Il mercato del cloud in Italia è ancora di dimensione (450 milioni, circa 2,5% del mercato Ict), anche se cresce a due cifre. Ma l’aspetto più interessante, soprattutto parlando di Pubblica Amministrazione, è che può rappresentare la classica “mossa del cavallo”, quella che nel gioco degli scacchi consente di uscire da una situazione difficile e, nel caso italiano, può aiutare a recuperare efficienza e ritardi in modo rapido. Lo hanno sostenuto Mariano Corso e Stefano Mainetti, co-responsabili scientifici dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service della School of Management, analizzando le possibili ricadute del cloud sulla Pa italiana. Il punto di partenza sono gli oltre 1000 data center delle Pa centrali dislocati su tutto il territorio nazionale (con 27mila server), su cui operano oltre 7mila persone dedicate.
A questi vanno sommati i circa 3mila data center della Pa locale (regioni, enti locali e sanità) che impiegano almeno altre 13mila persone.
Ne risulta una spesa di oltre 3 miliardi di euro l’anno a cui vanno aggiunti i costi delle risorse interne dedicate alla gestione (oltre 1 miliardo) e la spesa energetica contabilizzata a parte, che è pari a circa 300 milioni secondo le stime dell’Osservatorio. “Si tratta di una spesa non elevata se confrontata a quella di altri paesi ma tuttavia fortemente inefficiente”, dice Corso. Questo giudizio è condiviso da Domenico Casalino, amministratore delegato di Consip, nel suo intervento in occasione del recente Cloud Computing Summit per la Pubblica amministrazione, organizzato dalle Fondazioni Astrid e Think!, che fornisce stime di spesa addrittura superiori. “La spesa It diretta è di 5,5 miliardi di euro nel 2011; raddoppia se si considerano spese di personale, locazioni, energia e così via – ha detto Casalino. Tanti o pochi, sicuramente non sono soldi ben spesi”.
L’Osservatorio parla di “un’infrastruttura It in parte obsoleta, un patrimonio applicativo legacy scritto in linguaggi superati come il Cobol, difficili e costosi da gestire e mantenere, un ricorso limitato alla virtualizzazione (oltre il 75% dei server non sono virtualizzati), assenza di policy e linee guida per l’efficienza energetica, frammentazione sul territorio, scarsa valorizzazione del patrimonio umano, modelli di gestione inefficienti”.
L’Osservatorio ha però elaborato alcuni scenari che, grazie al cloud, potrebbero consentire recupero di efficienza e riduzione dei costi. Si va dalla semplice ottimizzazione che limita gli sprechi di gestione e il consumo energetico con un risparmio stimato di 3,7 miliardi di euro in 5 anni, al consolidamento e alla razionalizzazione dei Data Center basata anche sulla virtualizzazione dei server. In questo secondo caso si otterrebbe un risparmio di ben 5,6 miliardi di euro nello stesso periodo. “Ma questa è solo la punta dell’iceberg, utile per motivare i passi successivi – sottolinea Mainetti. – Sarebbero poi i percorsi di standardizzazione per la gestione delle infrastrutture e la condivisione di porzioni di processo (in una logica di shared services) che potrebbero consentire di fare efficienza e liberare risorse per l’innovazione”.
Una nuvola certificata per la PA
“È dalla fine dagli anni ’90 che la digitalizzazione della Pa viene considerata la carta da giocare per recuperare i ritardi e le inefficienze del sistema Paese” ricorda, sempre in occasione dell’evento Cloud Computing Summit per la Pubblica Amministrazione, Franco Bassanini, presidente Astid e Cassa Depositi e prestiti.
“Il piano di informatizzazione lanciato nel 2000 indicava alcune soluzioni mai realizzate e oggi riproposte”, dice Bassanini portando ad esempio il decreto firmato, come ministro della Funzione pubblica, congiuntamente a Umberto Veronesi, allora ministro della Sanità, per unificare la carta di identità elettronica e la tessera sanitaria; il decreto è poi decaduto, ma oggi dopo più di 12 anni è diventato legge. “Il problema italiano è la delivery – commenta, facendo tuttavia mostra di ottimismo – Se oggi provvedimenti definiti in passato, ma mai implementati, entrano in un provvedimento complessivo che contiene anche novità, con un forte commitment ed elementi di governance, non si può che guardare la cosa positivamente, purché alle intenzioni seguano i fatti”.
Ma oggi la novità tecnologica può rendere l’attuazione più semplice, come evidenzia il Rapporto realizzato da Astrid e Think! che indica nel cloud un forte elemento di accelerazione nella digitalizzazione della Pa. Fra le proposte presentate, alcune delle quali recepite nell’Agenda Digitale, Bassanini segnala la “nuvola pubblica certificata” e la necessità di progetti nazionali a valenza sistemica, per i quali è indispensabile la governance di una struttura tecnica operativa, incarnata nell’Agenzia per l’Italia digitale.
“L’obiettivo della digitalizzazione non è solo il contenimento dei costi, ma anche l’aiuto per la ripresa e la crescita a cui possono contribuire in modo fondamentale la Pa e i servizi, con la creazione di condizioni abilitanti”, è il messaggio.
Integrazione, interoperabilità e unificazione di banche dati
“La Pa, con oltre 3 milioni di dipendenti, non solo è più la grande azienda italiana, ma è così pervasiva da impedire al Paese di crescere se essa non funziona; la presenza contestuale di eccellenze e di punti arretrati rende impossibile realizzare servizi efficienti”, incalza il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua.
L’ente ha fatto della tecnologia e della digitalizzazione uno dei cardini della propria azione, sotto due principali spinte, una subìta e l’altra scelta, spiega il top manager: “Il blocco del turn over che ha dimezzato il personale negli ultimi 10 anni (da 50mila risorse alle attuali 25mila persone), con il contemporaneo aumento dell’attività ha reso necessario il ricorso alla digitalizzazione per poter assolvere i nostri compiti. La seconda spinta è stata la scelta di trasparenza, di maggiore capacità di dare risposte e di sinergie con altri enti”. Il cloud ha dato prova di sé nella recente fusione fra tre enti (Inps, Enpas, Inpdap) consentendo di integrare completamente le tecnologie presenti in soli due mesi.
Ma potrebbe, a maggior ragione, aiutare l’integrazione delle banche dati e la cooperazione all’interno della Pubblica amministrazione.
“Il recupero di un miliardo di euro dell’evasione nel 2008 e di 7 miliardi nel 2012 è stata favorita dalla convenzione fra Inps e l’Agenzia delle Entrate per mettere in comune le informazioni”, ricorda Mastrapasqua.
All’interno di un disegno generale sarebbe necessario integrare “le migliaia di banche dati per rispondere in modo adeguato alla domanda dei cittadini: è inimmaginabile che i dati siano replicati e spesso disallineati”, precisa.
Sulla stessa lunghezza d’onda, ma con la consueta vis polemica, Alfonso Fuggetta, amministratore delegato di Cefriel, dice nelle stessa occasione:
“Tutti parlano di cloud e di Internet, ma al primo tentativo di fare qualcosa si alzano le barricate, visto che tutti temono di cedere i propri dati. Ma oggi, che c’è Internet, che senso ha avere 8000 anagrafi distinte? Non c’è motivazione, tecnica, organizzativa o politica che possa giustificarlo”. La carta d’identità elettronica non è finora stata realizzata, a suo parere, proprio per la difficoltà di mettere d’accordo i comuni. Una serie di problemi tecnici verrebbero facilmente eliminati con la creazione di un archivio unico, pur lasciando ai Comuni compiti di validazione.
Consip: un ascensore per la nuvola
Domenico Casalino, amministratore delegato Consip, promette l’apertura di bandi per definire contratti quadro anche in ambito cloud, un modo da garantire al tempo stesso innovazione e contenimento delle risorse.
“Consip contribuisce, attraverso la gestione delle gare, a trasformare le decisioni di innovazione in realizzazione concreta”, dice Casalino, ricordando che il sistema delle gare se non gestito in modo adeguato, si traduce in uno spreco risorse e di tempo. Si parla oggi di un anno e mezzo di tempo dal momento in cui si indice la gara, con rischio di ulteriori ritardi in caso di ricorsi. Per esempio, rispetto alle gare gestite direttamente dall’amministrazione, le gare centralizzate mettono a disposizione prodotti e servizi immediatamente acquistabili azzerando il time to market dei progetti.
La direzione che Casalino auspica per il cloud è la creazione, attraverso l’aggregazione, di pochi centri di eccellenza e la possibilità per le realtà più piccole di acquisire servizi standardizzati attraverso contratti quadro, anziché le risorse. Agostino Ragosa, direttore Agenzia per l’Italia digitale, convinto della necessità di collaborare con Consip, indica obiettivi analoghi.
La regia tecnica-operativa c’è. E quella politica?
“La nuvola certificata – dice, infatti – non può certo essere realizzata sugli attuali 4mila punti inefficienti e insicuri, ma presuppone il consolidamento dell’infrastruttura secondo standard moderni. Grandi data center di nuova generazione sarebbero dedicati alle amministrazioni centrali, mentre i data center regionali dovrebbero concentrare tutte le attività e i dati delle amministrazioni locali di competenza. Vanno avviati alcuni progetti sistemici”
Gli investimenti necessari per i progetti cloud e dedicati alla gestione ottimale dei dati potrebbero arrivare anche dagli ingenti fondi europei dedicati alla digitalizzazione, sostiene Ragosa: “La condizione è però garantire adeguati livelli di standardizzazione e di progettualità, prevedere sistemi di monitoraggio in termini di tempi e di performance, nonché mettere a disposizione sistemi di controllo in tempo reale dei servizi per giustificare gli investimenti”.
Tutto bene dunque? Per concludere con Bassanini “Agenzia e Agenda digitale, possono assicurare la regia tecnica e operativa, ma resta la preoccupazione per la necessaria regia politica”.