Cambio, dunque sono

Pubblicato il 08 Apr 2009

C’è una frase interessante di Jeremy Rifkin, il noto economista e studioso dei fenomeni di cambiamento economico-sociali, in apertura al primo capitolo del libro recentemente scritto da Elserino Piol, “Per non perdere il futuro” (Guerini Associati): “I grandi cambiamenti si manifestano impercettibilmente. Fino a quando, un bel giorno, tutto diventa obsoleto e capiamo di vivere in un mondo completamente nuovo”.
Attorno a questo concetto, il cambiamento quotidiano, incrementale e rapido, vogliamo costruire il nostro ragionamento per questo editoriale.
Cosa sta cambiando e come? Sta cambiando tutto, sia pur con modalità e tempi differenti. Solo che questo cambiamento non avviene attraverso una rivoluzione bensì con una crisi che, giorno dopo giorno, ridefinisce duramente ogni cosa, ogni abitudine, ogni modello di riferimento in ogni campo dell’attività umana. “Il grande timoniere”, Mao Tse Tung, sosteneva che è nel cambiamento e nel caos che si genera il nuovo. Diceva infatti: “Grande è la confusione sotto il cielo, dunque tutto è stupendo”. E’ infatti estremamente difficile oggi vivere questi momenti di dura crisi, ma è anche interessante vedere come vada costruendosi il nuovo. Siamo nel mezzo di una fase evolutiva in cui molte delle ipocrisie politiche, delle inefficienze aziendali e individuali, degli sprechi inutili, del consumo eccessivo saranno inevitabilmente eliminati, spazzati via dall’impossibilità di sostenerli.  Siamo entrati, su scala globale, in un sistema alla fine del quale, per ogni attività che stiamo realizzando, esiste una sorta di  “filtro implacabile” le cui maglie sono la sostenibilità, l’efficienza, il ridimensionamento del superfluo ed altro ancora da cui dobbiamo necessariamente passare; e se ne usciremo, ne usciremo probabilmente migliori.
La ridiscussione dei modelli di crescita economica nasce dalla crisi in corso. Si tratta di un micidiale meccanismo di razionalizzazione dei differenti sistemi che regolano l’economia e la società globale: la crisi infatti mette a prova di efficienza, di capacità e resistenza i sistemi finanziari, il mondo politico, il mondo occupazionale e del lavoro, le relazioni sociali, la capacità di innovare e non restare fermi, i sistemi educativi, fino ai più reconditi ambiti di ogni singolo individuo e della propria capacità di affrontare questa fase di cambiamento.
E proprio da qui, riallacciandoci alla frase di Rifkin riferita ad un cambiamento quotidiano che ridefinisce il tutto, dobbiamo ripartire. Dalle corde più intime di ogni individuo che è parte di un sistema (nel nostro caso parte di un’organizzazione aziendale) che sta profondamente evolvendosi (innovandosi), un sistema di cambiamento in cui il singolo, senza affidarsi sempre alle decisioni altrui, deve essere soggetto attivo, rendendosi artefice, nel proprio ambito di competenza, di una nuova mentalità: l’accettazione del valore che deriva dal cambiamento, unitamente alla volontà di rinnovare e innovare, la capacità di gestirlo e di trarne risorse e…business.
Chi all’interno delle aziende si trova oggi a governare i sistemi informativi non può non essere culturalmente parte di questo fenomeno. Non può rifiutarlo dietro l’esile parete del taglio del budget, della complessità o di chissà quale altra scusa (la disattenzione da parte del management nei confronti dell’Ict). Il cambiamento individuale (e di ogni persona che lavora nell’organizzazione IT) è la condizione primaria per avere la capacità di supportare l’innovazione aziendale, mentre la stessa azienda diventa parte di un mercato globale in profonda ridefinizione.
Naturalmente questo cambiamento deve essere compiuto anche a livello di Paese, e nel nostro caso la sfida è ancora più ardua. Ma siamo fiduciosi che lo tsunami partito da una crisi finanziaria che è poi diventata economica ed ora lambisce le coste dei sistemi politici sulla spinta di segnali preoccupanti di crisi sociali determinate da condizioni economiche sempre più critiche, saprà ridare slancio e visione anche a chi fino ad oggi ha curato, dalla sfera politica, i propri interessi elettorali a scapito di una visione di sviluppo strategico che andasse oltre la ricerca del consenso, convinto di poter gestire comunque la situazione. Questa crisi saprà inevitabilmente incidere anche sui meccanismi politici che fino ad oggi non hanno saputo disegnare un percorso di valorizzazione delle eccellenze e delle caratteristiche primarie del nostro paese, brutalizzate più volte in passato da “saccheggi” effettuati in nome dell’interesse politico, partitico e, talvolta, privato. È chiaro a tutti, ormai, che il tempo è scaduto. Come dice testualmente Piol nel suo libro: “L’Italia sconta il deficit di competitività del sistema paese, cioè di quell’insieme di valori, norme, istituzioni, infrastrutture che non solo ospitano l’attività economica, ma che dovrebbero promuoverla e farla crescere in modo armonico…. Serve una strategia di politica economica centrata sull’offerta, su riforme che rendano più competitiva l’economia italiana. Ma bisogna trovare un “autore”, una coalizione politica che la faccia propria”. Bene, la nostra idea è che se nessun autore politico si farà carico di questa visione e di queste decisioni, non avrà la possibilità di governare il Paese perché gli mancherà il consenso sociale.
Ma non abbiamo più tempo per aspettare che altri, come sempre, facciano la nostra parte. Ciò che ci potrà condurre al superamento dell’attuale fase di difficoltà è l’accettazione e la consapevolezza del cambiamento. Se sapremo davvero metterci in discussione, come singoli, faremo parte di questo processo e saremo pronti culturalmente a seguirlo e a coglierne gli elementi di vantaggio, sfruttandolo nelle numerose occasioni di novità e nelle opportunità che sempre si presentano in queste fasi evolutive. Cambiare come IT, attraverso lo scardinamento di procedure, processi e territori protetti, che in numerose aziende già la crisi ha fatto saltare perché anacronistici, alla ricerca del valore, del servizio agli stakeholder, dell’impegno e della corresponsabilità nel supportare il management nello sviluppo del business; ridisegnando anche un rapporto vendor It-utenti rispettoso dei reciproci interessi ma comune negli obiettivi finali. Cambiare anche come azienda nel suo complesso, nella capacità cioè di ridisegnare modalità e tipologie di relazione, linguaggi, strumenti con i consumatori e il mercato attraverso prodotti e servizi innovativi. Che non vuol dire nuovi; vuol dire più vicini alle vere esigenze di persone che vivono il disincanto della crisi e la ricerca di nuovi modelli di consumo e di qualità del tempo e della vita.

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