Confronto onesto e costruttivo per innovare insieme

Per essere competitivi, gli strumenti di analisi non bastano, bisogna definire processi aziendali, organizzazione e competenze professionali che consentano di raccogliere questi bisogni, elaborarli e dare una risposta efficace e in tempi rapidi. È quanto sostiene Fabrizio Virtuani, Information Technologies Director di Poste Italiane

Pubblicato il 08 Ott 2014

Oggi le aziende sono alle prese con una ridefinizione strategica del proprio modello di business; per poter affrontare la complessità competitiva non possono ignorare la ‘rivoluzione digital’. Quali sono i passi da compiere affinché tale rivoluzione diventi un’opportunità reale per la competitività delle imprese? Lo abbiamo chiesto all’Information Technologies Director di Poste Italiane, Fabrizio Virtuani. “Occorrono due cose in parallelo, non necessariamente dipendenti: la prima è che il mercato richieda alle aziende prodotti e servizi digitali riconoscendone un valore economico, o meglio, che le aziende più innovative riescano a creare e stimolare un mercato di prodotti e servizi digitali, per i quali i clienti siano disposti a pagare; per far questo, le imprese innovative devono individuare e creare modelli di business sostenibili, anche disruptive rispetto al passato e ragionando fuori dagli schemi, con il contributo delle diverse funzioni aziendali, ma sotto lo stimolo di un Cio orientato all’innovazione o di un Chief Digital Officer ‘vero’, non di facciata”, risponde in modo diretto Virtuani. “La seconda è che la pubblica amministrazione imponga standard e modalità di relazione digitali a tutti i cittadini e le imprese (un esempio può essere l’uso della sola moneta elettronica oltre un certo importo oppure l’adozione del codice fiscale come unico identificativo personale, collegato a un sistema forte di riconoscimento)”.

Fabrizio Virtuani, Information Technologies Director di Poste Italiane

Da questa prospettiva, “l’Agenda Digitale – precisa Virtuani – deve definire degli standard tecnologici semplici e condivisi a livello europeo, razionalizzare la domanda di soluzioni digitali della Pa e imporre alla stessa un calendario temporale fattibile per l’adozione di queste soluzioni, con profondi disincentivi per chi non si adegua. Non bisogna sempre reinventare la ruota, basta partire dalle migliori soluzioni già adottate dalle Pa più avanzate, apportando gli eventuali correttivi per non favorire solo alcune aziende fornitrici, ma dando l’opportunità di partecipare alle aziende più efficaci ed efficienti”.
Proseguendo ulteriormente nell’analisi degli impatti che l’Agenda Digitale potrebbe avere sull’economia e la competitività del nostro paese e, a cascata, sulle imprese, Virtuani suggerisce una maggiore cooperazione tra entità differenti, compresi i big player dell’Ict: “I vendor dovrebbero esplicitare sempre sin dall’inizio (prima che venga definito uno standard o una strategia e scritto un capitolato per una gara d’appalto) soluzioni, prodotti, risorse e competenze disponibili e/o già adottate come best practice a livello internazionale, senza fare overselling, ma chiarendo bene rischi e opportunità: è dal confronto onesto e costruttivo tra Agenda Digitale e vendor Ict che possono nascere le soluzioni realmente implementabili ed economicamente sostenibili”.
Spostando l’attenzione sul mondo delle aziende private, abbiamo chiesto a Virtuani un parere circa la revisione dei modelli di business aziendali insita nei percorsi di innovazione digitale che, come emerso dai dibattiti della Tavole Rotonde che hanno preceduto l’incontro di Finaki 2014, si sostanzia attraverso due differenti approcci: la maggior focalizzazione sul cliente e l’innovazione continua. “Maggior focalizzazione sul cliente vuol dire conoscere a fondo i propri clienti e i loro bisogni, quindi dotarsi non solo di strumenti di analisi (Crm, big data e Customer Analytics, ecc.), ma contemporaneamente anche di processi aziendali, organizzazione e competenze professionali che consentano di raccogliere questi bisogni, elaborarli e dare una risposta efficace e in tempi rapidi; senza anche uno solo di questi elementi si rischia di essere totalmente inefficaci e di perdere i clienti, che si rivolgeranno altrove”, evidenzia il manager. “L’innovazione continua è una derivata, discende dall’ascolto continuo dei clienti e dal confronto con il mercato, e quindi dalla necessità di trovare risposte a una domanda in continua evoluzione, oppure dalla necessità di trovare alternative per raggiungere clienti eventualmente persi per una incapacità temporanea di soddisfare la loro domanda. A tale proposito, gli investimenti non possono più essere dedicati a soluzioni verticali chiuse, ma devono assolutamente essere indirizzati a soluzioni e tecnologie quanto più possibile flessibili (virtualizzazione, Soa, ecc.)”.
Assodato che la tecnologia rappresenta l’elemento cardine di questo cambiamento epocale, chiediamo: quali criticità si devono ancora superare dal punto di vista delle competenze? “Non si può pensare di avere tutte le competenze in casa e di operare in modo autarchico; occorre però dotarsi delle competenze chiave che consentano di definire i propri fabbisogni, indirizzare i propri partner tecnologici, guidarne e monitorarne le realizzazioni”, risponde Virtuani. “Quindi occorre avere competenze di business modeling e service creation, di disegno delle architetture sistemistiche e infrastrutturali, di program e project management: la capacità realizzativa deve essere invece flessibilizzata all’esterno e garantita dai partner tecnologici, però con un continuo scambio ‘osmotico’ che consenta di mantenere vive e aggiornate le competenze tecnologiche interne, evitando i rischi dell’obsolescenza”.

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