“La principale criticità per le startup è la fase di exit”, sostiene Alfonso Fuggetta, Ceo di Cefriel, riferendosi al momento (generalmente 3-4 anni dopo la nascita dell’impresa) in cui gli investitori di rischio che hanno finanziato l’avvio vogliono recuperare il capitale con un’adeguata remunerazione. Il fatto è che questa prospettiva condiziona l’approccio delle nuove imprese che puntano a essere appetibili soprattutto per gli investimenti di rischio e tendono quindi a sviluppare progetti di breve periodo, con scarsa visione strategica a lungo termine. E quando sono interessanti, invece di dare vita a nuove realtà consolidate, vengono acquisite da qualche colosso internazionale.
Ma un’alternativa c’è. “Le imprese italiane dovrebbero imparare a diventare azioniste delle startup per portare l’innovazione al loro interno”, suggerisce Fuggetta. Ma chi dovrebbe promuovere questa strategia all’interno delle imprese? “I Cio potrebbero svolgere questo ruolo, ma a oggi li vedo da un lato in difficoltà per mancanza di budget e dall’altro arroccati su posizioni di conservazione e perplessi per un’innovazione che arriva dall’esterno portata avanti da ‘ragazzetti’”. Come sbloccare dunque un’energia che può aiutare le imprese e il Paese a crescere? “I Cio dovrebbero trovare il modo di assumere il rischio di innovare in modo prototipale e farsi promotori verso il management per diventare davvero attori dell’innovazione aziendale”, suggerisce Fuggetta.
Le mille facce dell’innovazione
Se ne parla tanto di innovazione, ma ognuno ne fornisce una diversa interpretazione. Banca Mediolanum prevede, per esempio, nella sua struttura, aree dedicate all’”Innovazione” e al “marketing research” . Tra gli obiettivi quello di realizzare la mappatura dei rilasci tecnologici considerati particolarmente importanti, come ricorda Oscar di Montigny, Direttore Marketing, Comunicazione e Innovazione della banca. Parte integrante del processo è anche l’organizzazione It che, da un lato, garantisce il funzionamento della macchina operativa, ma dall’altro è coinvolta nella selezione di soluzioni e tecnologie innovative e segnala tecnologie potenzialmente utili al business, in un’ottica di collaborazione. In area Ict, Mapei sta affrontando tutti gli aspetti in cui può essere declinata l’innovazione: dalla sperimentazione del cloud in aree non core come la posta elettronica, al monitoraggio dell’area big data per appurarne i vantaggi per il business, fino ai social network.
“Abbiamo iniziato a verificare con il marketing se il mondo social network possa portare vantaggi al business soprattutto in aree come il Nord America, dove ci rivolgiamo direttamente ai grandi retailer, a differenza dell’Italia dove invece utilizziamo i distributori”, precisa Lorenzo Anzola, Corporate It Director di Mapei.
“A livello strategico non facciamo ricorso all’innovazione esogena”, dice Gionata Berna, Cio di Riello, ricordando la presenza di una robusta struttura di ricerca che conta su quasi 160 addetti. “Anche in caso di disruptive innovation valutiamo per ora la possibilità di ricorrere a risorse interne, dopo attività di brainstorming a livello interfunzionale”, aggiunge.
Sono previste collaborazioni con l’Università e la partecipazione a bandi pubblici nazionali ed europei. È il caso del progetto Piace (Piattaforma intelligente, Integrata e Adattativa di microCogenerazione a elevata Efficienza per usi residenziali) dove Riello si è classificata prima fra 90 progetti nell’ambito dei bandi “Efficienza energetica e mobilità sostenibile”, pubblicati dal Ministero dello Sviluppo Economico.
Enel prevede invece ampio ricorso all’innovazione esogena: “Uno dei nostri percorsi per l’innovazione Ict prevede di catturare le idee di soluzioni innovative attraverso un network di cooperazione che vede in campo i maggiori provider Ict (fornitori di Enel), fornitori Ict di piccole dimensioni e le startup”, sottolinea Giovanni Pepicelli, Responsabile Innovazione Ict di Enel. Sono previste anche collaborazioni stabili con la ricerca, soprattutto con il Politecnico di Milano e l’Università di Trento.
Verso le startup, Enel ha sviluppato l’iniziativa Enel Lab (vedi articolo a pag. 37), il cui focus, inizialmente nell’area energy, si sta estendendo ora anche all’area digitale e Ict.
“Le startup, in questa strategia, sono interlocutori importanti per accelerare l’innovazione – sintetizza Pepicelli – A differenza della maggior parte delle utility generalmente poco attente a temi dell’innovazione, Enel guarda con interesse a quanto fanno i provider di tecnologia, ai competitor e alla lateral innovation, che deriva dal trasferimento di tecnologie nate in altri ambiti, ma trasferibili al nostro settore”.
Startup: la parola ai Cio
“La scelta di ricorrere alle startup si colloca nell’abito della strategia di digitalizzazione di Enel che la vede come strumento di coinvolgimento sia verso il cliente (customer engagement), sia verso i dipendenti (Employee engagegement)”, sottolinea Pepicelli.
Un esempio è la partnership con Ennova, startup nata presso PoliHub, l’incubatore del Politecnico di Torino. “ In collaborazione abbiamo sviluppato un’app mobile nell’ambito dei servizi infrastrutturali, rivolta agli utenti interni di un’azienda per aiutarli nella configurazione dei sistemi. Abbiamo realizzato, in maniera veloce, una soluzione innovativa – spiega – In questo modo abbiamo concretizzando l’idea che un’azienda non può proporsi sul mercato come azienda innovativa se non lo è prima al suo interno”.
“Come Mediolanum abbiamo maturato la consapevolezza di doverci focalizzare sul mondo delle startup e sulle tecnologie per velocizzare il mercato della finanza, dove la domanda si deve incontrare sempre più e sempre meglio con l’offerta”, dice di Montigny, includendo le tecnologie per l’analisi dei clienti e le piattaforme social che per Mediolanum rappresentano anche un market place. “In Italia abbiamo avviato i contatti con alcuni tra i più importanti incubatori e acceleratori, non con una logica di investimento, ma per sperimentare alcune soluzioni o sostenere nel loro percorso team particolarmente promettenti, fornendo risorse, spazi e competenze”, aggiunge.
Anche Autogrill guarda con interesse al mondo delle startup come un canale di innovazione da monitorare costantemente. “Fino ad oggi non possiamo però registrare contaminazioni compiute – ricorda Daniele Rizzo, Chief Information & Business Process Officer Europe di Autogrill – In questo mondo ci sono tante competenze, tanto entusiasmo e coraggio, con cui ci piacerebbe ibridare le nostre organizzazioni, ma non saprei indicare la strada giusta per farlo. Stiamo intanto utilizzando un Osservatorio per scoprire talenti capaci di nutrire e supportare la nostra organizzazione”.
A favore delle startup anche Berna: “A livello personale ritengo che ci possano essere grandi vantaggi nel ricorrere alle startup, che partono da zero e non hanno nulla da perdere; sono convinto che ricorrere a giovani imprese innovative possa dare impulso all’innovazione aziendale e sto portando questo punto di vista anche all’interno dell’azienda”.
“Ritengo che l’incontro con le startup sia utile perché tenere conto delle nuove idee fa parte del Dna del nostro mestiere – sostiene Anzola – Ho partecipato ad alcuni incontri di incubatori che presentavano startup innovative; le ho trovate occasioni interessanti. La mia opinione è però che le startup creano un’idea nuova che non è facile da utilizzare, così come è stata pensata, in un’azienda strutturata e complessa, come ad esempio Mapei”.
Le startup? parte di un discorso strategico di innovazione
“La principale ragione per la quale finora Mapei non ha inserito direttamente nei suoi sistemi l’innovazione che arriva dalle startup è che raramente le proposte si possono adattare a quanto è già operativo – prosegue Anzola – Non abbiamo infatti mai trovato un’idea pronta per essere utilizzata. Il vero problema è l’industrializzazione del prodotto, la necessità di mettere a punto strutture organizzative e commerciali che consentano alla startup di diventare un’azienda operante sul mercato”.
Un’altra criticità è l’elevata mortalità delle startup e quindi le imprese temono il rischio di investire risorse (economiche e umane) in realtà poco affidabili: “Il mestiere del Cio non è quello di fare tentativi sulla tecnologia, ma usarla al meglio per essere più efficaci ed efficienti in termini di processo e di risultati economici”, spiega ancora Anzola.
“L’inserimento compiuto delle startup nella strategia di innovazione richiede un layer per congiungere una situazione destrutturata tipica delle startup e un ambiente strutturato e abbastanza rigido che caratterizza un’azienda tradizionale – incalza Rizzo – I meccanismi di innovazione nell’azienda difficilmente si risolvono nell’applicazione di una tecnologia. L’innovazione veicolata da una startup può rappresentare dunque solo uno degli ingredienti dell’innovazione aziendale che deve invece prevederne tanti altri. La visione necessaria a riadattare il modello di business per innovare alcuni processi non deriva certo da una startup. È però importante un atteggiamento di innovazione all’interno dell’azienda tradizionale e di apertura alla raccolta degli ingredienti necessari per l’innovazione. Vediamo nelle startup un potenziale valore, anche se non abbiamo ancora chiari quali possano essere gli scambi veri”.
Da queste prime considerazioni emerge che l’innovazione portata dalle startup va inserita in una più ampia strategia aziendale che deve articolarsi anche in strutture organizzative dedicate e che il Cio, se vuole svolgere il ruolo di Chief Innovation Officer, dovrebbe favorire il processo di conoscenza del mercato delle tecnologie disponibili per trasformare il business e per metterle a disposizione dell’organizzazione.
Creare un ponte fra startup e imprese
Non tutte le difficoltà nascono dalle perplessità dei Cio verso le startup. C’è più in generale una difficolta di comunicazione. Secondo Pepicelli, l’origine delle startup che nascono spesso in ambito universitario e ne mantengono la mentalità, non aiuta. C’è alla base un problema di lessico e di capacità di comunicazione, ma anche di obiettivi; la ricerca si rivolge alla comunità scientifica senza obiettivi di business come revenue e saving. C’è anche la difficoltà di tradurre la ricerca in oggetti reali; spesso le startup non hanno una visione industriale mentre i prodotti/servizi devono essere ingegnerizzati.
“Ma nonostante questi problemi, le aziende devono imparare a rischiare mettendo alla prova la tecnologia sviluppata dalle startup; si guadagna in ogni caso in conoscenza e, se va bene, si ottiene vantaggio competitivo – sostiene Pepicelli – Ad Enel le startup interessano soprattutto per lo spirito di innovazione insito nei loro geni, per la loro possibilità e capacità di partire da zero che manca invece alle aziende consolidate, alle quali possono offrire la spinta per lanciare nuovi servizi ed entrare in nuovi mercati o crearli”.
Concorda di Montigny: “Una struttura giovane e leggera porta con sé i difetti legati a un’organizzazione informale, ma anche tutti i vantaggi. E dunque tendenzialmente sono propenso a sponsorizzarla nella mia azienda. È però ovvio che una struttura come la nostra non può affidarsi esclusivamente a delle startup. Di contro non bisogna aspettare che diventino colossi prima di accordare loro fiducia”.
“Il momento di incontro fra startup e aziende è utile se non c’è solo la presentazione dell’idea imprenditoriale o del prodotto, come oggi accade, ma se vi è la disponibilità di capire le esigenze delle aziende e dunque realizzare un vero confronto. L’incontro con i potenziali utilizzatori può essere un momento di evoluzione dell’industrializzazione della startup”, suggerisce Anzola.
Internet of Things e sistemi di analisie previsione in testa alla classifica
In conclusione abbiamo cercato di identificare, insieme ai Cio, quali siano oggi i settori e le caratteristiche richieste alle startup per essere interessanti per le imprese.
Molti hanno indicato attenzione per iniziative nel campo dell’Internet of Things per impieghi nell’area del risparmio energetico, per l’ottimizzazione di impianti remoti e il monitoraggio dei flussi di traffico stradale, soprattutto se in abbinamento a sistemi di analytics per affinare processi previsionali in campo logistico e di servizio al cliente (Rizzo). Si parla ancora di IoT per l’intelligent building (Pepicelli) e in una logica cross-industry (Berna). C’è interesse a esplorare il mondo dei social network (Anzola e di Montigny) e delle applicazioni in campo fintech (di Montigny).
Ma a prescindere dal settore, avverte Fuggetta, per il successo delle startup è fondamentale che l’innovazione proposta sia sostenuta da una proprietà intellettuale difendibile. Tradotto: non bastano le parole magiche “digitale e Internet” perché un prodotto o una soluzione siano capaci di portare davvero nelle aziende quella trasformazione di cui hanno bisogno , ma servono innovazioni tecnologiche supportate anche da brevetti.