Cosa si intende per change management? E quali sono le mosse da fare per gestire con successo un processo di cambiamento. In questa guida cerchiamo di darne alcuni highlight. Nella parte finale ci focalizzeremo sull’impatto che la pandemia di Covid 19 sta avendo sui progetti di cambiamento.
Cos’è il change management?
Il change management è un insieme strutturato di attività che indirizza il cambiamento di individui, gruppi, organizzazioni e società che rende possibile il cambiamento da un assetto presente a uno futuro desiderato.
È un percorso che ha un forte impatto sulle abitudini delle persone e per questo è particolarmente delicato perché l’essere umano, per sua natura, mostra nella maggior parte dei casi una certa resistenza al cambiamento.
Sebbene il change management possa essere visto da molteplici punti di vista (quello individuale che si occupa di come l’individuo reagisce ai cambiamenti che lo coinvolgono o sociale ossia l’approccio al cambiamento di una società), quello su cui ci focalizzeremo è il punto di vista delle organizzazioni.
In questo caso la gestione del cambiamento è orientata a individuare un percorso che consenta all’organizzazione di rispondere sempre meglio alle richieste del mercato aumentando la propria capacità competitiva. Da questo punto di vista il change management è strettamente correlato alla digital transformation.
Quali sono i focus point del change management
Iniziamo subito con il dire che una strategia chiara e un forte coinvolgimento, nonché motivazione, delle persone interessate sono i cardini sui quali si basa qualsiasi metodologia di change management.
Agire sulle persone all’interno di un’organizzazione significa agire sui processi, rimodellandoli sulla base degli obiettivi, e della strategia, che sono stati individuati. Le tecnologie digitali e il ripensamento del luogo di lavoro in termini di agilità e flessibilità rappresentano gli strumenti con i quali mettere in pratica una strategia di change management.
Per questo, quando parliamo di change management in un’organizzazione, si fa spesso riferimento al modello 4P:
- People: un progetto di change management deve partire dalle persone e dalla loro mentalità. La psicologia sociale identifica i due estremi della mentalità umana: da un lato, il pensiero statico, per niente incline a recepire le novità; dall’altro una forma mentale disponibile a imparare e crescere. L’abilità, e le probabilità di successo, risiedono nel livellamento di questi opposti facendo emergere l’estrema convenienza del cambiamento non solo per l’impresa, ma anche per i collaboratori.
- Process: senza una revisione dei processi nessun progetto di cambiamento può avere successo. Bisogna partire da un assessment accurato dei processi in essere per andare a capire dove e come intervenire.
- Platform: la tecnologia è un poderoso abilitatore di trasformazione del modo di lavorare e sono ormai disponibili nuove piattaforme tecnologiche che uniscono le applicazioni di produttività personale alla capacità di collaborare e comunicare in maniera semplice e immediata. Ma anche l’introduzione di queste piattaforme deve essere gestita e guidata altrimenti si rischia di produrre una reazione di rifiuto vanificando l’investimento.
- Place: ripensare i luoghi del lavoro in una logica di smart working e di postazione di lavoro basata sull’attività (Activity Based Workplace), un modello che abbandona il concetto fisico di scrivania.
Le fasi di un corretto processo di gestione del cambiamento
Un corretto intervento di change management si articola in 3 fasi:
- Individuazione degli obiettivi: la governance societaria definisce gli obiettivi che vuole raggiungere, le tempistiche, l’estensione dell’intervento e soprattutto le modalità di coinvolgimento del personale interessato;
- Pianificazione: la governance condivide gli obiettivi con il personale interessato dall’intervento e insieme ne individuano punti critici e opportunità, condividendo modi e tempistiche delle varie operatività;
- Attuazione: si attua quanto pianificato. In questa fase è importante che tutte le attività vengano monitorate, in modo da poter reagire prontamente ad eventuali imprevisti per assicurare il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Il Change Management rappresenta dunque la capacità di saper controllare l’inevitabile cambiamento, che un’impresa che voglia perdurare negli anni sarà costretta ad affrontare.
L’impatto della pandemia sui progetti di change management
“Qual è stato l’impatto della pandemia sul nostro modo di gestire il cambiamento?” è la domanda alla quale Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice, ha cercato di rispondere commentando i dati dell’Osservatorio Assochange sul Change Management 2020 realizzato in collaborazione con gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano.
Il primo dato interessante che emerge è che, contrariamente a quanto è accaduto per progetti di innovazione in ambito tecnologico/infrastrutturale dove si è registrato un rallentamento (come ha evidenziato l’ultima analisi dell’Osservatorio Cloud Transformation), la pandemia ha accelerato alcuni ambiti di cambiamento, modificando però le priorità dei progetti in corso. Gli spunti più interessanti si colgono dall’analisi dei dati relativi agli ambiti sui quali c’è stata un’accelerazione: per la prima volta la voce Tecnologia e Digitalizzazione è balzata al primo posto mentre Struttura organizzativa & Modelli di organizzazione del lavoro, che è sempre stata al 1° posto, è scalata al 2°; un trend ancora più accentuato se si analizzano i dati relativi al periodo dell’emergenza e alle previsioni per i prossimi 12 mesi (l’analisi è stata suddivisa in tre periodi, da marzo 2019 a marzo 2020, dal marzo 2020 al novembre 22020, prossimi 12 mesi, per capire bene l’impatto dell’emergenza). Altro impatto destinato a perdurare nel tempo è quello sui Processi di lavoro segnalato dal 22% delle aziende pre-pandemia, è passato al 39% nel periodo di emergenza, per rimanere a una percentuale interessante (31%) nei prossimi 12 mesi.
Una percentuale non piccola dei progetti di change management però fallisce: un progetto su 3 non supera nemmeno il 50% degli obiettivi prefissati e solo l’8% supera l’80% degli obiettivi.
Ma quali sono i fattori critici di successo e di fallimento? Due grandi fattori che, se presenti, facilitano il successo di un progetto sono sicuramente la sponsorship del top management e il coinvolgimento delle persone coinvolte; i fattori che invece spiegano le ragioni del fallimento non sono tanto relativi alla specificità di ogni singolo progetto bensì di carattere più generale, relativi all’azienda nel suo insieme come l’assenza di una cultura inclusiva e aperta al cambiamento e la rigidità della struttura organizzativa. Per quanto riguarda gli ambiti da tenere in considerazione in futuro emerge chiaramente (per il 62% delle aziende intervistate) l’Engagement delle persone coinvolte.
A questo punto diventa fondamentale capire quali azioni vengono intraprese dalle aziende per motivare e coinvolgere le persone nel cambiamento: l’azione di gran lunga più importante è legata all’organizzazione stessa del lavoro e riguarda la capacità di rendere le persone autonome e responsabili dei risultati. Un fattore rilevante dato che è il principio chiave dell’adozione strategica di modelli di smart working.
Le altre azioni testimoniano una grande attenzione a quella che si sta rivelando una pesante criticità del momento, ossia la difficoltà a condividere esperienze ma anche a mantenere relazioni informali in contesti esclusivamente digitali, quindi focus su trasparenza e comunicazione, modalità virtuali di allineamento sulle attività operative o di momenti di condivisione non strettamente legati alle attività lavorative.
La leadership della nuova normalità
Un altro dato molto interessante emerso dalla ricerca è quello relativo a come le persone vivono il cambiamento: negli anni scorsi il 60% delle aziende rilevava come prevalente un atteggiamento passivo o di resistenza al cambiamento invece la rilevazione di quest’anno porta a una sorta di ribaltamento di queste percentuali, con il 59% che dichiara che le persone partecipano con disponibilità e spirito costruttivo, “addirittura – ha detto Corso – sono esse stesse che lo promuovono in modo proattivo e questo è un aspetto molto interessante”. Fa il paio con questo dato quello relativo alla consapevolezza dell’importanza del cambiamento: nel 2019, 1 su 4 aveva la percezione dell’urgenza del change, nel 2020 il rapporto è di 1 su 3. “Un risultato che si spiega con il fatto che la pandemia ha portato le persone fuori dalla propria area di comfort”, ha detto Corso.
La ricerca di Assochange non poteva non cercare di capire quali sono le caratteristiche che dovrà avere la leadership che guiderà le aziende nella nuova normalità.
Quello che emerge dalla ricerca è che se in passato la caratteristica principale era il pragmatismo, la capacità decisionale di execution, questo non basterà più al leader del futuro, il suo profilo dovrà essere diverso: la capacità di infondere entusiasmo sarà un fattore importantissimo, così come la capacità di delega insieme all’orientamento all’innovazione. “Sono queste le doti chiave per non perdere quella che possiamo definire una occasione storica: molti elementi di resistenza al cambiamento in questo momento storico stanno venendo meno e allora è importantissimo che il leader sappia cogliere questo momento per condurre la sua organizzazione in una fase cruciale, definitoria di quelli che saranno i rapporti di forza, gli elementi di competitività del futuro. Un leader che sappia sfruttare questa nuova propensione delle persone, sapendo che se da una parte sono più consapevoli e aperte al cambiamento dall’altra vogliono essere chiamate ad essere parte del cambiamento stesso a contribuire in prima persona a scrivere il loro futuro piuttosto che subirlo”, ha concluso Corso.
4 leve per combattere la resistenza al cambiamento
Assochange suggerisce 4 leve integrate per superare le resistenze culturali e operative che intralciano i processi, li rallentano, fanno aumentare i costi e, spesso, fanno fallire i progetti.
Comunicare il progetto dalla partenza alla sua conclusione
Per tenere ingaggiate le persone è necessario che esse siano informate e coinvolte in un progetto fin dalle prime battute condividendo via via i risultati parziali fino al risultato finale. Su questo fronte le tecnologie ormai offrono moltissime opportunità, ma spesso non sono utilizzate al meglio inoltre bisogna ricordare che la tecnologia può essere un fattore abilitante ma la cultura aziendale deve essere “capace” di accoglierla.
Monitorare il progetto anche con KPI “soft”
Monitorare il clima aziendale, con indicatori anche relativi all’engagement delle persone, ai ruoli e alle competenze, aiuterebbe a predisporre interventi per assicurarsi la sponsorship delle persone e l’efficacia delle prestazioni. Un cruscotto esauriente e puntuale, fruibile anche in modalità mobile, che considera l’andamento dei KPI qualitativi e quantitativi consente di tenere traccia dei risultati strada facendo e, se serve, di orientare meglio il cambiamento.
Valorizzare gli influencer informali
Assochange consiglia poi di puntare anche sugli agenti di cambiamento informali, che vengono ascoltati da pari, più che le comunicazioni ufficiali, tenendo con loro un filo diretto e dotandoli anche di strumenti e competenze digitali per aumentarne l’efficacia come messaggeri del progetto di trasformazione.
Lavorare sulla capacità di leadership dei manager intermedi
I manager intermedi hanno un ruolo cruciale nella capacità di gestire il cambiamento, pertanto devono essere coinvolti potenziando il loro ruolo di cerniera tra le decisioni strategiche del top management e la popolazione operativa. Queste figure, specifica Assochange, sono quelle da cui ci si aspetta il maggior coinvolgimento e invece sono quelle che, in concreto, a oggi influenzano meno il cambiamento. Anche in questo caso, la tecnologia potrebbe fornire loro un valido supporto a essere più proattive.