Oggi abbiamo una disponibilità di tecnologie e di architetture e un insieme di forze ‘disruptive’, come cloud, mobility, social network e big data, che in teoria rappresentano per i dipartimenti It una potentissima leva per saper dare risposte efficaci alle esigenze di business. C’è in particolare la possibilità di bilanciare meglio il classico rapporto
80-20 [80% del budget dedicato alla manutenzione dell’esistente, il 20% per un’innovazione orientata al business ndr]”, ha affermato Stefano Uberti Foppa, Direttore Responsabile di ZeroUno aprendo i lavori della Tavola Rotonda “L’Ict al centro del rilancio della produttività italiana”, organizzata da Finaki- ZeroUno- NetConsulting lo scorso ottobre a Milano e ospitata presso la sede di UniCredit Business Integrated Solutions. “I Cio si rendono senz’altro conto dell’opportunità che la forte discontinuità tecnologica offre loro, ma hanno difficoltà nel tradurla in fatti concreti – ha aggiunto – Bisogna infatti intervenire su aspetti organizzativi, di processo, culturali e di relazione con il business che deve essere adeguatamente seguito nella sua variabilità. Cercheremo dunque di capire come, con un forte supporto anche da parte dei vendor, che stanno a loro volta cambiando approccio per aumentare la spinta della componente innovativa a supporto del business, sia possibile per il Cio svolgere un reale ruolo di traino per la competitività aziendale”.
Dopo i saluti di Giorgio Bongiorno, Delegato in Italia di Finaki e Massimo Milanta, Presidente Comitato di programma Finaki 2014, Cio di UniCredit e Direttore Generale di UniCredit Business Integrated Solutions, il tema è stato ripreso da Giancarlo Capitani, Presidente e Amministratore Delegato di NetConsulting che ha evidenziato alcune contraddizioni del rapporto fra Cio e top management emerse dalla web survey realizzata da Finaki- ZeroUno- NetConsulting (72 aziende della Community Finaki – vedi correlata dal titolo “Quaderno Cio Conversations 1 – Quale governance delle tecnologie e dei processi”): “Prima di tutto, il Cio riconosce che la propria priorità strategica non è la riduzione dei costi, ma il supporto all’innovazione di prodotto e di servizio. Si tratta di un Cio – dice Capitani – che si valuta positivamente nella capacità di dialogare con il top management (63%); per contro, e questa è la prima contraddizione, solo nel 24% dei casi si considera veramente capace di porsi come business advisor”. Su cosa si svolge dunque il dialogo fra Cio e top manager, ci sarebbe da chiedersi? Ma ancora più eclatante è la seconda contraddizione evidenziata dalla survey: un Cio che ritiene di avere un’ottima capacità di governare la macchina operativa solo per il 42% dei rispondenti (e dunque meno della metà) e solo per il 37% di avere ottime capacità di fare percepire il valore dell’It in azienda.
“Neppure i vendor aiutano il Cio a migliorare o chiarire le relazioni con il business. Quelli che hanno partecipato alla survey dichiarano infatti di avere un ruolo connesso soprattutto all’efficientamento della macchina operativa, nelle sue diverse sfaccettature, e dunque non riescono ancora a supportare il Cio nel difficile dialogo con il business – aggiunge Capitani, proponendo al panel due domande – Come realizzare allora una collaborazione leale e aperta fra Lob, top management e Cio? E come fare quell’innovazione frugale [intendendo che l’innovazione non necessariamente coincide sempre con l’avanguardia tecnologica ma piuttosto è la rappresentazione di qualcosa che ha valore all’interno di un’azienda, vedi l’articolo “Innovazione frugale: lavorare sul riassetto organizzativo” Quaderno Cio Conversations 1 ndr] che punti al risultato anche con il supporto dei vendor?”.
I Cio a scuola di leadership
Per i Cio è una questione di leadership che va conquistata in termini di comunicazione, di coraggio, di competenza e voglia di studiare, è l’opinione di Francesco Caio, Ceo di Avio Aero e Commissario del Governo per l’Agenda Digitale: “Negli ultimi dieci anni la tecnologia digitale è andata molto avanti rispetto ai meccanismi classici di gestione, tanto che non ha più senso una separazione netta fra tecnologia e business – ha detto – Ma nel dialogo con il top management, il Cio mantiene ancora oggi un atteggiamento ‘gregario’, mentre dovrebbe assumere una funzione da leader, posizione che va conquistata proponendo iniziative di innovazione forti e avviando un dialogo anche dialettico e alla pari con il resto dell’executive team , incluso il Ceo”.
A suo parere il Cio (che sarebbe meglio definire Chief Digital Officer) dovrebbe diventare il partner di riferimento del Ceo sul conto economico, per aiutarlo a recuperare e aumentare, grazie alla tecnologia digitale, la redditività e il cash flow dell’impresa. In momento in cui i margini sono spesso ridotti proprio a causa della adozione da parte di nuovi concorrenti di tecnologie digitali per rivoluzionare processi e prodotti. “In questo contesto di forte innovazione e discontinuità – ha proseguito Caio – a volte è lo stesso Ceo a non avere chiaro come usare il digitale per raggiungere gli obiettivi di crescita e profitto. Cultura e consapevolezza digitale non sono ancora sufficientemente diffusi tra i vertici (e i CdA) delle imprese; e anche i Cio e i loro team non sempre brillano per conoscenza e capacità di integrazione delle tecnologie digitali di ultima generazione. I ‘cobolisti’ sono certo indispensabili per la manutenzione del patrimonio legacy, ma per svolgere un ruolo propositivo di innovazione rivolta al business serve una nuova cultura”. Altra sfida è quella del linguaggio e della comunicazione. “I Cio dovrebbero parlare il linguaggio del business. Le discussioni con il vertice e con il board – ha detto ancora il Ceo di Avio Aero – non dovrebbero dunque essere utilizzate per illustrare gli aspetti tecnologici di nuovi strumenti quali, per esempio, il cloud, ma per un confronto su come migliorare il conto economico: abbassando drasticamente, grazie all’innovazione tecnologica, il transaction cost [gli oneri aggiuntivi relativi alle operazioni di compravendita di beni ndr], o lanciando nuovi business grazie all’introduzione nei prodotti di innovazione digitale”. È un percorso più vicino agli esperti di tecnologia digitale nell’ambito dei prodotti che ai tradizionali team It, considerazione che, secondo Caio, deve indurre alla riflessione su come acquisire nuove competenze e cambiare atteggiamento. “Altrimenti, visto che l’innovazione serve, le Lob la cercheranno fuori, scavalcando i dipartimenti It”, ha concluso.
Ci sono sufficienti ‘provocazioni’ per scatenare il dibattito a partire da un suggerimento di Anna Maria Di Ruscio, Partner e Direttore Generale di NetConsulting, che ha proposto, a completamento delle doti del Cio leader, la dimensione del sogno, ossia la capacità di proporre una visione del futuro capace di comunicare dove si vuole andare e i possibili percorsi. Molte le puntualizzazioni anche sul ‘ruolo gregario’, di cui ha parlato Caio, a cui è stata dai più assegnata un’accezione non necessariamente negativa, ma di contributo essenziale al successo della squadra, anche se i Cio presenti hanno ammesso che questo atteggiamento deriva di fatto da una scarsa “propensione allo scontro” con il top management e da una limitata capacità, ad oggi, di comunicare il valore dell’It per il business.
Comunicare i benefici, parlare il linguaggio del business
Davide Gindro, Ict Director di Avio Aero, facendo riferimento a una delle doti necessarie per il Cio leader indicate da Caio, ha rivendicato per sé e per il suo team It la voglia di studiare. Ha ammesso però la scarsa capacità, da parte dell’It, di comunicare quanto fa: “Abbiamo acquisito credibilità grazie all’eccellenza operativa e alla riduzione dei costi che ci consente di dedicare il 30-35% all’innovazione. Ma non siamo ancora capaci di evidenziare i risultati conseguiti grazie ai progetti di innovazione. Infatti, per esempio, utilizzando nuovi sistemi di progettazione, abbiamo potuto ridurre il time to market e i costi di sviluppo prodotto; oppure introducendo la fatturazione elettronica, abbiamo conseguito significativi risparmi sulle procedure amministrative”.
Secondo Gindro, sarebbe utile realizzare un business case non solo quando si presenta il progetto, ma anche nel momento in cui si ottengono determinati risultati in modo da evidenziarli: “Risulta più semplice andare al confronto con il top management, avendo alle spalle non solo la credibilità dell’operatività, ma anche l’evidenza dei benefici che l’azienda ha conseguito grazie all’attività It”, ha precisato. Il Cio di Avio Aero ha quindi focalizzato un altro problema, ossia la difficoltà di convincere le persone a utilizzare i nuovi strumenti che l’azienda ha mutuato dalla consumerizzazione, in una logica di autoapprendimento: “In azienda, per esempio, molti continuano a utilizzare il telefono invece degli strumenti di comunicazione unificata, mentre a casa queste stesse persone usano Facebook, LinkedIn e Skype senza problemi”, ha ricordato.
Anche sul versante vendor è sempre più sentita la necessità di riorganizzarsi in funzione delle esigenze del business anziché delle soluzioni tecnologiche, come avveniva in passato, ha confermato Agostino Santoni, Amministratore Delegato di Cisco Systems Italia: “Abbiamo analizzato, come molte altre multinazionali, la trasformazione del ruolo del Cio e la sua collocazione nell’organizzazione aziendale. Abbiamo di conseguenza avviato un nostro percorso di trasformazione organizzativa che, all’aumentare del portafoglio di offerta, modifica la professionalità delle persone che seguono le aziende clienti: abbiamo sostituito i ‘generalisti’ con specialisti dedicati alle diverse Lob, per la pre-vendita, la vendita e la consulenza”. Il nuovo approccio investe la denominazione delle linee di prodotto e gli interlocutori all’interno delle aziende. “Se, per esempio, vogliamo proporre un sistema di videocomunicazione ad alta definizione andremo a evidenziare ai Cfo la riduzione dei costi operativi e all’Hr il miglioramento della qualità della vita dei dipendenti. È un approccio che, comunque, condividiamo sempre con il nostro interlocutore principale che resta il Cio”, ha precisato Santoni.
Daniele Rizzo, Chief Information & Business Process Officer Europe di Autogrill, ha portato il punto di vista di “un’azienda, per il tipo di business, non particolarmente tecnologica dove anzi la tecnologia ha sempre avuto un ruolo ancillare e l’It soprattutto una funzione operativa. Tuttavia – ha aggiunto – dal nostro punto di osservazione qualcosa sta cambiando soprattutto nelle funzioni business, che mostrano una crescente attenzione a quanto avviene nel mondo It”. Un esempio recente è la partecipazione massiccia e attenta delle principali funzioni business aziendali, per la prima volta invitate a partecipare alla convention annuale del gruppo It per fare il punto sui piani di sviluppo. “Concordo con Caio sulla crisi di leadership digitale, intesa come insieme di forze che consentono di produrre decisioni giuste nel business utilizzando le potenzialità del digitale – ha dichiarato Rizzo – Nel senso che comunichiamo poco e male, nonostante non ci manchino coraggio, competenza e voglia di studiare. Questo perché comunicare costa e ci manca una visione del ritorno e dell’utilità dello scambio”.
“A conclusione di un processo di trasformazione del Gruppo Ferrero, che aveva investito intensamente sull’innovazione per l’automazione dei processi core, ci siamo interrogati su come l’It potesse contribuire a migliorare la competitività dell’azienda. Avendo verificato cambiamenti radicali a livello internazionale nelle relazioni fra aziende e consumatori, grazie soprattutto ai social networks, abbiamo deciso di giocare un ruolo propositivo e attivo in quest’ambito per uscire dal paradigma che vede l’It legato prevalentemente all’efficientamento della macchina operativa”, ha ricordato Enzo Bertolini, Cio di Ferrero. L’ispirazione per lanciare una Ferrero 2020 (mutuando il nome dal piano strategico decennale per la crescita sviluppato dall’Unione europea) è arrivata da una presentazione di Neelie Kroes, commissario europeo per l’Agenda Digitale. “Per realizzarla abbiamo creato un gruppo di giovani brillanti dedicato a costruire l’Agenda Ferrero, basata su quattro pilastri: il consumer 2.0; il cambiamento dell’impresa nelle modalità interne di interazione; l’Intelligent enterprise; la Corporate social responsibility. Abbiamo poi cominciato a fare i ‘venditori’ al nostro interno con i business leader. Ne è risultato un cambiamento significativo della percezione dell’It da parte del board”.
L’innovazione va coniugata con il valore per l’azienda
Fabio Fregi, Amministratore Delegato e Country Manager di Ca Technologies Italia, riporta l’attenzione sul tema del valore, ricordando che nel mondo occidentale (il caso Apple insegna) i margini si realizzano con prodotti a valore, mentre per i prodotti a basso margine e grandi volumi il mercato è ormai da tempo spostato nel Far East. “Il Cio deve poter spiegare ai decisori aziendali che l’innovazione può consentire di creare quei prodotti ad alto valore che possono essere riconosciuti dal mercato o anche di utilizzare strumenti più efficaci per raggiungere il mercato”. Stesso disorso vale per innovazioni di processo dove spesso non stiamo neanche parlando di soluzioni necessariamente all’avanguardia: per esempio è facile far comprendere al Ceo il valore di investimenti in tecnologie web se gli si ricorda che anche in Italia, nonostante l’economia in contrazione, l’e-commerce cresce del 25% anno su anno e vanno dunque sfruttati tutti gli strumenti e i canali, compresi i social network a loro volta in crescita, che consentono di raggiungere nuovi clienti. Più in generale, ha aggiunto Fregi: “I Cio devono riuscire a spiegare il valore dell’investimento in tecnologia. I vendor li devono supportare anche aiutandoli a tradurre esperienze internazionali di successo in valore per le aziende che operano in Italia, favorendo l’apertura ai mercati internazionali, per superare le difficoltà del mercato interno”.
Stefano Nocentini, Responsabile del Progetto Integrazione dei Servizi di Poste Italiane, evidenzia quattro diversi tipi di innovazione che possono portare valore: “Credo sia essenziale per questa comunità riuscire a differenziare i diversi tipi di innovazione, evitando di concentrarsi solo sul livello delle performance It; è inutile essere efficientissimi sull’It se poi l’azienda fallisce”. Il primo livello di innovazione è tutto interno all’It e rientra nella categoria del saving: innovando si riesce a costare meno e performare di più. Il secondo livello riguarda i processi organizzativi e va realizzato in collaborazione con le HR: “Si dovrebbe partire dai vantaggi che l’It consente e non, al contrario, fare la ristrutturazione e ‘applicarci sopra’ il sistema informativo – ha suggerito – Il cloud, per esempio, può essere visto, secondo la vecchia logica del consolidamento, come puro saving oppure si può valutare come, mettendo i dati a fattor comune, si possano evitare processi magari prima considerati fondamentali e consentire controlli più snelli”. Il terzo livello di innovazione va realizzato in collaborazione con le Lob a partire dall’ottimizzazione di prodotti e servizi esistenti, mentre per il quarto livello, che punta a realizzare nuovi prodotti digitali, va progettato in accordo non solo con le Lob, ma anche con il board: “Anche in questo caso va evitato l’errore che la Lob crei un nuovo prodotto, concepito alla vecchia maniera, e chieda all’It di supportarlo – ha concluso Nocentini – Il modo giusto è studiare il nuovo prodotto in modo da sfruttare tutte le opportunità della rivoluzione digitale, intesa come capacità di passare da dati a servizi”.
Di Ruscio propone di aggiungere un quinto livello di innovazione, quello che non si limita ai processi aziendali, ma va a creare, fuori dal tradizionale business aziendale, nuove filiere di prodotti e servizi; un’operazione che definisce nuove modalità di business con altre aziende. Gli esempi non mancano: “Poste è il più eclatante [ha aperto nuove attività di tipo bancario, assicurativo, offre servizi digitali e logistici alle imprese ndr], ma sono interessanti anche i casi di alleanze del food e del bianco, la mobilità integrata ecc.”.
Giuseppe Pavone, Responsabile Sviluppo Nuovi Business nell’area mercato Grandi Imprese e Pubbliche Amministrazioni di Poste Italiane conferma la necessità di una visione che non si limiti al tradizionale perimetro dell’azienda. “Per contribuire al rilancio della produttività italiana c’è bisogno di abilitatori e integratori, aziende in grado di mettere a sistema buone pratiche, creando un ecosistema con i vendor, come accade in altri mercati più evoluti, in ottica di servizio, anche se non è facile”, ha ammesso, ricordando che la sua azienda ha fondato il proprio successo sulla diversificazione, trasformandosi in 15 anni da azienda in perdita, concentrata sui servizi tradizionali, a società multiservizi che vanno dall’assicurazione alla fatturazione elettronica passando per i servizi digitali”. E oggi è un’azienda con un bilancio che nel 2012 ha chiuso con 1.032 milioni di euro di utile netto. Secondo Lorenzo Gonzales, Strategist Enterprise Group Emea di Hp, la capacità di spostare l’It aziendale dalla focalizzazione sull’automazione dei processi a un business engineering che si avvalga dell’It fin dal momento del concepimento dell’idea è ancora scarsa: “Quando le Lob concepiscono un nuovo prodotto/servizio andrebbe fin dall’inizio progettato tenendo conto delle potenzialità della digitalizzazione. It e business devono collaborare, visto che l’It da sola e il business da solo non possono essere in grado di concepire e realizzare un nuovo processo digitale”, ha sottolineato. All’interno delle aziende si dovrebbe tenere in maggiore considerazione come il mondo sia cambiato, quanto la tecnologia sia parte integrante delle nostre interconnessioni e che il vero valore proviene ormai dall’interazione fra servizi digitali che portano informazione. “Come Hp abbiamo guidato un gruppo misto aperto, Enterprise 2020, dove ci si interroga sulle prospettive per il 2020 sfruttando le forze tecnologiche in campo, ancora in gran parte esterne alle aziende ma che stanno cambiando il mondo – ha ricordato – Il mondo consumer oggi è più avanti di quello aziendale: a livello privato usiamo le tecnologie in modo ampio nelle nostre attività quotidiane, ma le aziende non sono ancora in grado di trasferire al proprio interno queste esperienze in modo compiuto. Spesso infatti la consumerizzazione si traduce semplicemente nell’acquistare al più basso costo possibile”.
Anche Milanta è intervenuto sul tema del valore “la trasformazione del nostro ruolo di partner del business è iniziata da tempo e sempre più spesso siamo chiamati a prendere decisioni Ict che hanno un impatto economico diretto sulle scelte di business. L’innovazione non può più essere solo sperimentazione ma diventare vantaggio competitivo e produrre risultati economici. Il punto non è se il ruolo di Digital Officer debba essere assegnato al Cio o al Business, piuttosto la capacità di innovare l’intera organizzazione, facendo leva sia su personale interno sia su partner esterni, in termini di skills, imprenditorialità, capacità sia di execution che di intercettare i trend vincenti”. Va in ogni caso immediatamente compreso quale sia il gap da colmare, tanto per la componente orientata al processo e alla riduzione costi, quanto per quella relativa a innovazione e governance.
In accordo con Milanta, Aldo Chiaradia, presidente Comitato di Programma Finaki 2013, insiste sull’aspetto organizzativo per incidere sulla velocità dell’azienda: “Le organizzazioni che ho conosciuto sono troppo lente, più orientate a difendere la complessità che esprimere la volontà di semplificare – ha sottolineato – Complessità dovuta ad architetture costruite un pezzo alla volta e che non tengono conto di un disegno complessivo. Ne sono responsabili anche i vendor che invece ci dovrebbero aiutare ad avere oggi una visione architetturale organica difficile da costruire, ma che sarebbe il punto di partenza per una maggiore agilità e velocità per rispondere ai cambiamenti”.
Quali competenze per quale modello di It
Il tema delle competenze, la cui carenza a tutti i livelli era stata evocata da Caio nel suo intervento, viene considerato nella maggior parte degli interventi un elemento di forte criticità. Quali siano gli skill da integrare e come farlo dipende da come si pensa al dipartimento It del prossimo futuro.
Chiaradia vede, per esempio, la funzione It come “un integration hub, più che un creatore di applicazioni”. Servono dunque un Cio e un team It attenti a quello che il mercato offre in termini di prodotti e servizi, pronti a discutere sugli aspetti contrattuali, capaci di integrare i servizi. Ma resta aperto il problema, evidenziato da Capitani, di come facciano il Cio e l’azienda a incorporare competenze discontinue rispetto a quelle note. “Uno dei modelli possibili è quello prospettato da Ferrero che inserisce giovani in quanto utilizzatori innovativi”, ha detto Capitani indicando come risposta più generale quella di avvalersi di ‘competenti’ che arrivano da altri settori, affermando addirittura che “In futuro il Cio sarà probabilmente competente di un segmento e di un settore non di derivazione tecnologica”.
Resta da capire come strutturare competenze che non siano semplicemente l’evoluzione delle attuali. In questa evoluzione un ruolo fondamentale potrebbe essere svolto dai vendor che dovrebbero capire come aiutare il Cio a essere innovatore nella discontinuità.
Massimo Ferrini, Country Manager, Citrix Systems Italia, evidenzia però la difficoltà dei vendor a supportare le aziende in un percorso di innovazione a causa di una scarsa conoscenza da parte dei Ceo, ma spesso anche da parte degli stessi Cio, delle articolazioni dei diversi soggetti che compongono il mondo Ict. “Spesso i Cio e i Ceo ci vedono genericamente come i ‘vendor’, senza distinzioni fra chi crea la tecnologia e chi la utilizza per sviluppare soluzioni”. Una maggiore conoscenza aiuterebbe la qualificazione della domanda che potrebbe rivolgersi ai giusti interlocutori per realizzare vere partnership. Sul tema della valutazione della produttività It, particolarmente complessa, il ruolo principale, a suo parere, lo gioca comunque il Cio che ha le competenze per integrare le diverse componenti, visto che conosce sia la tecnologia e gli strumenti sia i processi aziendali.
Anche per Marco Forneris, Consigliere Delegato di Exprivia, il nodo principale è legato alle “competenze, visto che negli ultimi anni la crisi non ha creato solo problemi, ma anche salti tecnologici spaventosi”, ha detto, ricordando ad esempio l’impatto del web sul banking anche in termini organizzativi, la distruzione dell’editoria tradizionale a causa del digitale, l’avvento della comunicazione senza intervento umano nell’aviazione e nell’automotive, diventati sistemi governati dall’informatica. “Ma quali strumenti ha il Cio per affrontare queste tematiche? Viaggia nella corsia centrale, superato a sinistra dal consumer e a destra dall’ingegneria. Non si può ignorare che in questi ultimi anni l’innovazione sia arrivata soprattutto dal mondo consumer e dall’ingegneria attraverso la forte integrazione fra informatica e prodotti. Ci si deve allora chiedere se il Cio sia adeguato, in termini culturali, metodologici e organizzativi, per affrontare questo rinnovamento e se il suo perimetro debba rimanere confinato nell’It tradizionale o non debba invece estendersi a queste nuove aree. Una cosa è certa: l’informatico come l’abbiamo conosciuto nel passato non ha più senso di esistere”.
“Il mio ruolo It non è invece molto diverso del passato: sono abituato a imparare dalle esperienze innovative – ha ribattuto Paolo Sassi, Group It Director di Artsana – Saper parlare di business oggi è fondamentale, ma credo lo fosse anche in passato. La principale differenza è la capacità di saper condurre la discussione con le Lob con maggiore ‘morbidezza’, visto che dall’altra parte ci sono spesso ragazzi che portano valore in azienda e in alcuni ambiti ne sanno più noi”.
Anche Sassi ha ripreso l’approccio di Bertolini, con l’idea di portare innovazione in azienda attraverso figure professionali che per esperienza ed età parlano il linguaggio dei nuovi media e del marketing. “È indispensabile, anche se non sempre è semplice, integrare le proposte dei giovani nelle architetture e nelle configurazioni dei nostri sistemi informativi – ha aggiunto – . Non sempre è facile far dialogare iPad e Sap!”. Per costruire la credibilità, il Cio deve far comprendere al business che integrare innovazione tipicamente consumer all’interno dei processi aziendali non è banale, ma richiede un approccio strutturato e la conoscenza delle architetture aziendali. Ma anche sul versante delle persone del business serve uno sforzo di formazione che dia valore alla gestione dell’informazione. “Probabilmente il ruolo del Cio come uomo di tecnologia tenderà a scomparire, ma è indispensabile mantenere all’interno dell’azienda una visione architetturale coerente indispensabile per introdurre nuove tecnologie”, ha concluso Sassi.
Importante, anche secondo Milanta, l’apertura ai giovani, che porta all’interno dell’azienda “persone che propongono un nuovo approccio al business e sono antropologicamente diverse nell’approccio alle tecnologie – ha detto – Ma dobbiamo anche uscire dagli uffici per andare nei campus universitari e dove nascono le startup per toccare con mano l’innovazione frugale e la discontinuità. C’è qualcuno oggi che ha in mano il futuro del 2020; bisogna andare a capire dov’è e se per caso non potremmo essere noi i nuovi protagonisti del futuro”.
Massimo Messina, Head of service line Ict di UniCredit Business Integrated Solutions, a partire dalla sua vasta esperienza in più aziende e settori, si è chiesto come realizzare una maggior pervasività dell’It, ricordando che soprattutto nelle grandi organizzazioni permane una netta spaccatura fra due categorie dell’It: gestionale e trasformazionale. “Ascoltando la discussione ho segnato alcune parole chiave, riconducibili alla prima categoria dell’It, come consolidamento, time to market, capacità di fabbrica, costo, qualità big data, cloud, Soa; mentre impatto, comunicazione, valore e rilevanza, gestire la frontiera del possibile, opportunità sono riconducibili alla seconda – ha evidenziato – Sul trasformazionale il cambio di mind set è agli inizi nonostante i Cio siano chiamati dal business a condividere la responsabilità dell’innovazione del modo in cui l’azienda opera, agendo sulla leva It per ottenere ruoli nuovi all’interno di ecosistemi, alcuni dei quali inesistenti fino a qualche anno fa, e che però rappresentano le sfide e le opportunità maggiori in futuro. Le nuove esigenze sono non solo quelle di gestire un demand management e rispettare parametri di time to market e di cost control, ma anche comprendere questi ecosistemi e suggerire percorsi di innovazione sfidando la frontiera del possibile. Servono nuove competenze e quindi nuove figure professionali che interpretino questo nuovo scenario“.
I Cio Finaki per la digitalizzazione del Paese
In conclusione l’Ict può contribuire non solo a migliorare la competitività del sistema delle imprese italiane, ma del Paese nel suo complesso mettendo a fattor comune esperienze e riflessioni. Francesco Caio nelle sue conclusioni, dopo aver fatto il punto sull’Agenda Digitale per l’Italia (si veda l’articolo “Francesco Caio: la “mia” Italia digitale” del Quaderno Cio Conversations 2), ha riconosciuto come una comunità forte, di persone che lavorano in aziende protagoniste di esperienze innovative, sia rilevante a supporto del suo ruolo di Mr. Agenda Digitale.