La Digital Transformation sta cambiando il modo di fare business e le strutture Ict, come conferma la Cio Survey 2016, giunta alla sua 10° edizione, realizzata da NetConsulting3 e promossa da Capgemini Italia, Hpe e Tim, della quale anticipiamo alcuni dati. La Cio Survey si pone, ormai da diversi anni, l’obiettivo di monitorare le priorità business e Ict delle grandi e medio-grandi aziende del settore privato, le evoluzioni progettuali, la spesa Ict, i cambiamenti nella struttura Ict e nel ruolo del Cio, le politiche di sourcing.
La ricchezza di dati e informazioni rilevati nel corso di un decennio ci consente di tracciare, attraverso la “lente” del Cio, tutto il percorso di evoluzioni tecnologiche, e non solo tecnologiche, che hanno interessato le aziende italiane di maggiori dimensioni in questi ultimi anni.
In questa edizione, in particolare, ci siamo focalizzati su come i Cio e le loro strutture stanno vivendo la trasformazione digitale, sui progetti che stanno implementando per renderla concreta e visibile al mercato, sulle diverse modalità di interazione, con le altre funzioni aziendali e con partner esterni.
Il 52% dei Cio (su un campione di circa 70 Cio di realtà medio-grandi e grandi, nel periodo ottobre-dicembre 2015) è convinto che la Digital Transformation avrà (di fatto sta già avendo) un impatto in termini di cambiamento del modello di business e porterà a un nuovo offering che potrà anche sostituire quello attuale. Ancora non pochi (32% del panel) quelli che la percepiscono come un’opportunità per fare meglio quello che si è fatto finora e si continuerà a fare. Percezioni diverse, influenzate sicuramente dal settore/comparto in cui le aziende operano, ma anche, e soprattutto, dalla “cultura digitale” del Top Management e dalla capacità del Cio di farsi promotore non di sola innovazione tecnologica, ma di un cambiamento che va oltre la tecnologia e richiede un modo di pensare e agire in logica digitale.
Digital innovation: agire subito, ma…
L’innovazione, nelle sue diverse declinazioni (innovazione di prodotto/servizio, maggiore automazione dei processi, revisione delle strategie di vendita in ottica multicanale) è ai primi posti tra le sfide business delle aziende, e i Cio sono convinti di potere e dover dare un contributo determinante nel raggiungere questi obiettivi (figura 1).
E sono anche convinti, nella metà dei casi, che bisogna agire adesso, perché la Digital Disruption sta già influenzando il business e “stare a guardare” comporta rischi non sostenibili per l’azienda: mancate opportunità di sviluppo su nuovi segmenti di clientela, mancata integrazione tra canali fisici e digitali, aumento delle inefficienze operative.
Questa consapevolezza si scontra con alcuni limiti: mancanza di una cultura digitale, in primis; altre priorità business; carenza di skill adeguati; strategie aziendali e vision che riflettono ancora un approccio tradizionale.
Nonostante i Cio siano sempre più presenti all’interno di Executive Board e partecipino, più che in passato, alla definizione delle strategie aziendali, alcuni di essi dovranno ancora lavorare nell’elevare la percezione della funzione Ict da parte del Top Management e delle Lob: in alcune aziende analizzate, l’Ict è percepita come interconnessa con le modalità di sviluppo delle strategie di business e come area che crea nuove opportunità di business; in buona parte di esse si tratta di un’area che aggiunge valore e rispecchia strategie e bisogni di business. Ma vi sono anche realtà in cui la Divisione Ict è ancora percepita come centro di costo, oppure genera valore per il business, ma il suo costo supera comunque il valore generato.
Tutti motivi che giustificano come diversi Cio intervistati non abbiano ancora predisposto un master plan che definisca progetti di Digital Transformation e orizzonte temporale di realizzazione.
Alla guida della strategia digitale
Ma chi guida la strategia digitale aziendale? È il Cio stesso, seguito dal Chief Marketing Officer, da Comitati misti che contemplano figure sia Ict sia delle altre aree aziendali, in alcuni casi è il Ceo a guidare tale percorso di trasformazione. Alla base dei piani di Digital Transformation, laddove presenti, vi sono progetti abilitati dai trend ben noti, Internet of Things, Analytics/Big data, Cloud, Mobile e Social, e che non trascurano gli impatti che questi trend hanno in termini di security.
Operare in questa direzione vuol dire cambiare il modo e l’intensità dell’interazione della divisione Ict con le altre funzioni aziendali. La Survey evidenzia una significativa interazione soprattutto con l’area Vendite, il Marketing, l’Organizzazione, la Produzione, aree che partecipano anche alla definizione del master plan di Digital Transformation. Ma vuol dire anche cambiare l’organizzazione e la gestione dell’It. Da questo punto di vista, l’approccio che va via via diffondendosi è quello del modello Gartner Bimodal It [l’It aziendale deve avere la solidità per manutenere l’operatività quotidiana e fare evolvere il legacy e la velocità per introdurre elementi di innovazione, cogliendo i nuovi trend per generare profitto, ndr], considerato dai più una necessità più che una moda. Significativa la percentuale dei Cio che dichiara di adottarlo o prevede di farlo a breve. I Cio, quindi, manterranno una parte della propria struttura focalizzata sulle attività sempre gestite, di supporto al business, ma allo stesso tempo, dedicheranno risorse e competenze alla gestione della trasformazione digitale. Quest’ultima struttura, caratterizzata da maggiore velocità di execution e agilità, lavorerà a stretto contatto con chi guida l’innovazione lato business, andando spesso a costituire team interfunzionali dedicati all’innovazione, team in cui l’Ict si vede affiancato soprattutto da risorse del Marketing e dell’Organizzazione.
Quali competenze mettere in campo per l’innovazione tecnologica
È evidente che questo approccio, unitamente ai trend tecnologici che va ad assecondare, richiederà nuove competenze all’interno della struttura Ict e avrà un impatto anche sulle politiche di sourcing e nella gestione della relazione con i fornitori. Per quanto riguarda le competenze, i Cio sono consapevoli di non avere competenze adeguate in alcuni ambiti tecnologici come IoT, DevOps, sviluppo/utilizzo di Api, Analytics, Cloud Computing, e si trovano ad affrontare una duplice problematica: introdurre nuove competenze/profili ma, allo stesso tempo, capire come riallocare, anche in altre funzioni di business, o dismettere figure con competenze non più necessarie, a partire da sviluppatori su tecnologie ormai superate. Relativamente alle politiche di sourcing, i partner esterni che si interfacceranno con le strutture interfunzionali dedicate all’innovazione saranno sempre più startup Ict, digital agency ma anche realtà che non hanno origine Ict. Si configura, quindi, come confermano i Cio intervistati, un nuovo ecosistema di interlocutori.
Alla luce dei cambiamenti importanti che nelle aziende si stanno configurando, o che comunque si realizzeranno nel breve/medio termine, abbiamo chiesto ai Cio se, da qui al 2020, pensano di mantenere il loro ruolo di guida dell’innovazione (chi ovviamente questo ruolo ritiene già di averlo): molti i Cio che lo ritengono probabile e palesano, quindi, qualche timore che altre funzioni, a partire dal Marketing, possano sottrarre loro questo ruolo. Ma la domanda che più porta a riflettere è quella sull’esistenza o meno del Cio nel 2020: la maggior parte dei Cio ritiene che il loro ruolo si manterrà seppur sarà profondamente diverso, ma c’è anche chi (pochi ma da non sottovalutare…) mette in dubbio l’esistenza stessa del Cio nel 2020. Quali scenari, quindi, potrebbero configurarsi e quali modelli organizzativi aziendali e non solo Ict?
* Giancarlo Capitani è Presidente di NetConsulting3
* Mariafilomena Genovese è Project Manager di NetConsulting3