Il digital business è già qui, non è un trend di previsione! Non riuscire a ‘cavalcarlo’ per via della mancanza di competenze rappresenterà il fattore numero uno di perdita di competitività delle aziende. Lo dicono a più voci gli analisti di Gartner che parlano di una nuova ‘concezione della tecnologia’: “Tra dieci anni, o meno, sarà definitivamente superata la visione della tecnologia quale mezzo per automatizzare il business e trovare efficienza”, scrive Diane Morello, Managing Vice President della società americana, in un recente report redatto sulla base di oltre 150 interviste effettuate a manager già oggi coinvolti nelle strategie di digital business delle proprie aziende o nella ricerca di talenti in grado di lavorare su questo fronte. “La tecnologia ‘innerverà’ totalmente il business in modo tale da consentire la trasformazione di interi settori d’industria”.
Attenzione, dieci anni non rappresentano una previsione ma l’arco temporale entro il quale gli attuali complessi percorsi di trasformazione verso il digital business delle aziende risulteranno ‘compiuti’. È un tempo molto ridotto se pensiamo al cambiamento epocale che stiamo vivendo: “La nuova economia digitale richiede già oggi, e richiederà sempre più nei prossimi due/tre anni, un patrimonio di conoscenza enorme”, enfatizza Tiziano Treu, ex Ministro del Lavoro e docente di Diritto del Lavoro all’Università Cattolica di Milano, in occasione di un recente incontro organizzato da Adp dedicato al tema delle competenze e delle risorse umane necessarie per l’innovazione e la competitività d’impresa. “Un salto paragonabile solo a quello che si è verificato con l’alfabetizzazione del popolo. Con la sola differenza che questa ‘nuova conoscenza’ si sta formando in tempi molto più rapidi”.
Non è dunque più tempo di stare a guardare cosa succede nel mondo e questo vale soprattutto per il nostro Paese che, seppur soffocato da una situazione di contingenza economica comune a moltissime altre nazioni, sta pagando il conto di ritardi culturali, resistenze al cambiamento, approcci e modi di pensare/agire anacronistici rispetto alle nuove sfide (e opportunità) globali.
Linguaggio comune, competenze differenti
La digital economy parla una lingua comune, globale: quella tecnologica. Ma una strategia digital business non può essere definita solo dal business o solo dal Dipartimento Ict. Negli Stati Uniti tale consapevolezza è matura dato che, come mostrano i dati di Gartner (figura 1), il 45% degli It leader (su un panel di 151 persone coinvolte, tra It professionale e Business and Executive manager) ritiene che a definire le strategie digital aziendali debbano essere congiuntamente il dipartimento Ict e tutte le business unit (Bu); da parte del business c’è una visione leggermente differente, dato che il 48% degli intervistati ritiene debbano essere le Bu a stabilire le strategie, seppure attraverso input e supporto da parte dell’It.
Entrando nel dettaglio delle specifiche Bu, dove le aziende credono di avere e trovare maggiori digital expertise, l’It figura solo nel 17% delle risposte, su un panel di oltre 250 figure manageriali (figura 2). La maggior parte delle persone (47%) crede che le capacità siano spalmate un po’ lungo tutta l’organizzazione e se questo è un bene perché evita di rimanere bloccati nella verticalizzazione di competenze solitamente difficile da scardinare e mutare, di contro rappresenta anche un limite perché rende difficile riuscire a identificarle e, quindi, ‘sfruttarle’ al meglio.
Ma di quali competenze stiamo parlando? Riuscire a capire quali siano è piuttosto complesso, Gartner invita dunque a ragionare, in prima analisi, non tanto sulle figure e sui ruoli, quanto piuttosto sulle workforce capability necessarie a definire un ‘ambiente digitale’ individuando all’interno della propria azienda:
1) knowledge: ossia capire quali sono e dove risiedono le informazioni necessarie (per esempio di marketing, delle tecnologie emergenti, dei mercati e delle industry, ecc.);
2) skill: quali sono le conoscenze necessarie (profili tecnici, focus su mobility, conoscenza dei social media, ecc.);
3) competency: quali attitudini/predisposizioni risulterebbero ottimali (per esempio in termini di comportamento, agilità, flessibilità, ecc.).
Sono ‘social’ le discipline primarie
Se parlare di competenze nel senso stretto di figure professionali riconosciute con ruoli e mansioni chiare in un contesto di digital business può apparire ancora un po’ prematuro e appannaggio solo di poche realtà ‘visionarie’, le discipline coinvolte appaiono invece piuttosto chiare. Secondo le recenti analisi di Gartner, infatti, appare evidente che le scienze critiche o decisamente importanti da applicare in iniziative di digital business siano il ‘product and service marketing’ (critico per il 35% degli intervistati, molto importante per il 41%), la ‘customer experience design’ (critica per il 32%), la ‘data analysis’ e ‘statistic and operation’ (figura 3). Seppur considerate ancora non troppo critiche, emergono però come molto rilevanti e importanti alcune nuove discipline legate al mondo dei social (‘social network influencing’, ‘social community campaigns’, ‘social and behavioral science’), nonché branche innovative come quella della ‘web psychology’, del ‘digital anthropology’ e della ‘sentiment analysis’, ritenute quelle con il più alto potenziale in termini di business e vantaggio competitivo.
Bpm per guidare la trasformazione
“In complessi scenari di cambiamento verso il digital business”, non manca di sottolineare Samantha Searle, Research Analyst di Gartner, “non va sottovalutata ‘la guida’ ossia i ruoli e gli skill di coloro che devono accompagnare la trasformazione”. L’analista indica il Bpm, Business Process Management, come la disciplina, o meglio, l’insieme delle discipline necessarie a rendere concreta la ‘rivoluzione digitale’ dato che l’impatto sui processi è senza dubbio ‘l’effetto collaterale’ numero uno. Anche in questo caso, però, il quadro delle competenze si compone di tanti tasselli (discipline) formando un mosaico complesso.
Indicativamente, l’analista ripartisce in tre differenti filoni le competenze necessarie:
1) operational skill, coloro che identificano ed eseguono il cambiamento dei processi spaziando da conoscenze di ‘business process discovery’ a quelle di ‘business process modeling, analysis and design’, ‘business process governance and managing policy’, ‘business performance management’ e ‘Bpm methodology’;
2) transformational skill, cioè coloro che aiutano le persone e le guidano nel cambiamento, che si occupano dunque di materie quali ‘business vision and strategy’, ‘organization structure’, ‘communication and inspiration’, ‘project management’ e, importantissimo, ‘organizational change management’;
3) technical skill, fondamentali per costruire ed evolvere le infrastrutture, le applicazioni e i servizi necessari al Bpm (solution architecture and design, Agile software development and model-driven application development, business process optimization and simulation, user design experience…).
Direzioni Ict nel mirino
Facendo un’analisi generale sulle competenze necessarie alla digital business innovation non possiamo certo trascurare le sfide organizzative delle direzioni Ict. Secondo la Cio Survey 2013 della School of Management del Politecnico di Milano, iniziativa alla quale Orsyp (multinazionale specializzata nella fornitura di soluzioni tecnologiche dedicate all’It Operations Management) partecipa in qualità di partner, tra le principali sfide che le direzioni Ict dovranno affrontare nel 2014 vi sono alcuni indicatori cruciali della trasformazione in chiave digital in atto: la gestione dell’innovazione, il demand management, la capacità di sviluppare e offrire servizi mobile, l’abilità nell’identificare le opportunità social e cloud.
E sulla base dell’attuale livello di competenze Ict e delle sfide che dovranno affrontare nel breve-medio periodo, lo studio identifica le aree chiave nelle quali dovranno sempre più affermarsi nuove capacità nei prossimi tre anni (figura 4): in forte aumento l’innovation management (anche se non è ben specificato cosa concretamente si intenda per gestione dell’innovazione è evidente che vi siano la percezione e l’esigenza di un controllo maggiore sui processi e i percorsi di cambiamento guidati o supportati dalla tecnologia); la gestione della relazione con i clienti interni (demand management); la gestione dei servizi Ict, soprattutto laddove cambiano le modalità di erogazione passando a modelli flessibili ‘as a service’ che, tra l’altro, aumentano le criticità sul fronte della gestione dei fornitori (sourcing management). Rimangono sempre molto alte le priorità di intervento sulle abilità e le competenze in ambito di program e project management.
Gran lavoro per le HR
In questo intricato mosaico di competenze nuove o ‘riviste’ in un’ottica digital (attenzione, non significa che siano supportate solamente da processi digitali e nuovi strumenti tecnologici, ma che abilitano nuovi modelli di business, nuove modalità di interazione e di lavoro ‘scardinando’ abitudini e approcci tradizionali), non poteva mancare un cenno alle direzioni Risorse Umane che, ormai da qualche anno, stanno costruendosi una nuova identità.
Dall’analisi dei casi che stanno percorrendo con successo questo cambiamento di ruolo (Osservatorio HR Innovation Practice 2013 – School of Management del Politecnico di Milano), emerge un percorso evolutivo delle competenze basato su tre macro dimensioni:
1) ruoli professionali e profili di attività interne ed esterne di business partner: le direzioni Hr devono alleggerire ruoli e attività non ‘core’ (per esempio sul fronte amministrativo ricorrendo all’outsourcing) per potenziare competenze di supporto strategico alle linee di business;
2) modelli di servizio Hr basati sulla logica del digital workspace: le potenzialità offerte delle nuove tecnologie vanno sfruttate per ripensare i processi Hr e offrire alle persone servizi più ‘ricchi’ lungo tutta la loro ‘vita aziendale’.
3) modelli organizzativi basati sullo Smart Working: occorre rispondere alle nuove esigenze di flessibilità e mobilità progettando spazi di lavoro, tecnologie abilitanti e policy organizzative che concilino meglio esigenze aziendali e individuali (work-life balance).