Da una recente indagine di McKinsey condotta a livello europeo(vedi questo articolo) emerge un grande ‘gap’ tra persone in cerca di occupazione e aziende che assumono, non tanto nel numero di posizioni aperte quanto nel disallineamento tra skill ricercati e professionisti che si propongono per determinate posizioni. Secondo l’opinione di Nicola Uva, Strategy & Marketing Director di Adp, “la difficoltà maggiore sta nella capacità di comunicazione, da entrambe le parti: spesso domanda e offerta non si incontrano correttamente perché, da un lato, le aziende non esplicitano in modo chiaro il tipo di competenze richieste, dall’altro, i candidati, pur di trovare lavoro, si propongono anche per posizioni ‘non in linea’ o attraverso strumenti non idonei (come i curriculum vitae scritti in modo errato)”.
Uva dettaglia meglio la sua visione attraverso un esempio specifico: “Capita spesso che vi sia differenza di interpretazione tra chi scrive il tipo di posizione aperta e chi la legge. Prendiamo il caso del ‘Business Development Manager’: alcune aziende cercano di attirare talenti aprendo ricerche di queste posizioni per inserire in azienda delle figure commerciali di vendita, mentre chi legge si aspetta una posizione di tipo manageriale con ruoli di strategia e meno di execution”.
Servono quindi dei modelli di comunicazione più chiari, ma questo vale anche dalla prospettiva dei candidati: “Molti curricula ancora oggi risultano poco chiari e i candidati non riescono a comunicare in modo corretto non solo le esperienze/competenze maturate, ma nemmeno le proprie abilità”, ammette Uva.
Una delle ‘aree grigie’ in termini di competenze sembra proprio essere quella delle ‘abilità’, ossia i cosiddetti ‘soft skill’ (capacità di comunicazione e relazione, problem solving, ecc.); attitudini che difficilmente si riescono a comprendere durante un colloquio, ma che oggi possono essere analizzate in modo efficace grazie alla tecnologia. “Si stanno sempre più diffondendo pratiche e strumenti che consentono di analizzare in dettaglio il profilo dei candidati anche dalla prospettiva ‘comportamentale’ dalla quale derivare poi i soft skill – ammette Uva -. In questa direzione, per esempio, sta prendendo sempre più piede l’analisi delle identità digitali degli utenti (profili LinkedIN per esempio, post su Facebook o altri social network, opinioni espresse in blog, ecc.); anche il non avere alcuna identità digitale rappresenta di per sé già un’informazione utile per delineare il profilo comportamentale di una persona. Inoltre, in alcune grandi realtà che si dedicano nello specifico alla selezione del personale, stanno emergendo nuovi modelli di analisi del linguaggio non verbale sostituendo il tradizionale colloquio con alcune videointerviste (utili ai selezionatori per monitorare il linguaggio del corpo)”.
In questo senso, la tecnologia sta dunque diventando non solo mero strumento di supporto, ma addirittura rivoluzionando metodi e approcci un tempo impensabili (ottenere informazioni specifiche su una persona era oggetto di indagini investigative, troppo costose per applicarle alla ricerca del personale). Questo vale anche se guardiamo alla tecnologia come competenza e non come strumento: “Stanno emergendo sempre più ‘figure digitali’ che si inseriscono in azienda in diversi ruoli e contesti (marketing, vendite e Crm, per esempio), anche se la componente di formazione/education non si è ancora del tutto adeguata”, spiega Uva. La digitalizzazione porta anche l’Ict a dover collaborare in modo molto più serrato con le Risorse Umane nel segno dell’integrazione di metodologie e strumenti. È questa la strada intrapresa da Adp, spiega Uva, che ha scelto la via dell’integrazione per migliorare i processi di ricerca, selezione e crescita/gestione dei talenti: “Le nostre tecnologie consentono l’integrazione tra più strumenti (anche già presenti in azienda oppure esterni come i canali di digital media o le piattaforme di selezione/gestione del personale) permettendo alle direzioni Risorse Umane di semplificare non solo i processi di selezione interni, ma di estenderli all’esterno con estrema facilità (per esempio integrando la piattaforma Hr interna con LinkedIN); sul fronte della gestione interna, invece, affinché i talenti possano realmente produrre valore devono poter esprimere al meglio il proprio potenziale, in linea però con la strategia e gli obiettivi aziendali: serve quindi un sistema e un approccio metodologico che integri le due viste (azienda – talento) e che consenta l’analisi e la verifica periodica dell’allineamento tra business e sue risorse umane”.