, ma c’è una collera collettiva e unanime nel Parlamento per il modo in cui la direttiva è stata portata avanti da commissione e consiglio”, è stato il primo commento di Michel Rocard, parlamentare europeo francese, relatore del progetto.
Per molti si è assistito anche a una prova di democrazia e di trasparenza, dove le ragioni del voto dei diversi parlamentari e le loro posizioni risultavano ben chiare. Lo ha affermato ad esempio Giacomo Cosenza, fondatore e presidente di Sinapsi, uno degli imprenditori informatici italiani che si è impegnato in prima persona nella battaglia contro la direttiva e ha seguito tutto l’iter dei lavori.

Giacomo Cosenza, fondatore e presidente di Sinapsi

“Il voto negativo ha rappresentato una scelta di minor danno possibile per tutti e dunque deriva da motivazioni e posizioni spesso divergenti al loro interno”, commenta Cosenza, sottolineando che il risultato attuale non vieta esplicitamente la brevettabilità, come invece sarebbe potuto accadere se fossero stati approvati gli emendamenti in tal senso.
Va però detto che per il voto contrario è stata determinante proprio la decisione dei maggiori gruppi parlamentari di evitare la votazione sui 178 emendamenti. “Alla fine si è evitato di dare alla luce un mostro che non garantiva più gli interessi delle grandi organizzazioni del software che avevano sostenuto inizialmente la normativa, nè conteneva le ragioni delle piccole imprese da noi rappresentate”, sottolinea Toffetti.
Sul versante di coloro che si sono opposti alla normativa, la prima azione concreta sarà probabilmente la battaglia contro il ruolo svolto fin qui dell’Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO), un organismo privato che non ha mai cessato di registrare i brevetti software (ne sono finora stati approvati 30mila), nonostante la norma vigente vieti tuttora la concessione di brevetti su concetti astratti. Questa battaglia è stata annunciata, subito dopo il voto, da Confesercenti, che ha dichiarato, in una lettera al Ministo Stanca, di operare affinché i brevetti illegalmente registrati presso l’EPO, vengano immediatamente invalidati.
Ma quella contro l’Epo non sarà l’unica iniziativa, in quanto le ragioni che avevano spinto alla definizione di una normativa che omogeneizzasse le diverse legislazioni degli stati membri non sono venute meno. E duqnue, nonostante la Commissione abbia annunciato, subito dopo il voto che, rispettando la decisione del Parlamento, non presenterà una nuova proposta, i giochi non sono chiusi: “Una normativa condivisa a livello europeo è indispensabile. E dunque sarà necessario anche mettersi al lavoro per creare le condizioni per una nuova direttiva”, precisa Cosenza.
Anche sul versante opposto è improbabile che le grandi industrie dell’informatica, che da tempo sostengono i brevetti a protezione del software e delle idee che ne sono alla base affermando che questo agevolerebbe la ricerca e l’innovazione e metterebbe le invenzioni europee al riparo della concorrenza americana, accetteranno senza ribattere l’attuale situazione. Tuttavia non si riparte da zero. Tutti gli attori hanno compreso la necessità di mettere da parte le posizioni ideologiche (che non sono mancate per entrambi gli schieramenti), per trovare una soluzione che tenga conto dei diversi punti di vista.
A questo scopo, riferisce Toffetti, a livello italiano si stanno aprendo diversi tavoli di discussione: “Abbiamo coinvolto importanti forze politiche affinché svolgano quel ruolo di sintesi delle diverse posizioni che a loro compete e abbiamo individuato, all’interno di Confindustria, interlocutori interessati, soprattutto fra i giovani imprenditori”. L’obiettivo è trovare una posizione che tenga conto di alcune delle esigenze poste dai grandi software vendor ma tuteli anche le imprese europee e italiane, non bloccando l’innovazione, ma stimolando l’imprenditorialità innovativa.

Normative di proprietà intellettuale orientate allo sviluppo?
Il dibattito che si va ad aprire si colloca in un contesto più ampio su come possa configurarsi un regime di proprietà intellettuale orientato allo sviluppo. Anche se, è bene sottolinearlo, il tema della brevettabilità del software ha alcune caratteristiche specifiche che lo differenziano da quello più generale sui brevetti sulle invenzioni high-tech, come ha tenuto a precisare all’indomani del voto europeo Stefano Maffulli, rappresentante italiano di FSFE (Free Software Foudation Europe), affermando: “Le innovazioni ad alta tecnologia sono sempre state brevettabili, e perfino se la direttiva fosse passata con tutti gli emendamenti proposti, sarebbero rimaste brevettabili”.
È tuttavia inevitabile che anche la prossima discussione sulla brevettabilità del software, intesa come tutela di quella proprietà intellettuale che rappresenta uno dei principali incentivi per la nascita e lo sviluppo di imprese creative, un motore dell’innovazione e, quindi, la crescita stessa dei sistemi-paese, debba considerare altre e ben più ampie tematiche. La discussione non può quindi ignorare il dibattito che si sta aprendo in alcuni importanti organismi internazionali e prese di posizione di economisti, quali il premio Nobel Joseph Stiglitz secondo il quale (ovviamente non è il solo ad affermarlo, ma quella del Premio Nobel è una voce particolarmente autorevole) le attuali norme relative all’attività economica internazionale non tengono conto in misura adeguata degli interessi del mondo in via di sviluppo e che, anche nei paesi industrializzati, riflettono in primo luogo gli interessi delle grandi corporation.
E segnali importanti che indicano come queste opinioni stiano facendo breccia sugli organismi internazionali sono la recente decisione dell´Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (Wipo) di valutare in che modo sia possibile definire una normativa sulla proprietà intellettuale orientata allo sviluppo e la scelta dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) di dedicare il prossimo ciclo di negoziati commerciali all’evoluzione delle economie dei paesi in via di sviluppo.

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