In effetti, interviene Massimo Bollati, Ict & Digital Director di Gruppo Tnt Post, “pur in una situazione in cui siamo ‘bombardati da un’overdose’ di offerta, all’interno della quale non sempre è facile destreggiarsi, non dobbiamo dimenticare che nel rapporto tra Cio e vendor si inserisce un terzo attore fondamentale, il mercato dell’utenza (inteso cioè come la nostra clientela): l’innovazione dovrebbe essere finalizzata al cliente finale, generando al contempo profitti per l’azienda che effettua l’investimento tecnologico”.
“Ma affinché questo avvenga – sottolinea ancora Cutillo – la tecnologia deve essere calata nel contesto aziendale. E’ quindi fondamentale la conoscenza del processo di business che non è sempre facile cogliere nei dettagli”.
Concorda con questa visione anche Giuseppe D’Amato, Direttore Sistemi Informativi di Erg, secondo il quale il ‘rapporto fiduciario’ tra Cio e vendor è molto più complesso di quanto sembri: “Noi dell’It dobbiamo ‘vendere’ al nostro interno i progetti e tanto più i vendor sono in grado di supportarci in questo, tanto più siamo credibili agli occhi del nostro cliente (l’utente aziendale interno prima di tutto, ma anche il cliente o il partner esterno che accedono a servizi digitali supportati dall’It aziendale). Per supportarci adeguatamente a raggiungere questo obiettivo, i vendor devono conoscerci, devono capire chi siamo, come lavoriamo e di cosa abbiamo bisogno; e forse è proprio questo l’aspetto più critico”.
Dalla prospettiva dei vendor, l’approccio tattico all’acquisto della tecnologia da parte delle aziende utenti mina un po’ il territorio della conoscenza reciproca e rende quindi difficoltoso il supporto innovativo che i fornitori di tecnologia potrebbero generare (figura 1). Di contro, come abbiamo avuto conferma anche durante i dibattiti delle Tavole Rotonde, i Cio attribuiscono ai vendor proprio le scarse competenze dei processi specifici caratteristici delle aziende o di un ente pubblico, l’elevato costo dei prodotti (non dei servizi) e la mancanza di vision (figura 2).
“I vendor sono in generale impreparati alle sfide del mercato e disallineati rispetto alle esigenze delle aziende – sottolinea, con nettezza, Mauro Viacava, Cio di Barilla -. La ‘politica del quarter’ [il risultato trimestrale – ndr] rende difficile l’instaurazione di un vero rapporto collaborativo e duraturo; così diventa arduo ragionare davvero sull’innovazione. Dalla prospettiva delle aziende utenti, è vero che c’è un’attenzione spasmodica alla riduzione dei costi, ma dei costi di esercizio, non di investimento”.
Per il supporto innovativo, devono cambiare le regole
Se è vero, da entrambe le prospettive, che nel corso degli ultimi anni si è un po’ perso il rapporto fiduciario e di condivisione, è al tempo stesso innegabile che per ritrovare gli stimoli e i percorsi alla crescita produttiva (del Paese e delle aziende) le ‘regole’ devono cambiare e bisogna guardare all’innovazione con ‘occhi nuovi’.
“Non si può accedere all’innovazione con le stesse regole con cui si acquista una commodity – dice provocatoriamente Roberto Zardinoni, Vice President Sales di Ibm Italia -; se è vero che esiste una stretta correlazione tra investimenti Ict e produttività, perché in Italia si investe meno che in altri Paesi? Noi vendor abbiamo le nostre responsabilità, ma fare innovazione oggi significa intraprendere un percorso di trasformazione che certi livelli di complessità aziendale (organizzativa e tecnologica) rendono difficoltoso. E, da questa prospettiva, non credo proprio si possa parlare di overdose d’offerta, perché sono oggettivamente pochi i vendor in grado di ragionare sulla trasformazione”.
E se devono cambiare le regole, anche la prospettiva della creazione di idee dovrebbe forse essere rifocalizzata, suggerisce Gianluca Fusco, Cio di Edipower: “Non possiamo pensare che siano i vendor a portare innovazione di business in azienda; la creatività e la competitività di business deve nascere all’interno dei contesti aziendali. L’It deve mettere al centro delle proprie strategie i processi di business, la tecnologia diventa poi il mezzo che aiuta l’azienda a ‘percorrere un’idea di business’, ed è qui che il vendor può dare un supporto di valore”. “Portando best practice ed esperienze comuni”, incalza Zardinoni.
Terreno per le società di consulenza strategica
Mentre i vendor soffrono quello che è il risultato di una lunga politica al ribasso dei prezzi (soprattutto nelle gare pubbliche) e l’impossibilità di riuscire ad aprire un dialogo che consenta al fornitore di meglio conoscere le dinamiche, i processi, le criticità e gli obiettivi di una realtà aziendale, l’innovazione viene ‘portata avanti’ dalle grandi aziende di consulenza strategica che operano a diretto contatto con Ceo e Cfo.
“I Cio confessano, dalla loro prospettiva, una scarsa capacità di agire da ‘Business Advisor’; questo significa non essere in grado di spingere e promuovere l’innovazione – invita a riflettere Giancarlo Capitani, Presidente e Amministratore Delegato di NetConsulting -. I Cio si giudicano ottimi gestori della macchina operativa, ma confessano di avere ancora molte difficoltà nel promuovere l’innovazione e nel far percepire il valore strategico dell’Ict al business. Cosa fare allora? Prima di tutto sarebbe opportuno intervenire sul fronte della revisione organizzativa (dell’Ict) e sull’evoluzione delle competenze ma, anche in questo caso, diventa fondamentale un rapporto di ‘condivisione’ con i vendor”.
Facendo una sorta di ‘mea culpa’, Gianni Camisa, Amministratore Delegato di Dedagourp Ict Network, ammette una certa difficoltà dei vendor di saper “raccontare e vendere correttamente i progetti”. “Le società di consulenza strategica riescono a parlare la lingua del business in termini di rischio e valore – aggiunge Camisa -. Dobbiamo tornare a ‘produrre valore’, e questo richiede revisioni organizzative (interne ai vendor ma anche nei vari Dipartimenti It), ma anche culturali”.
Dello stesso parere anche Francesco Castanò, Cio del Dipartimento del Tesoro, Ministero dell’Economia e delle Finanze, secondo il quale “le società di consulenza strategica conoscono molto bene il business delle aziende cui si propongono e sono quindi in grado di ragionare su una condivisione dei rischi progettuali affinché si produca valore e un risultato profittevole per entrambe le parti”.