Sempre più interessante, per quanto davvero complessa, è la fase di trasformazione che le aziende devono oggi saper affrontare. La “nuova normalità” ipotizzata un paio di anni fa prevedeva una quotidianità di business fatta di velocità decisionale, cambiamento continuo, analisi di informazioni per verificare le complessità e le opportunità provenienti dal mercato. A quella previsione, senz’altro oggi confermata, si sono aggiunti però alcuni fenomeni che già si conoscevano ma dei quali non si percepiva fino in fondo la portata e l’impatto che avrebbero avuto presso le aziende.
Primo – La“nuova normalità” prevede una condizione di criticità economica continua che obbliga le imprese non solo a identificare i percorsi migliori per ottimizzare le proprie infrastrutture e i modelli organizzativi e di business, ma le forza a farlo costantemente, rendendo questa ricerca di efficienza un elemento integrato nel proprio modo di essere impresa. In questa estate 2011, le fibrillazioni finanziarie e le speculazioni hanno messo in luce la fragilità di tutte le principali economie occidentali: si era partiti dalla povera Grecia, poi la debolezza si è estesa a tutti i paesi europei, compresi i grandi come Francia e Germania, fino, impensabile, agli Stati Uniti, con il rischio, scongiurato all’ultimo momento, di dichiarazione di default, ma che ha messo in luce un’economia che non riesce a riprendere e con un indebitamento verso la Cina di non semplice gestione. Un quadro che ha finito per intaccare anche le crescite dei paesi a forte sviluppo, che non possono non avere, oltre ai propri, mercati di sbocco forti come l’Europa e gli Stati Uniti.
Secondo – Sta crescendo esponenzialmente il potere del consumatore e la sua capacità di condizionare le strategie e le offerte delle imprese grazie alla diffusione dei social network. Al punto che le aziende devono ormai misurarsi con il fenomeno delle reti sociali se vogliono davvero capire le dinamiche di discussione, le tendenze di consumo, le critiche ai propri prodotti e di fatto ricavare informazioni utili per uno sviluppo della propria offerta più allineato alle reali esigenze dei consumatori.
Terzo – La mobility va diffondendosi come il nuovo paradigma di fruibilità delle informazioni, sostituendosi all’ormai vecchio modello pc-scrivania per avere “sempre e in ogni luogo” le informazioni e i servizi applicativi che servono.
Quarto – Chi prevedeva una tale rapidità di evoluzione del modello as-a service (cloud)? Eppure ormai sempre più applicazioni vengono richieste e proposte nella modalità “a consumo”, un modello trainato da quelle esigenze di contenimento di costi ma soprattutto di velocità e flessibilità di risposta che le aziende richiedono proprio per far fronte all’estrema variabilità delle esigenze della domanda.
Quinto – È su questo punto che vogliamo incentrare il nostro editoriale. Riguarda il ruolo che avranno i cosiddetti “millenials”, i “nativi digitali”, la net generation o la generazione Y (la X è quella precedente, i nati tra il 1965 e il 1980; prima ancora c’era quella in cui molti di noi si trovano, la baby boomer generation, quelli nati cioè dopo la Seconda guerra mondiale e fino al 1965), insomma quelle persone che nei prossimi anni arriveranno nelle aziende, con le loro organizzazioni strutturate e le loro tecnologie complesse da far evolvere, quella nuova generazione di lavoratori nati alla svolta del terzo millennio, con una fascia di età compresa tra i 18 e i 30 anni, carichi di aspettative ma anche consapevoli della difficoltà di un mondo del lavoro che per loro, almeno fino ad oggi, ha saputo offrire soprattutto precarietà e scarsa meritocrazia.
Su questo aspetto, quello dell’integrazione di queste intelligenze nei modelli consolidati aziendali, ma, come abbiamo visto, in necessaria e rapida evoluzione, cerchiamo di fare un po’ di luce attraverso una ricerca recentissima (febbraio-aprile 2011 – interviste dirette a 280 studenti di importanti università italiane appartenenti alle facoltà di Economia e Ingegneria) condotta da NetConsulting e promossa da Ca Technologies.
Innanzitutto una considerazione: se il quadro evolutivo che abbiamo descritto va ogni giorno di più confermandosi, è certo che operare nel “continuo cambiamento” e con una flessibilità e velocità operativa necessarie, è forse più facile da parte delle nuove generazioni che non da “strutturati” manager (baby boomers?) per i quali il cambiamento spesso significa ripensare e ridefinire modelli consolidati, relazioni e poteri. Tuttavia non va affatto scordato che la competenza e l’esperienza debbano continuare ad essere patrimonio aziendale da far crescere e rimodellare sulla base delle nuove esigenze; l’integrazione con le nuove intelligenze (generazione Y) rappresenta quel valore che può dare oggi alle aziende una nuova capacità di presidio di mercato, di nuovi modelli relazionali e di utilizzo tecnologico tipico della net generation. Se per “fare di più con meno” serve soprattutto esperienza e conoscenza pregressa di sistemi e modelli, per innovare, e soprattutto innovare di continuo, serve integrare talenti, nuove idee e approcci che inevitabilmente risiedono nei giovani, pur con tutta la loro esperienza e approssimazione.
Sotto il profilo tecnologico (ed è per questo che un’azienda come CA Technolgies è interessata alla comprensione del fenomeno Generation Y) l’ingresso dei millenials in azienda impatta, e non poco, gli ambiti di infrastructure management, di governance e di security (sicurezza dei dati e delle informazioni presenti in azienda, gestione di sistemi, reti e applicazioni per nuovi utilizzi e nuovi modelli di integrazione). È chiaro che quel fenomeno di mobility che prima abbiamo accennato si concretizza oggi in un utilizzo consumer, da parte delle nuove generazioni, che sarebbe drammatico rifiutare all’interno dell’azienda. Tutti i sistemi di social networking, di unified communication and collaboration, danno il loro massimo potenziale se utilizzati proprio con la logica relazionale di sperimentazione, di apertura, di trasparenza e di scarsa privacy tipica delle nuove generazioni. Una declinazione “corporate” è senz’altro obbligatoria e negare questo utilizzo significa per l’impresa negarsi una propria potenzialità di innovazione e in sostanza di futuro. Il punto è semmai come governare questa “consumerizzazione dell’It”, come integrare diversi device (anche personali) nelle reti e nei processi aziendali e soprattutto come mettere a fattor comune e finalizzati al business aziendale l’intelligenza e la passione giovanile.
Qual è allora lo scenario di riferimento oggi e quali sono le aspettative dei millenials rispetto al loro futuro professionale in azienda?
Se è vero che l’Italia è tra i paesi al mondo più sensibili all’acquisto di device mobili e che la logica di relazione e connessione è tipica delle corde genetiche della nostra popolazione (17,8 milioni di utenti Facebook di cui 4 da mobile; 1,3 milioni di account Twitter; 30 applicazioni in media per utente di smartphone; 6,2 milioni (+ 44,4%) di utenti mobile internet, ecc.), ecco che emerge dalla ricerca che tra le caratteristiche dell’azienda ideale, la disponibilità di tecnologie (di relazione, collaborazione, comunicazione, ecc.) risulta essere il primo requisito ricercato. I millenials sono infatti early adopter nei confronti delle nuove tecnologie e in una loro ideale richiesta, la presenza in azienda di queste tecnologie diventa fattore importante.
Qual è il profilo tecnologico di questi individui? L’88, 3% possiede un notebook e un cellulare (71,1%) che insieme allo smartphone rappresentano i device più frequentemente utilizzati (più volte) durante la giornata. Tra i servizi maggiormente usati vi sono quelli per la condivisione dei dati on line (62,9% con Google Docs, spazio Web dai provider di Tlc e Dropbox) e una serie di servizi (tutti basati sul modello cloud) a conferma importante di ciò che si sapeva: da un lato un’elevata familiarità con servizi on line utilissima alle aziende per accelerare la loro trasformazione verso la diffusione di questi servizi al proprio interno, dall’altro gli elementi di rischio rappresentati da sicurezza e da occupazione di risorse di rete che per i millenials non sono assolutamente un problema considerato mentre è uno dei principali “grattacapi” per il dipartimento It. Facebook è il re assoluto nella frequenza di utilizzo (più volte al giorno) e nel tipo di social network preferito (vedi figura 1) ma anche Skype (oggi acquisito da Microsoft) conferma la propensione a comunicare e condividere.
Figura 1 – I Millennial e i Social Network
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La sfida? Canalizzare questa propensione in un processo finalizzato all’aumento del business mettendo a disposizione dei millenials in azienda gli adeguati strumenti collaborativi e di communication.
“Ecco qui – disse il responsabile del dipartimento It al neo assunto – Questo è il tuo account di e-mail”. Peccato che l’e-mail non sia proprio la tecnologia di comunicazione preferita nella vita privata dei millenials (obbligatoriamente è utilizzata come mezzo primario in università). Loro comunicano con sms, Facebook e instant messaging. Il concetto di real time comunication è infatti una forma mentale delle nuove generazioni, concetto che già in università viene “piegato” verso la più arcaica posta elettronica. Ma se l’azienda troverà forme di comunicazione più immediata e meglio finalizzata agli obiettivi di business, i millenials sono pronti (vedi figura 2).
Figura 2 – Principali strumenti utilizzati dai Millennial nella vita privata e in quella universitaria
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Il 75% del campione intervistato ha una scarsa sensibilità alla privacy dei dati. D’altro canto se così fosse il fenomeno Facebook probabilmente non si sarebbe sviluppato. Come coniugare allora una crescita di sensibilità verso il valore del dato senza “spezzare le ali” ad un utilizzo evoluto delle relazioni dei millenials magari con i clienti dell’azienda o con i futuri potenziali clienti all’interno delle diverse communities nei social networks?
Portati a utilizzare, di default, gli strumenti più semplici ed efficaci, i millenials, rileva la ricerca, sono potenzialmente predisposti ad usare (almeno se lo aspettano) nelle aziende in cui lavoreranno i propri device personali accanto a quelli aziendali. Come dire: “Ok quanto stabilisce l’azienda, ma se ho una maggiore efficacia con dispositivi più evoluti, perché non dovrei usarli?”. “Perché no! È vietato!”, prima risposta. Oppure mettere a punto, come sistemi informativi, una segmentazione delle risorse di rete locale, con reti virtuali dedicate al servizio dei terminali ospiti, potrebbe essere una seconda risposta, magari più conveniente per l’efficacia dell’azione di queste persone in azienda.
NetConsulting ha stimato oggi una presenza del 19,3% di millenials nelle aziende italiane (risultato di una Web survey, complementare alla prima, realizzata su un campione di 148 interviste a Cio e top manager di aziende grandi e medio grandi di diversi settori aziendali), mentre l’83% delle imprese, sempre secondo la ricerca, prevede un incremento significativo (22,4%) e leggero (60,8%) dei nativi digitali entro il 2013 nelle proprie strutture. La conclusione? Non è semplice. Ogni azienda dovrà saper declinare nel modo corretto l’introduzione e l’utilizzo di intelligenze per trasformarle in competenze valorizzando al meglio le caratteristiche individuali e generazionali, modulandole sui propri modelli organizzativi di business. Che però, abbiamo visto, devono evolversi secondo un concetto di innovazione continua. Sappiamo tutti che il problema non è la disponibilità di tecnologia (accesso a nuove applicazioni, software di gestione, di security e quant’altro). Certamente un disegno organico tecnologico alla base di nuovi utilizzi che garantisca efficacia e sicurezza è necessario e imprescindibile; ma la vera sfida si gioca tutta nella capacità di dare alle nuove persone, insieme alla competenza e alla guida di chi ha fatto la vita dell’azienda, un ruolo di vero traino verso una nuova dimensione aziendale. Sperando poi, va anche detto, che la generazione Y sappia accettare questa responsabilità e farne la propria sfida professionale.