Caso Utente

Dallara e le soluzioni di collaboration, qual è il percorso di una Learning organization

Riconoscere lo scambio della conoscenza e l’innovazione continua come elementi fondamentali della competitività aziendale e quindi favorirne la diffusione capillare: è l’obiettivo che ha oggi Dallara, essere quella che si definisce una “learning organization”. Un percorso complesso, che ha richiesto diverse tappe evolutive e un forte impegno non solo sul piano tecnologico, ma anche e soprattutto su quello dei processi e della cultura aziendale.

Pubblicato il 18 Apr 2016

Dallara (realtà specializzata nella costruzione e progettazione di vetture da competizione, nota inoltre per le sue competenze nel campo dello studio della dinamica dei veicoli, attraverso simulazioni e testing; dell’aerodinamica degli stessi, per mezzo di Galleria del vento e della Cfd-Computational Fluid Dynamics; della progettazione, utilizzando materiali compositi in fibra di carbonio; della produzione prototipale) oggi sta lavorando per diventare a tutti gli effetti una “learning organization”: “La collaborazione tra gli utenti – spiega a ZeroUno Fabrizio Arbucci, Cio di Dallara – si sta sviluppando ben oltre lo scambio di dati e informazioni al fine di agevolare i processi aziendali, ma sta configurandosi come la base per la crescita professionale di tutti i lavoratori, a cui vengono forniti strumenti e contenuti per contribuire attivamente all’evoluzione dell’impresa e ai processi di innovazione”. Quali sono allora gli elementi tecnologici e culturali che compongono una simile strategia di business, che vede nella cooperazione e nello sviluppo delle competenze una chiave fondamentale per il mantenimento della competitività aziendale?

Gli utenti al cuore del processo decisionale

Fabrizio Arbucci, Cio di Dallara

2004: Dallara adotta una infrastruttura di fonia VoIP (tecnologia Cisco) che permette – a tutto favore della mobilità – di mantenere un collegamento tra le persone e il proprio numero di telefono anche quando queste hanno l’esigenza di spostarsi all’interno dell’azienda; 2008: per agevolare ulteriormente lo scambio di informazioni e conoscenza viene implementata Ibm Domino soluzione Ucc dotata di una serie di funzionalità legate alla messaggistica e alla collaborazione social. Già in queste prime fasi del percorso, le modalità in cui l’It e l’azienda si muove nelle fasi decisionali, sono un chiaro segno dell’approccio inclusivo dell’impresa nei confronti dell’utenza: “Per l’implementazione del sistema di fonia abbiamo organizzato con Cisco un laboratorio all’interno della nostra sede per fare provare agli utenti i sistemi proposti”, spiega Arbucci, che quindi racconta come, anche per il secondo step descritto, i lavoratori siano stati parte attiva nella scelta della soluzione: “Abbiamo individuato una ventina di ‘key user’ che potessero essere un riferimento per gli altri utenti all’interno dei vari reparti aziendali e abbiamo chiesto loro di coinvolgere i colleghi interrogandoli su come avremmo potuto migliorare la gestione della conoscenza in azienda; abbiamo quindi tradotto le indicazioni emerse in processi e tecnologie a supporto”. Come spiega il Cio, era emersa la domanda di sistemi di web meeting, di calendari e rubriche condivise, di instant messaging e altro, “suggerimenti da cui è derivata una sorta di capitolato che abbiamo sottoposto a diversi vendor; le offerte sono state quindi valutate dallo stesso team di key user e, attraverso la media dei voti dati da questi ultimi, si è individuata la soluzione migliore”. Il coinvolgimento dei lavoratori – questo è interessante notare – non è dunque un elemento a corredo del processo, ma rappresenta il cuore della strategia: “Non ci sono stati problemi nemmeno nel post go live – commenta Arbucci, a ulteriore riprova di questo – perché gli ‘utenti chiave’ poi fortemente formati anche sul funzionamento delle tecnologie, erano stati investiti della responsabilità di seguire questa attività, ed erano fortemente preparati e motivati a supportare i colleghi”.

Evoluzione delle tecnologie: integrabilità, virtualizzazione dei processi, apertura ai partner

Sul piano tecnologico, ci sono tre aspetti su cui vale la pena soffermarsi.

  • Sia in queste fasi sia in quelle successive che descriveremo, è forte l’attenzione al tema dell’integrazione: “Era importante per noi non costringere gli utenti a cambiare ciò che non volevano cambiare, preservare le esperienze di collaborazione efficaci – dice Arbucci – Per noi conta molto capire non solo quello che gli strumenti aggiungono, ma anche quello che vanno a distruggere” [non viene valutata positivamente l’implementazione di una nuova soluzione se questa impone dei cambiamenti su strumenti e processi già in essere utilizzati con successo dagli utenti – ndr]
  • Focalizzandoci sull’attività core della progettazione, una forte accelerazione al “collaboration journey” è arrivata con la virtualizzazione della stessa, “oggi completamente basata su modelli matematici”, spiega il Cio, che prosegue: “Arriviamo a produrre una vettura senza mai avere realizzato alcun pezzo fisico; il pilota riesce a fare tutte le prove di guida necessarie sfruttando il nostro simulatore”; nuova linfa vitale per il percorso di collaboration: se il progetto nella sua interezza diventa un sistema di dati e informazioni, tutto è potenzialmente condivisibile da remoto tramite le varie funzionalità Ucc (incorporate in un’unica soluzione che si va via via rafforzando: risale al 2012, per esempio, l’integrazione tra il software Ibm e Windchill di Ptc-Parametric Technology Corporation, utile a gestire quantità maggiori e tipologie diverse di informazioni e a consentire una più elaborata fruizione delle stesse per reparto, per progetto o per singolo prodotto).
  • Lo svilupparsi e il consolidarsi dei processi di collaborazione dell’azienda con i propri partner di business coinvolti nella progettazione delle autovetture, impone un ulteriore adattamento delle tecnologie: le soluzioni citate iniziano a supportare anche queste nuove interazioni esterne e Dallara, racconta Arbucci, sta attualmente lavorando per avvicinare sempre più gli attori dell’ecosistema: “In particolare, vogliamo dotare i banchi di lavoro dei collaboratori sparsi sul territorio, impegnati nei processi di produzione, di strumenti di videoconference, per avvicinare il mondo della progettazione a quello del manufacturing”.

Coerenza tra valori, strategia e cultura di una Learning organization

Il nuovo progetto che si apre nel 2015 e che punta a rendere Dallara una “learning organization”, è figlio del percorso tecnologico e culturale descritto: si basa sulla convinzione, sostanziata in regolari investimenti, che sia l’innovazione continua e lo scambio di conoscenza la chiave per il successo competitivo.

Come spiega Arbucci, si è deciso di procedere coinvolgendo in una prima fase solo il team di R&S, a cui è stato affidato il compito di riflettere su quali potessero essere gli elementi in grado di favorire in azienda la diffusione di processi e valori legati al problem solving sistematico e alla sperimentazione e alla generazione di nuove idee, all’apprendimento dall’esperienza altrui e pregressa dell’azienda, alla diffusione delle conoscenze. “La scelta delle tecnologie utili a raggiungere questi scopi è arrivata a valle delle considerazioni raccolte”, dice Arbucci, che spiega come la soluzione individuata (poi messa a disposizione di tutti gli utenti) sia stata in questo caso Ibm Connection, che aveva al proprio interno le funzionalità necessarie alla creazione della comunità di lavoro a cui si ambiva: forum, blog, sistemi di file sharing, strumenti per il networking e utili all’individuazione degli skill e delle competenze; “ma il valore aggiunto, anche in questo caso, deriva da come abbiamo integrato queste funzionalità con processi e strumenti pre-esistenti in azienda”, specifica il Cio. La soluzione Ibm è tuttavia solo un tassello del nuovo ecosistema legato alla learning organization: sul piano tecnologico, questa si sta concretizzando anche nell’allestimento di sale riunioni per videoconference (in partnership con Cisco), pensate non solo con lo scopo di evitare troppi spostamenti fisici, ma anche con l’obiettivo di fare formazione, e, a coronamento del progetto, con la costruzione di uno “smart building” (che sfrutta l’Iot per favorirne la massima sostenibilità ambientale) destinato presto a ospitare sia l’It che il team di Ricerca e Sviluppo: un open space, senza uffici personali ma con ricavate aree per favorire il confronto, la collaborazione, e la massima mobilità dei lavoratori.

A proposito di mobilità, Arbucci sottolinea come, dal 2014, si sia lavorato per fare in modo che tutte le soluzioni fossero accessibili da qualsiasi device: “Volevamo che l’utente potesse ‘portare’ le funzionalità del proprio desktop sempre con sé, garantendogli la migliore experience indipendentemente dal device utilizzato”; inevitabile l’attenzione al tema sicurezza: “Forniamo device e applicazioni aziendali, concediamo il Byod solo dove necessario tutelandoci con soluzioni ad hoc e riserviamo trattamenti diversi alle informazioni organizzandole per cluster in base al loro livello di confidenzialità”.

“Quello che di veramente importante siamo riusciti a fare è creare dei forti valori aziendali di riferimento – dice Arbucci – Già coinvolgendo gli utenti nei processi decisionali stavamo favorendo la diffusione di dinamiche culturali più ampie, volte a premiare, anche in termini di visibilità, chi in azienda si impegna nella generazione di nuove idee, e, più in generale, studiate per favorire un dialogo forte tra gli utenti e tra i diversi settori aziendali”. È infatti inutile lavorare solo sulle tecnologie: “Perché iniziative come queste abbiano successo – conclude Arbucci – è fondamentale che tra valori, cultura e strategia aziendale vi sia una forte coerenza”.

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