Si parla molto, talvolta a sproposito, di digital transformation, ma qualcuno ha iniziato a chiamarla “big bang disruption”, come gli autori dell’omonimo libro. È con il riferimento al lavoro di Larry Downes e Paul Nunes che Andrea Rangone, neo Amministratore Delegato di Digital360 ma noto ai più come professore del Politecnico di Milano che 15 anni fa ha fondato gli Osservatori Digital Innovation, introduce i lavori del primo C-level Summit, organizzato da Digital4Executive e ZeroUno, le due testate del Gruppo Digital360 che, da differenti punti di vista, sono focalizzate sui temi della trasformazione digitale. “Mai come in questi anni siamo in presenza di un cambiamento che sta radicalmente trasformando la nostra società e che si caratterizza per imprevedibilità, velocità, magnitudo”, afferma Rangone, ricordando le tante imprese travolte dall’arrivo degli smartphone, come quelle specializzate in navigatori e console giochi, per non parlare del settore discografico affossato dalle startup che fra il 2007 e il 2009 hanno definito nuove modalità di fruizione della musica. Oggi sono settori come l’alberghiero e dei trasporti a essere minacciati da realtà come Airbnb e Uber. “Ma non vengono risparmiate neppure le imprese innovative e digitalizzate. Nessun settore è immune. E le minacce in Italia sono ancor più pericolose per i ritardi negli investimenti in digitalizzazione. Nel nostro paese siamo particolarmente indietro soprattutto a causa di barriere culturali – è la spiegazione di Rangone – I nostri manager di business mediamente presentano sensibilità molto basse verso la tecnologia digitale, mentre sul versante It troviamo manager super esperti in tecnologia, ma ancora scarsamente coinvolti nelle logiche di business”.
Il problema è serio visto che stiamo andando verso un’economia dove logiche di business e logiche digitali si stanno compenetrando. Rangone usa una metafora presa dalla chimica: “In passato si è concepito l’Ict verso il business come una sospensione dove, come l’olio nell’acqua, le sostanze restano separate; oggi, con un business intrinsecamente digitale, serve invece una soluzione dove, come lo zucchero nell’acqua, le molecole si leghino”.
Lo sforzo di Digital360, a partire da questo primo C-Level Summit, cui seguirà una seconda edizione a fine 2016, è capire come favorire questa trasformazione, non limitandosi ad affrontarla in modo generico, ma andando anche a specializzarla per area funzionale e per settore industriale.
Modello disruptive o evolutivo?
“L’evoluzione tecnologica, culturale e organizzativa della direzione Ict a supporto del Business”: è questo il titolo della prima tavola rotonda della giornata, moderata da Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno, con la partecipazione di: Luciano Bodini, Bhc Logistic & Distribution Head di Bayer; Aldo Chiaradia, Cio di Furla; Demetrio Migliorati, Digital Workplace & Innovation di Banca Mediolanum; Luca Prina, Direttore Centrale Marketing e Comunicazione di CheBanca!; Umberto Stefani Group, Cio di Chiesi Farmaceutici.
“Siamo in un momento di trasformazione profonda che coinvolge le aziende e le persone non solo sul piano tecnologico, ma anche sociale e culturale – esordisce Uberti Foppa- Cambiano le modalità di relazione con gli strumenti digitali, dal possesso del prodotto alla condivisone del servizio, cambia la struttura del mercato in tutti i settori. Nell’automotive, per esempio, le prime caratteristiche che spingono all’acquisto di una macchina sono servizi digitali dove il software è fondamentale mentre quelle tipiche dell’auto arrivano dopo”.
La sollecitazione di Uberti Foppa è: “Se la tecnologia non serve solo per aumentare l’efficienza, ma è uno dei driver attraverso il quale i modelli stanno cambiando, come introdurla e svilupparla? Qual è valore nella trasformazione?”
“La novità non è la digitalizzazione, ma la consapevolezza di essere digitali – sostiene Migliorati, contestando il temine digital trasformation – Il problema è far capire alle persone che lavorano con noi che il nostro è un business digitale, e questo è ancor più vero nel settore bancario”. Mediolanum, per esempio, ha messo in campo un programma per aiutare la banca a capire il comportamento, dal linguaggio alle attitudini, degli utenti, che già sono digitali; inevitabili gli impatti sul modo di lavorare: “La tecnologia va dominata abbandonando l’abitudine a considerare i processi come immutabili”.
Se da un lato la tecnologia serve per migliorare il modo di lavorare, è ovvio che l’impatto più significativo è quando abilita la realizzazione di nuovi servizi: “Se non riusciamo a disegnare un nuovo modo di fare banking, corriamo il rischio che il cliente riesca a svolgere tutte le operazioni che normalmente associamo al mercato finanziario con altre entità [non necessariamente banche – ndr]”, conferma Migliorati, che sostiene si debba accogliere la straordinaria energia di cambiamento che arriva dalle startup per cogliere opportunità anche in aree tecnologiche apparentemente distanti dal finance, come IoT e wearable, per offrire nuovi servizi. “La banca è una software company; investire in tecnologia è determinante se vogliamo adeguare i nostri comportamenti a quelli del cliente”, sottolinea.
Inutile parlare di digital disruption, secondo Prina, perché stiamo già vivendo l’era del digitale. CheBanca! è digital native, essendo nata lo stesso anno dell’iPhone, ricorda il Direttore Centrale Marketing e Comunicazione sottolineando che “il cliente non è interessato alla tecnologia, che considera un abilitatore. Quello di cui mi devo preoccupare è di conoscere e soddisfare i suoi bisogni”.
Da parte sua, Chiaradia mette in luce la discontinuità dei nuovi modelli portati dalla digitalizzazione: “Dovremmo interrogarci prima come uomini e poi come uomini di azienda su cosa sta accadendo grazie alla tecnologia. Tutto sta arrivando molto prima di quanto atteso. Ci si può aspettare a breve, innestando metodologie come DevOps, con il domain driven design di cui si parla da 15 anni e l’intelligenza artificiale, la produzione automatica di applicazioni”.
Più cauta la posizione di Bodini, che tuttavia evidenzia come anche in un settore normato qual è il farmaceutico, ci siano grandi possibilità di sviluppo derivanti dalla tecnologia: “Certo non si possono vendere i farmaci su Internet, ma ci sono possibilità di sviluppo colossali sia nelle tecnologie sia nei processi – sottolinea – Spesso siamo però ancorati a vecchi modelli culturali, che non ci consentono di sfruttare le potenzialità. Sarebbe necessario dunque coinvolgere tutti gli attori, suggerisce: chi distribuisce e chi trasporta il farmaco, fino all’utente finale che non è la farmacia o l’ospedale, ma il paziente”.
Stefani vede la fase attuale come uno dei punti di discontinuità di un processo di digitalizzazione iniziato oltre 50 anni fa con l’informatizzazione della contabilità e che da allora non si è mai fermato: “Ma è importante tenere sempre presente la centralità del business per non ripetere gli errori fatti con l’avvento di Internet per mancanza di un modello di business adeguato”, avverte, sottolineando la necessità di relazione stretta fra It e business e la crescita di entrambi in termini di consapevolezza e conoscenza.
Quale disegno organizzativo per essere attori della disruption?
Per innovare e comprendere il mercato, rispondendo ad alcune domande cruciali formulate da Chiaradia (quale sarà l’Uber che minaccerà la mia azienda? Come sarà il prodotto che porterò in negozio? Chi sarà il cliente che lo comprerà e dove? Cosa si aspetta dal mio brand?) “non basta più un It che segua le linee del business – sostiene – È necessario stare dentro le Lob e, in un certo senso, superare i colleghi del business, non ci si può limitare a chiedersi cosa si aspettano da noi”.
Va dunque superato, nella relazione business-It, il modello cliente fornitore?
Ne è convinto Migliorati che propone, sulla base di quanto è stato realizzato nella sua azienda, una nuova organizzazione, più fluida, con la totale condivisione delle criticità, dove non ci sono più silos ma programmi.
“In Mediolanum siamo stati avvantaggiati dal fatto che l’onda del digitale, che da quasi 15 anni abbiamo cominciato a cavalcare, fa ormai parte della nostra cultura. Abbiamo dovuto lavorare maggiormente nelle aree più strettamente bancarie per portare a questa contaminazione delle competenze. Ma oggi i marketing manager parlano il linguaggio dell’Ict e le persone dell’Ict non hanno alcun problema a comprendere metriche di performance basate sull’ingaggio dei clienti”.
Stefani concorda sulla necessità di partnership fra It e business, che la sua organizzazione ha posto al centro, ma richiama anche la necessità di una distinzione dei ruoli: “La nostra R&D sta studiando come portare la tecnologia all’utente finale, aiutandolo a utilizzare meglio il farmaco attraverso una app che consente di tenere sotto controllo la fruizione del farmaco e nel contempo fornisce tutta una serie di informazioni correlate. Per realizzarla servono competenze e conoscenze di prodotto che l’It non possiede”, spiega.
Anche Bodini ritiene ormai superato il modello cliente-fornitore fra business e It. “È fondamentale la capacità di lavorare in team, avendo le conoscenze di base che consentono di capire il problema e dialogare con il mio partner dell’Ict”, ma avverte, con una metafora automobilistica molto convincente: “L’evoluzione tecnologica sta andando a una velocità esponenziale e se non ci vogliamo ‘schiantare’ dobbiamo tener presente sia il cruscotto sia la strada che stiamo percorrendo”.
È comunque necessario avere “le antenne sempre alzate”, i sensori per essere pronti anche a cambiamenti imprevedibili: “Nel nostro settore – ricorda – oggi il farmaco è uguale per tutti, ma la medicina sta andando verso farmaci studiati per i singoli individui”. È evidente che questo avrà impatti e conseguenze enormi sul modello di business.
Il nodo delle risorse e delle competenze
“Come le nuove esigenze del business spingono l’innovazione nella direzione Ict” è il titolo della seconda Tavola Rotonda della giornata, moderata da Manuela Gianni, direttore di Digital4Executive, che prosegue l’analisi del cambiamento della relazione fra la direzione Ict e le Lob in questo nuovo scenario digitale per condividere con i protagonisti esperienze e difficoltà. Fra le principali criticità è emerso il nodo delle risorse, affrontato con approcci diversi dalle differenti realtà presenti sul palco.
Federico Ferlenghi, Customer Care Director di Sky Italia indica, fra gli obiettivi della sua unità, la digitalizzazione di tutte le informazioni relative alla gestione del cliente: l’analisi cliente, la digitalizzazione della chiamata (trascritta e analizzata da un motore semantico che categorizza i concetti principali), la costruzione di modelli predittivi rispetto a possibili problemi: “Nonostante non sia facile tenere il passo con la tecnologia, possiamo contare su processi molto normalizzati e un It forte, con un buon livello di innovazione- dice – Ma per ottenere risultati in tempi brevi, visto che l’obsolescenza delle competenze in questo campo è rapida, abbiamo deciso di introdurre nuove risorse, ragazzi giovani che hanno un approccio out of the box”.
Del tutto diversa la testimonianza di Nicoletta Rocca, HRO Global Ict and Global Procurement di Enel, che sta conducendo un progetto pilota per ricercare le competenze digitali all’interno del gruppo: “Si è partiti dall’assessment delle competenze dichiarate di 5000 dipendenti in Italia (in fase di realizzazione l’esperimento in Spagna e America Latina) riuscendo a identificare un centinaio di digital champion, provenienti non solo dall’It, ma anche da altre aree aziendali”.
Luigi Pignatelli, Country Information Officer di Carl Zeiss Vision Italy, testimonia la riflessione effettuata con il top management che ha avviato un percorso di rivisitazione strategica del business model: pur mantenendo la centralità del punto vendita, l’obiettivo è conoscere meglio il cliente finale e aumentarne la consapevolezza sul ruolo delle lenti nella scelta degli occhiali. “Oggi è sempre più forte la co-partecipazione di business e It alle attività – spiega – Se in passato la governance serviva a mettere in contatto funzioni tecniche con funzioni di business, oggi le competenze It hanno la necessità di comprendere il business e viceversa. Il percorso è già iniziato, ma il cambio culturale è significativo ed è difficile stravolgere l’organizzazione It non sapendo come evolverà il business”. Anche per ovviare alla carenza di competenze interne, la scelta è allora ricaduta su sistemi It flessibili e scalabili ricorrendo a soluzioni tipo as a service e cloud ibrido.
Ha infine puntato tutto sulla riqualificazione delle risorse interne e sulla stretta collaborazione con l’It aziendale il progetto di Amadori di rivisitazione in chiave digitale del processo acquisti, come ha spegato Giampiero Carozza, Cpo – Chief Procurement Officer dell’azienda con l’obiettivo di ridurre il tempo dedicato alla negoziazione, a favore di una gestione degli acquisti sistematizzata e certificata. Il progetto è stato realizzato attraverso un team ‘Business Process Trasformation’ guidato dal Cio, Gianluca Giovannetti.
Digital360, matching network per la digital transformation“La trasformazione digitale rappresenta il principale driver di cambiamento per la crescita economica del Paese e per l’ammodernamento della nostra Pa”, sostiene Andrea Rangone, Amministratore Delegato di Digital360, ricordando di aver fondato 15 anni fa gli Osservatori del Politecnico di Milano per aiutare le imprese a capire meglio la digitalizzazione. “La mission di Digital360 è la stessa – aggiunge – ma con strumenti diversi: accompagnare i decisori di imprese di tutte le dimensioni e la Pubblica Amministrazione nella presa di consapevolezza e anche nell’attuazione dell’innovazione digitale”. A conclusione dell’evento, Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno, ha infine ricordato che questo è stato solo il punto di partenza: “Digital4Executive e ZeroUno hanno in programma la creazione di una serie di tavoli di lavoro (con tavole rotonde di relazione, webinar, incontri) per approfondire ulteriormente le tematiche affrontate oggi e mettere a punto le best practice, identificando punti di riferimento per favorire i modelli di integrazione”, conclude Uberti Foppa, esortando la comunità di Cio ed executive a partecipare ed essere parte attiva del cambiamento in atto. |