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Come prepararsi alla rivoluzione quantum computing

Le aziende di qualunque settore dovranno prepararsi per essere quantum ready, cominciando prima possibile a conoscere la tecnologia e costruire la propria cassetta degli attrezzi. Quando il quantum advantage si affermerà, entro uno o due anni, le organizzazioni incapaci di cogliere l’opportunità rischierano di essere spiazzate da un’innovazione tecnologica dirompente. Come si stanno preparando due big company come General Electric e JPMorgan Chase? Cosa possono suggerire alle imprese italiane?

Pubblicato il 27 Apr 2022

quantum computing

L’Osservatorio Quantum Computing & Communication del Politecnico di Milano ha scovato due italiani che svolgono attività di frontiera in due grandi imprese internazionali. Qui stanno sperimentando e valutando tecnologie quantistiche per valutarne l’impatto nelle loro attività di business. La loro esperienza e i loro suggerimenti possono aiutare le imprese italiane a diventare a loro volta quantum ready.

General Electric: capire dove siamo e dove vogliamo arrivare

GE negli anni ha ampliato la propria attività in molteplici settori industriali, come il settore aeronautico, il medicale, la produzione di energia elettrica, solo per citarne alcuni. “Un minimo miglioramento nelle nostre tecnologie produce un grande impatto nella società” sottolinea Annarita Giani, Senior Complex System Scientist presso GE Research. “Da qui l’importanza del laboratorio dove anch’io lavoro e che ha la missione di spingere le tecnologie oltre il limite attuale”.

Nel laboratorio di ricerca, situato nello stato di New York, operano circa mille persone, con un’organizzazione simile a quella dei dipartimenti universitari, costituiti da un centinaio di persone ciascuno. I progetti sono organizzati a seconda del focus: alcuni affrontano in profondità una specifica tecnologia, altri operano su più tecnologie, come accade per esempio con la robotica.

I diversi progetti nascono generalmente su richiesta del business, tranne quelli definiti “esponenziali” che guardano futuro. È questo il caso quantum computing (QC), progetto nato per iniziativa interna del Forge Lab, con l’obiettivo di studiare una tecnologia emergente. “Anche se i prodotti attuali funzionano bene, ci chiediamo cosa succederebbe se trovassimo soluzioni più precise e più rapide utilizzando il QC”, precisa Giani.

Un team ristretto ha così iniziato a lavorare sulle teorie quantistiche con l’idea di portarle più vicine alla produzione e al business, focalizzandosi inizialmente su un problema reale come l’ottimizzazione della supply chain. “Ora, dopo quattro anni, siamo a nostro agio nell’individuare i vantaggi e i limiti, nel definire le strategie e nell’interfacciarci con le industrie, con il mondo governativo, con la ricerca”, dichiara.

Ottimizzare la supply chain in modo da assicurare la fornitura in qualunque situazione è un grosso problema che, se risolto, porta notevoli benefici in termini di costo e di processo. L’emergenza Covid e l’attuale crisi causata dalla guerra hanno evidenziato come una gestione tradizionale della supply chain non sia in grado di seguire cambiamenti repentini e dinamici. Per risolvere il problema servirebbe introdurre un numero molto maggiore di variabili rendendo sempre più complessa la gestione dal punto di vista computazionale e del tempo. E qui il QC può fare la differenza

Il QC può essere determinante anche nell’area delle previsioni meteorologiche finalizzate all’impiego di energie rinnovabili intermittenti, come solare ed eolico. La precisione è tanto maggiore quanto più aumentano le variabili, mentre oggi vengono inserite solo quelle basilari per limiti computazionali e di tempo.

Inizialmente GE ha adottato l’approccio quantum annealer, non per una decisione strategica, ma per ottenere più rapidamente risultati. Ora sta però espandendo l’interesse al superconducting qbits, impiegando il computer IBM e sperimentando altri approcci. “Non vogliamo costruire un QC ma focalizzarci sulle applicazioni”, precisa Giani, che offre alcuni utili consigli alle aziende che vogliono iniziare ora un percorso al QC:

  • non spaventarsi della parola quantum;
  • per avere successo serve capire dove siamo e dove si può arrivare;
  • serve tanta curiosità e la capacità di saper programmare;
  • si può contare sulle aziende che costruiscono quantum computer. “Hanno diversi business model ma sono tutte eccezionali nel rendere la connessione facile, grazie alla capacità di costruire uno stack di software che lo censente”, commenta.

JPMorgan Chase: diventare quantum ready per non essere spiazzati

“Il settore finanziario è quello che ha più problemi risolvibili con il QC”, sottolinea Marco Pistoia, Direttore della Ricerca, Distinguished Engineer, JPMorgan Chase. In quest’ottica, il quantum computing può infatti essere utile in ambiti come portfolio optimization, option pricing, risk analysis e machine learning, in aree come la prevenzione delle frodi e il credit scoring.

Nonostante i tanti progetti in corso, anche in Italia, non abbiamo ancora raggiunto a suo parere il quantum advantage che arriverà in un paio di anni, come conferma anche un sondaggio informale svolto dalla banca fra i leader delle aziende clienti. “È tuttavia necessario per le aziende di tutti i settori diventare quantum ready” dichiara. “È il momento di costruire risorse come algoritmi e applicazioni, creare e formare team in modo da cogliere le opportunità quando il quantum advantage arriverà”. Il rischio per le aziende, in caso contrario, è uscire dal mercato o essere comunque spiazzate come è accaduto in ondate tecnologiche precedenti.

Un tema di particolare interesse, per la banca e non solo, è la sicurezza. L’avvento del QC, si ipotizza, distruggerà gli algoritmi crittografici di sicurezza tradizionali, soprattutto quelli asimmetrici, basati su chiave pubblica-chiave privata. Una soluzione in campo è la post quantum cryptography, basata su algoritmi creati con la collaborazione di università e aziende. Pistoia non ritiene però sufficienti le prove portate sulla sua capacità di resistere al QC .

“Come banca preferiamo investire su quantum key distribution (QKD) che fornisce invece sicurezza incondizionata, provata matematicamente”, sostiene. Il sistema QKD si basa su una soluzione non algoritmica dove la chiave è in realtà uno stato quantistico, un qubit che connette le due chiavi grazie all’entanglement. Se la chiave viene attaccata, viene distrutta evidenziando immediatamente la presenza di un avversario. Una proprietà che consente di rilevare immediatamente la violazione, a differenza di quanto accade con gli algoritmi crittografici classici.

Per un’organizzazione che vuole avvicinarsi al QC è necessario considerare i diversi livelli di ricerca e sviluppo dello stack tecnologico andando a definire la propria collocazione. “Come banca lavoriamo a livello di applicazioni e algoritmi, mentre aziende come Microsoft e Amazon puntano a offrire accesso al QC, tramite cloud, che noi, o altre organizzazioni, possiamo utilizzare”, precisa Pistoia. Al livello sottostante nello stack si trovano i circuiti generati dagli algoritmi per aumentare l’efficienza, mentre alla base si trova l’hardware quantistico. Si tratta dunque di un ecosistema stratificato dove ogni azienda non solo deve trovare il proprio posizionamento ma avere comunque sotto controllo tutto lo stack. JPM, per esempio, si colloca al livello di algoritmi e applicazioni, ma deve alla fine usare l’hardware e accedere ai servizi via cloud. Il consiglio è dunque conoscere l’intero ecosistema, sapere quali aziende stanno producendo QC, contattarle, cominciare a fare trial gratuiti. “Come JPM abbiamo accesso a sette computer di sette compagnie differenti e continuiamo a testare”, precisa in conclusione.

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