La via della digitalizzazione è costellata di eccellenti tecnologie, alcune già in uso e altre in pilot, pronte per un futuro molto prossimo in azienda. Le imprese produttive più evolute automatizzano l’intera supply chain, affidano la sicurezza dei lavoratori a soluzioni di AI e machine learning, elaborano big data e producono in ottica consumer-centric, ma rimane il rischio che qualcosa sfugga. Anzi, che qualcuno fugga: i dipendenti, soprattutto i millennial e gli appartenenti alla generazione Z.
Un fenomeno che nasce da un deficit di conoscenza
Esploso negli USA nel 2021, il caso “Great resignation” ha raggiunto anche l’Italia.
Secondo i dati del Ministero del Lavoro, quasi mezzo milione di lavoratori ha già lasciato volontariamente il posto di lavoro nel trimestre aprile-giugno 2021. Si tratta del 37% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Per lo più, si tratta di lavoratori giovani, appartenenti ai Millennials o addirittura alla generazione Z.
Il fenomeno è in espansione: l’istituto di ricerca McKinsey sostiene che negli Stati Uniti circa il 40% dei lavoratori ha intenzione di cambiare professione nei prossimi mesi.
Le aziende italiane non hanno a che fare con gli stessi numeri, al momento, ed è bene che non si arrivi a dovercisi confrontare, perché le dimissioni dei dipendenti sono un costo per l’impresa.
Eppure, oggi, la selezione del personale sta evolvendo grazie all’uso di soluzioni di HR Tech e di piattaforme di recruiting, che filtrano i curricula secondo keyword specifiche, scegliendo le competenze migliori. Il match azienda/lavoratore dovrebbe essere perfetto.
Non sempre, però, le analisi teoriche hanno una conferma nella realtà.
Se i lavoratori si mostrano tanto inquieti e insoddisfatti, è evidente che si è creato un gap tra i bisogni delle persone e quanto l’ecosistema produttivo è in grado di fare per soddisfarli. Le aziende sono chiamate a correre ai ripari perché il ricambio generazionale della forza lavoro non potrà che allargare a dismisura il divario. La domanda, di conseguenza, è: perché aziende e lavoratori (soprattutto i più giovani) non si capiscono più?
Al netto delle conseguenze del Covid (alias richiesta di maggior libertà per la riscoperta della possibile conciliazione tra vita personale e professionale o, al contrario, per fenomeni di burnout) le ragioni delle “grandi dimissioni” vanno ricercate nel:
- profondo cambiamento culturale di quest’era post-digitale;
- un uso delle tecnologie limitato e non focalizzato sull’utilizzatore.
Prima di poter pensare a piani di retention efficaci, quindi, facciamo un passo indietro per inquadrare i soggetti interessati.
Chi (e quanti) sono i Millennials e i generazione Z
Generazione | anno di nascita | Individui in Italia |
---|---|---|
Millennials (o Gen Y) | 1981-1996 | 10.671.551 |
Gen Z | 1997-2012 | 9.786.724 |
Millennials (o Gen Y)
Hanno tra i 26 e 41 anni. Amano l concetti di flessibilità e di sfida. Sono sempre pronti a sviluppare nuove competenze.
Gen Z
Hanno tra i 10 e i 25 anni. Veri nativi digitali, vivono totalmente immersi nella tecnologia. Per i più grandi, il lavoro è organizzato per obiettivi ed è sganciato da un luogo preciso.
Attualmente, i Millennials rappresentano circa il 35% della forza lavoro, a livello globale. Nelle aziende, la percentuale raddoppierà prima del 2030. Accanto ai Millennials, i giovani lavoratori della generazione Z, invece, sono ancora pochi. Molti sono solo ragazzini. Addirittura, oggi, nel 2022, circa 500 mila gen Z hanno solo 10 anni e, pertanto non hanno ancora idea di quali saranno i loro obiettivi professionali. Tuttavia, sono già capaci di esprimere la loro visione della vita e le loro preferenze. Per questo vanno ascoltati, per certi versi analizzati, perché questi bambini di oggi saranno i lavoratori di domani.
Comprendere il contesto post-digitale per ridurre il divario di mentalità
Perché parliamo di “post-digitale”, se moltissime imprese non hanno nemmeno finito la “Transizione al digitale”? Principalmente perché, per le persone, la dimensione del post-digitale è prima di tutto sociologico/culturale. Le imprese, invece, sono focalizzate sul digitale in senso esclusivamente tecnologico/organizzativo o, quando adottano un approccio orientato alla user-experience, spesso tendono a farlo solo nei confronti dei consumatori e non dei lavoratori.
È in questa differenza di prospettive che si riassume l’attuale difficoltà nella compatibilità tra lavoratori e imprese. Un attrito che rischia di creare insofferenza. La definizione di “era post-digitale” si riferisce al concetto di profonda integrazione del digitale nel vivere quotidiano, per quanto l’adozione delle tecnologie non sia affatto finita.
Come usare le tecnologie per attrarre e trattenere i talenti
Le tecnologie possono creare un ecosistema accogliente e invitante per i lavoratori Millennials e gen Z, rispondendo ai nuovi bisogni produttivi, ma anche psicologici e sociali.
Una ricerca di McKinsey ha mostrato come molte aziende stanno ripensando i processi in termini di employee experience.
Difatti, se la digitalizzazione tiene conto che per i giovani la tecnologia è l’unico modo di vivere – quindi anche di lavorare – è possibile fare un vero salto in avanti nell’evoluzione del mondo del lavoro.
I talenti millennials e gen Z si aspettano un coinvolgimento totale attraverso soluzioni di:
- hybrid work;
- gamification;
- social media;
- sfide e challenge;
- digital communication -campagne sincere e trasparenti, che veicolino e testimonino la responsabilità sociale dell’azienda, comprovata da azioni dirette sul campo;
- team building e formazione continui, online, coinvolgenti e possibilmente divertenti.
Nel design delle infrastrutture informatiche, quindi, i CIO dovrebbero cercare di conoscere e comprendere gli utilizzatori/dipendenti utilizzando innanzitutto strumenti di analytics e web analytics, per consentire all’impresa di programmare piani di retention data-driven e customizzati.