LONDRA – Gli indicatori economici globali indicano una crescita a ritmi molti lenti: lo aveva evidenziato il World Economic Forum di Davos dello scorso gennaio e la dose è stata rincarata dal Fondo Monetario Internazionale che all’ultimo G20 di Hangzhou dei primi di settembre ha presentato un documento nel quale si afferma che “La crescita globale resta debole, ci sono rischi al ribasso”.
Gartner non si sarebbe quindi sorpreso se, sul tavolo verde degli investimenti da parte dei Ceo, “qualche chip” fosse stato ritirato. Invece Mark Raskino, Vp e Gartner Fellow, recentemente incontrato da ZeroUno a Londra, conferma, anche nei primi mesi del 2016, i trend emersi nella Gartner Ceo Survey 2016 (396 Ceo intervistati in 30 Paesi nell’ultimo trimestre 2015) e rileva con sollievo che i Ceo non hanno finora cambiato le loro priorità in modo significativo. Aleggia però la preoccupazione che si ripieghi su scelte superate da “vecchia It”, sul prevalere di obiettivi di risparmio sui progetti promotori di fatturato, su dispute interdipartimentali di bilancio.
“Approfittare dello slowdown per aumentare la posta – è invece la raccomandazione di Raskino – come si fa in Formula 1 dove in curva si entra in modo più aggressivo, così da uscirne accelerando più dei concorrenti: nei momenti di difficoltà mettete in linea nuove risorse per accelerare la trasformazione al business digitalizzato. Focalizzatevi sulla trasformazione al digitale, proteggetene il budget di trasformazione, usate metodi di management agili, tagliate semmai in aree di modelli di business superati, eliminate unità o asset non core, approfittate del momento per acquisizioni di aziende target con quotazioni in discesa”.
Priorità del business: utente finale e nuovi talenti
Il rallentamento dei mercati inasprisce la concorrenza e, quindi, rispetto alla precedente Survey non stupisce la crescente attenzione nei confronti dei clienti (con investimenti nell’area Sales che cresceranno, nelle intenzioni dei Ceo, del 66%, registrando un +10% sul 2015) e dei talenti da mantenere e/o acquisire (è prevista una crescita del 59%, rispetto al 50% dell’anno precedente, degli investimenti in People and culture development).
Rispetto a questi trend, la raccomandazione è quella di ribilanciare il portafoglio dei progetti di cambiamento basati sulla tecnologia, puntando, rispetto a quelli che favoriscono la customer experience e premiano la fedeltà, sui passaggi di customer digital journey e non solo sui processi di vendita o supporto.
Sul versante della caccia e ritenzione degli skill, il consiglio è lavorare con la Direzione Hr su: strategia della forza lavoro; sviluppo della sua cultura digitale; piani di reclutamento accelerato; riallocazione di risorse da altre funzioni; programmi crash di consapevolezza e skill upgrade; acquisizione di talenti BI e BA (i vari Data Scientist, Data Expert ecc.). Ma, ricorda Raskino, attenzione anche al dipendente “base”: colossi come McDonald e Walmart aumentano stipendi, benefit, formazione.
Il leader nel digitale? Lui stesso, dice il Ceo. Con il Cio 2° assoluto
Il 75% dei Ceo riconosce che “serve un leader nel cambiamento strategico al digitale”. A ricoprire questo ruolo, i Ceo indicano se stessi al 16% (o al 19% sommando il Presidente o il Proprietario). Ma, consci di uno scarso background tecnologico, indicano al 15% il Cio (al 20% con l’It Manager), che mette in fila tutti gli altri top manager, in una frammentata lunga coda dietro al Cfo (5%). Colpisce il Cmo al 2%, percepito come colui che si occupa solo di digital marketing e non capace di trainare anche le vendite digitali, da leader dei vari leader digitali. I quali, dal Chief Digital, al Chief Data, al Chief Customer sono sì necessari e strategici – conclude Raskino – ma da agenti del cambiamento e come tali transienti”.
Le aspettative al 2020
Di qui al 2020 i Ceo restano ottimisti: dal 30% oggi al 46% al 2019 vedono crescere la percentuale digitale del valore percepito e pagato dai clienti per prodotti (e servizi): la digitalizzazione è dunque la prima priorità business. “Mettere dei creativi del product development a stimare la crescita del valore digitale dei propri prodotti – suggerisce quindi Raskino per supportare questa priorità -: individuare con loro le funzionalità più influenti sulle decisioni di acquisto dei clienti; stimare quante saranno digitalizzabili al 2020 (facendo compilare ai creativi una lista di proprietà che riescono ad immaginare digitalizzabili, e a che costo); e sugli shift percentuali attesi al digitale impostare la strategia di investimenti e comunicazione interna”.
Ma a tal fine i Ceo devono ovviamente investire in asset intangibili.
Raskino ricorda come il business digitale sia ben più di un cambio di canale tipo e-commerce (che continua la sua corsa), ma penetri al cuore dei prodotti, cui conferisce valore “rimasterizzandoli” con algoritmi e knowledge, dati e licenze, brand e processi; si tratta di altrettanti asset digitali, intangibili, che sono il delta valore di mercato dei prodotti digitali, rispetto a quelli fisici, costruiti su asset tangibili. Questi intangibili sono visti dai Ceo al 2020 arrivare in media al 48,6% dal 44,4% di oggi, sfiorando la metà della creazione di valore (figura). Nel merito, i Ceo vedono crescere algoritmi, dati, licenze e decrescere brand e processi. “Una crescita aggregata ancora ‘lenta’ che sottostima il potenziale di creazione di valore di algoritmi (smart machine) e knowledge (learning machine)”, dice Raskino.
Intangibili: misurarne la produttività, questo è il problema
Quando chiede delle prime 3 o 5 priorità strategiche per il business, Gartner registra che produttività ed efficienza si piazzano in 12° posizione. E meno del 5% dei Ceo usa la parola “produttività” nelle prime 3 o 5 priorità. Evidente il contrasto con una domanda diretta sull’importanza della produttività, dichiarata importante o estremamente importante dal 78% dei Ceo.
Raskino deduce che la produttività è una preoccupazione “latente”: i Ceo “sentono” che bisogna far di più in materia, ma non hanno chiaro cosa, perché manca loro un “pensiero collettivo consistente” per sfornare prodotti e servizi nell’era digitale, sulla base di asset intangibili. In effetti gli economisti non hanno prodotto una teoria unificante della produttività per l’era del knowledge, paragonabile al Taylorismo nella produzione di prodotti fisici, o al Bpm nei servizi fisici o al lean management per una produzione economico-ecologica che minimizzi gli sprechi.
Insomma il vecchio adagio, non si governa se non ciò che si misura, si riproporrebbe per la produttività basata su intangibili, dove manca un riferimento soddisfacente per misurarla. Se ci fosse, forse la caduta di produttività pre-crisi 2008 apparirebbe un po’ meno preoccupante.