CEO&CIO: Roberto Gavazzi, ad di Boffi Scelte per lo sviluppo

Da azienda familiare a brand internazionale con 70 show-room in tutte le principali città europee. Roberto Gavazzi , amministratore delegato e socio, racconta l’evoluzione e le sfide di Boffi che punta ancora a crescere. Con lanci di nuovi brand e non escludendo, se necessario, acquisizioni mirate.

Pubblicato il 02 Apr 2008

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Da manager a imprenditore, alla guida di un’azienda che da forte connotazione familiare è diventata un marchio internazionale noto in tutto il mondo per lo stile, la qualità produttiva e il design. Roberto Gavazzi (nella foto), amministratore delegato e socio di Boffi, ha fatto il suo ingresso nel 1989 dopo aver lavorato in aziende multinazionali. Aveva voglia di cambiare e ha avuto la fortuna di incontrare Paolo Boffi che aveva appena rilevato l’azienda dai fratelli ed era in cerca di risorse finanziarie e di apporti manageriali per rilanciarla. Entrato come azionista e come manager, nel tempo ha rilevato le quote di maggioranza. ZeroUno lo ha intervistato per capire in che modo l’azienda si è evoluta e come si sta attrezzando per le prossime sfide.

Quali sono state le tappe che hanno contraddistinto lo sviluppo dell’azienda da quando ha fatto il suo ingresso? In quali ambiti il suo intervento è stato maggiormente incisivo?
L’azienda aveva bisogno di risorse finanziarie e di interventi un po’ su tutti i fronti: dalla sostituzione della prima linea di manager al lancio di prodotti fino allo sviluppo di nuovi spazi di mercato. Ho lavorato in tutte queste direzioni. Mi sono dedicato inizialmente ai prodotti cucina e al consolidamento nel mercato italiano dove già nei primi anni Novanta l’azienda realizzava circa il 90% del proprio fatturato.
Dalla metà degli anni Novanta ho invece avviato una diversificazione dell’azienda proiettandola nei mercati esteri con la diffusione di negozi monomarca e, sempre in quegli anni, ho puntato a una estensione del brand Boffi nel bagno che rappresentava una nicchia piccolissima di fatturato, intorno al 2-3%, dalle caratteristiche tuttavia estremamente interessanti.
Si trattava infatti di un settore a bassa competizione, non presidiato da grandi nomi, dove nessuno si proponeva come total supplier. Nel 1995 abbiamo così inventato lo stile di vita del bagno Boffi: un progetto integrato e coordinato, dai sanitari alla rubinetteria, dagli accessori alle lampade e agli specchi, che intercettava la nuova esigenza di cura di sé degli individui, interessati a rigenerarsi all’interno della casa.
Si è trattato di una tappa fondamentale che ci ha consentito di posizionarci nella fascia di alta gamma del settore con una forte riconoscibilità di stile.
Grazie a questa brand extension abbiamo lanciato i negozi monomarca “misti”, cucine + bagni, più affascinanti e con una più vasta capacità di attrazione della clientela, che hanno rappresentato la nostra fortuna a livello internazionale. Il debutto è avvenuto a Milano con il negozio in Via Solferino nel 1998 a cui sono seguiti quelli di Londra, New York, Parigi. Oggi siamo praticamente in tutte le principali città europee e internazionali con 70 show-room; 20 di nostra proprietà e 50 in franchising.

Un’azienda fortemente proiettata nei mercati internazionali che sta allargando la propria gamma di offerta e che produce ancora in Italia . Per quanto tempo sarà ancora possibile essere competitivi con il modello organizzativo che avete scelto?
Abbiamo scelto di rimanere con un’unica fabbrica nel nostro distretto in Brianza e di stringere legami molto forti con aziende italiane con capacità innovativa per tutte le tecnologie che non ci appartengono perché crediamo che ci siano qui ancora oggi degli ottimi fattori critici per il successo: c’è la disponibilità di una mano d’opera di buon livello; ci sono ottime tecnologie disponibili fra diversi piccoli produttori che facilitano la scelta di esternalizzazione; ci sono molte aziende collegate e di fascia alta da cui acquisire know how o spunti in un distretto caratterizzato da un ‘ottima circolazione di idee. Inoltre se si guarda al resto di Italia, al Veneto e alle Marche, si possono trovare altre risorse qualificate per produrre a costi ragionevolmente competitivi. Il livello di qualità e la tipologia e sofisticazione del processo produttivo che abbiamo, improntato ad una grande flessibilità e adattabilità per una clientela esigente come la nostra, richiedono una produzione che non si adatta a quella fatta in altri paesi. Penso che l’Italia si difenderà ancora bene su questo terreno.

Che cosa è cambiato negli ultimi anni nelle tecnologie di produzione di un prodotto costoso, caratterizzato da un’alta personalizzazione che dura vent’anni? Eccellenza nella serialità o altro?
Sempre più ci si orienta verso macchine semplici, che producono serie limitate, a costi ragionevoli, che non richiedono grossi stock né a monte né a valle: questa è la nostra strada. Altre aziende che lavorano sulla quantità si affidano ancora a grandi linee. Per quanto ci riguarda tendiamo a produrre e gestire all’interno della nostra fabbrica tutte le lavorazioni e le attività a maggior valore aggiunto e di maggior complessità e a esternalizzare soltanto le fasi o gli aspetti più semplici che, fatti in quantità da altri, sono realizzati meglio. Per esempio, non partiamo da fasi a troppo basso valore mentre abbiamo da sempre investito in know how e tecnologie in alcune aree che ci contraddistinguono molto come la verniciatura o il fuori misura affidato alle tecniche accurate della nostra falegnameria interna. Anche la lavorazione di alcuni materiali diventati strutturali o utilizzati nei processi produttivi come l’alluminio e il corian sono trattati e gestiti internamente per garantire qualità e flessibilità.

Un just in time sempre più obbligato dunque?
Siamo tutti obbligati ad avere scorte piccole e a lavorare con tempi di “attraversamento” dei materiali molto corti per ottenere la flessibilità massima della produzione. Oggi Boffi è ben posizionata perché è una delle fabbriche più piccole in assoluto per output prodotto e fatturato per metro quadro; sfruttiamo ogni millimetro per ridurre al minimo il materiale all’interno e occupare il minor spazio possibile. Nonostante i risultati ottenuti comunque non ci fermiamo mai. Le tecnologie hanno fatto grandi passi in avanti negli ultimi anni. Fino a qualche anno fa la meccanica aveva decisamente macchinari migliori rispetto all’industria del mobile; oggi invece possiamo contare su macchine e strumenti ottimi che ci aiutano nel raggiungere la strategia di massima flessibilità imposta dal comparto e dalla concorrenza.
Boffi ha avuto importanti collaborazioni con architetti e designer di primissimo piano che hanno consentito ad alcuni prodotti di essere ospitati in musei prestigiosi italiani e internazionali dal Moma di New York alla Triennale di Milano. Quanto e come l’imprenditore si interfaccia oggi con i designer nello sviluppo di stili e di prodotti? La collaborazione con i designer è importantissima. Noi abbiamo avuto la fortuna di avere sin dall’inizio Piero Lissoni come art director – era stato già scoperto da Paolo Boffi. – Mi ha insegnato tantissimo. Il suo apporto è stato determinante per lo sviluppo dell’azienda non solo per la sua grande e specifica abilità di progettare e disegnare prodotti ma per la sua intelligenza ,strategica e tattica, nel dare una visione e nell’aiutare a capire la direzione giusta in cui proiettarci.
I grandi percorsi delle linee di prodotto sono state individuate dal triumvirato Lissoni, Paolo Boffi e io. Lissoni ci ha aiutato poi anche a individuare ottimi designers, che coordina, con cui realizzare le diverse collezioni della nostra produzione.

Quanto è critico nel suo settore il rischio di un prodotto sbagliato?
È molto alto. Sbagliare un divano è un errore che può essere risolto senza troppi problemi in un tempo relativamente breve, nell’ordine di 8-10 mesi. Nel caso del prodotto cucina parliamo di 4-5 anni : da 1 a 2 per pensare il prodotto, un altro anno per ingegnerizzarlo e metterlo in produzione e ancora quasi 2 anni per distribuirlo nei negozi: trattandosi di un bene dal valore di 20-30.000 euro è infatti fonte di trattative con i rivenditori che intendono recuperare i costi della precedente collezione e necessitano di tempo per riprogettare gli spazi del punto vendita. Un prodotto sbagliato per alcune aziende può risultare addirittura drammatico.

La tecnologia può dare una mano nel migliorare alcune criticità aziendali? Penso al trasferimento delle informazioni in una realtà fortemente internazionale o a un’integrazione della progettazione con la produzione e la fabbrica?
La tecnologia e la disponibilità di software non troppo complicati e non così costosi come sono stati sino ad ora possono risolvere alcuni aspetti gestionali che, tuttavia, sono ancora migliorabili. Certamente progettare davanti al cliente aiuta ma occorre poter fare affidamento su software che non siano difficili da usare, graficamente adatti. Direi che ora ci si sta avvicinando velocemente alla disponibilità di programmi che abbinino capacità grafiche notevoli con capacità di calcolo e di risoluzione dei problemi. Per quanto ci riguarda, la progettazione non è integrata con i sistemi informativi di produzione; ad oggi è stata pensata per il cliente finale e privilegia maggiormente gli aspetti estetici e grafici . In futuro dovremo avere uno strumento unico che consenta di gestire meglio il trasferimento delle informazioni, riducendo le possibilità di errore.

Le più grandi sfide dei prossimi 5 anni?
Nel nostro comparto, più che in altri, occorre avere una visione e sapersi muovere con largo anticipo soprattutto nella cucina che ha tempi e rigidità maggiori. È indispensabile infatti capire, oltre alla moda, quale sia il prodotto giusto da ingegnerizzare e portare sul mercato senza che invecchi e che possa durare. Al primo punto direi dunque che è indispensabile avere naso e visione e sapersi circondare di persone che a loro volta abbiamo fiuto.
La seconda sfida è diventare grandi; il nostro mercato è frammentato in piccole e piccolissime aziende, tutte al di sotto dei 200 milioni di Euro di fatturato e numerosissime, con nome e qualità, intorno ai 10 milioni di euro che
devono gestire un prodotto estremamente complesso, con margini non alti, di qualità. Crescere dunque anche comprando altri se è necessario come abbiamo già fatto in passato acquisendo un’azienda di nicchia di qualità altissima la Norbert Wangen. Tuttavia la maggior parte delle aziende del nostro settore sono spesso a conduzione familiare o comunque con un management che ha il piacere di continuare a gestire aziende che appassionano. Difficili da cedere e pertanto difficili da acquistare. Pertanto Boffi ha nelle sue corde il desiderio di crescere estendendo ulteriormente il brand ad un’altra gamma che oggi incide soltanto per l’1% del nostro fatturato, quello dei sistemi di interpareti, porte e armadi,una divisione che abbiamo iniziato a sviluppare nell’ultimo biennio che ha una forte sinergia e contenuto di know how vicino a quello originale. Ci vogliamo dotare sempre più di strumenti di progettazione che permettano, a di là del singolo pezzo e del singolo oggetto, di proporre uno stile Boffi. L’altra criticità e nello stesso tempo opportunità è in quali mercati crescere al di fuori dell’Italia sfruttando il forte brand costruito. I limiti con cui ci scontriamo, oltre a spazi adatti non sempre facilmente reperibili, riguardano i rivenditori e le persone con cui collaborare. Siamo ormai presenti in 50 Paesi e per ognuno abbiamo uno o più rivenditori, ovvero aziende attrezzate per gestire il cliente locale che dobbiamo formare e assistere sul prodotto e inserire nella nostra organizzazione anche se stanno a 10.000 chilometri di distanza. Stiamo investendo molto in questo ambito, in persone con un grado di professionalità e di competenza che si coniughi con la nostra immagine e il posizionamento dei nostri prodotti. Cerchiamo solitamente architetti abbastanza giovani che assumiamo e formiamo fra la sede produttiva in Brianza e il negozio di Milano e che poi si trasferiscono anche in altri paesi. Il nostro obiettivo è di trasmettere i valori chiave dell’azienda, dando un forte imprinting Boffi con lo scopo non solo di continuità, peraltro confermata dal basso turnover, ma di innalzare la soglia di professionalità.

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