Il personale rappresenta allo stesso tempo sia una risorsa (se non ‘la’ risorsa) essenziale per il successo di un’impresa, sia una delle maggiori, se non la maggiore, voce di costo. Renderne la gestione più efficiente sul piano delle operazioni e del conto economico diventa quindi di vitale importanza non solo per tutte quelle aziende che l’attuale quadro economico sta ponendo in difficoltà, ma anche per quelle che, al contrario, vi stanno trovando occasioni di rinnovamento e sviluppo.
In tema di risorse umane ZeroUno ha recentemente organizzato una ‘tavola rotonda’ (vedi riquadro) nella quale un numero ristretto ma significativo di Cio e direttori HR si sono confrontati tra loro e con un top manager di Byte, leader in Italia nell’outsourcing della gestione del personale, su alcuni aspetti fondamentali del problema, ivi compresa l’opzione di affidare in tutto o in parte a strutture specializzate esterne i processi relativi alla funzione HR, per renderne flessibile il costo e concentrarsi sullo sviluppo dell’impresa.
Dopo una breve analisi sul problema della ricerca di efficienza delle risorse umane nel quadro
di una più generale strategia di ottimizzazione dei costi e delle risorse aziendali, l’introduzione del direttore di ZeroUno, Stefano Uberti Foppa, si è focalizzata sul vivo del discorso, orientando il dibattito sui modi attraverso i quali i Cio e la funzione sistemi informativi possono supportare il percorso di cambiamento in atto nell’area Hr. Come prima cosa, pertanto, si è chiesto agli intervenuti di esporre come, nella loro esperienza, venga attuata una strategia di gestione Hr e quale ruolo vi abbia la funzione It aziendale.
Come rappresentante dei responsabili delle He in azienda (gli altri partecipanti alla tavola rotonda appartengono al mondo It), Bruno Vicaretti (Sirap) è stato il primo ad intervenire, ricordando il ruolo chiave della sua funzione nella generale ricerca di efficienza dell’impresa. “Il nostro sforzo – ha detto – è spostare il focus dalla riduzione dell’account [leggi: riduzione del personale – ndr] alle altre leve disponibili per ridurre i costi e creare più valore. Valore che è funzione delle competenze, come ovvio, ma anche della motivazione”. Rispetto alla semplice riduzione del personale, lavorare su competenza e motivazione, come pure sull’organizzazione, allunga i tempi del ritorno economico degli interventi, “ma si guadagna nel capitale d’affezione all’impresa e fiducia nel management” sottolinea Vicaretti.
Sostanzialmente d’accordo sul fatto che convenga, per quanto possibile, rivalutare le risorse esiste
nti, i tre Cio partecipanti al dibattito hanno quindi esposto, in parziale risposta a Vicaretti, i problemi che occorre affrontare, alcuni dei quali impattano anche sulle aree di loro competenza. Per Alberto Alliata (Caleffi), che giustamente premette di parlare dal punto di vista di un’azienda dal personale a prevalente componente operaia, occorre una particolare attenzione da parte della funzione Hr nel creare percorsi formativi di qualificazione delle persone (a partire dal middle-management, che va formato alla leadership e alla capacità di valorizzare i dipendenti), sfruttando anche le occasioni offerte dall’It. “In un progetto di adozione di terminali Rf per la logistica interna – è l’esempio di Alliata – si è visto come, dando strumenti innovativi, si stimoli l’attenzione e la voglia di fare di persone che, a tutti i livelli di responsabilità, si sentivano coinvolte nelle scelte aziendali”.
Questo ruolo attivo della tecnologia nella promozione del personale non è però né così facile da attuare né esente da controindicazioni. Andrea De Grandis (IEO) ha osservato come, specie in situazioni di rapida crescita dei dipendenti, sia necessario prima di tutto aumentare il livello di comunicazione tra le persone, elemento propedeutico alla loro qualificazione. Ciò si può fare potenziando la intranet, nell’infrastruttura e nei contenuti, in modo da farne lo strumento principe di collaborazione e comunicazione, e lavorando se occorre sulla raggiun
gibilità, in modo che l’uso della rete e degli strumenti di formazione non sia subordinato alla presenza e agli orari di lavoro (molto flessibili nel caso specifico). Con Roberto Contessa (F.lli Branca), emerge invece il problema della flessibilità e della riqualificazione dei dipendenti in ambienti a basso turnover. “Se il ricambio del personale è scarso può capitare che nel momento in cui i nuovi processi e le nuove tecnologie legate alle scelte strategiche del management vengono riversate sulle persone che le devono attuare, si incontri sempre una certa resistenza e non si ottenga l’efficienza cercata”. Una resistenza, va detto, che non dipende tanto dall’età anagrafica dei dipendenti quanto da quella aziendale con processi interni consolidati e spesso resistente al cambiamento. “Occorrono quindi strumenti capaci di aiutare il cambio di attività”.
Anche Armando Mantovani (Byte) ha descritto, “parlando come azienda prima che come fornitore”, l’esperienza di una società passata attraverso fasi di grande cambiamento, che in dieci anni l’hanno portata a spostare il proprio focus dalla fornitura di tecnologie per le Hr a quella di servizi basati su tali tecnologie e a crescere, anche tramite acquisizioni, fino ad essere una realtà che conta oggi 620 persone: “In questa trasformazione le maggiori difficoltà sul fronte delle risorse umane sono venute dai quadri e dai dirigenti di medio livello, che si sono trovati a gestire dei cambiamenti ai quali non erano stati adeguatamente preparati, sia in termini di formazione sia in termini di assunzione di responsabilità. Abbiamo dovuto realizzare un processo finalizzato al coinvolgimento e partecipazione del middle management in modo da trasformarlo nella catena di trasmissione delle strategie aziendali dal top management al livello operativo”.
Un buon rapporto tra la funzione Hr e quella It, che fornisce ed è responsabile sia dei tradizionali strumenti di amministrazione del personale, sia dei sistemi a supporto della formazione, della collaborazione e della comunicazione di cui si è detto, è importante. Come osserva Vicaretti (Sirap): “Sono quattro le aree in cui collaboriamo con l’It. La prima è quella classica, relativa alla rilevazione presenze ed elaborazione paghe e contributi. Poi abbiamo un sistema di gestione della formazione: a chi è stata fatta, in quali aree, per quanto tempo e così via, che evidenzia i punti critici dove agire; abbiamo anche un sistema di gestione e analisi dei colloqui, molto utile per poter estendere il numero delle persone cui applicare tale forma di valutazione. E infine c’è un programma di ‘inventario’ delle risorse, utile per meglio seguire i talenti emergenti o potenziali e che ci consente di individuare le persone più adatte a coprire le posizioni che mano a mano si possono presentare”. Con tutto questo, il direttore Hr Sirap aggiunge però che si tratta di una collaborazione che non si può dire veramente costruttiva, “sia per la poca conoscenza da parte dell’It degli strumenti che ho trovato io direttamente o che abbiamo importato dal gruppo di cui facciamo parte, sia per la scarsa disponibilità ad assumere la gestione e manutenzione dei sistemi per le Hr secondo un sano modello di rapporto dove la funzione Hr è il cliente e l’It il fornitore”. È chiaro, riconosce Vicaretti, che quest’ultima ‘pecca’ dipende non tanto da cattiva volontà quanto dalle pressioni esercitate sull’It da altre e più immediate priorità, ma il problema rimane.
Sul problema della conoscenza interviene Alliata (Caleffi) osservando come sia alquanto naturale che una funzione specifica come quella delle Hr sappia individuare le soluzioni più adatte ai suoi problemi offerte dal mercato. L’It deve piuttosto assumersi il ruolo e il compito di trasformare tali soluzioni in applicazioni aziendali efficienti e sicure, appoggiate su infrastrutture tecnologiche adeguate e sorrette da una costante manutenzione. Ed è qui che si può parlare di collaborazione. Una tesi condivisa da De Grandis (Ieo), che osserva però come a volte l’It si debba confrontare non solo con competenze specializzate ma, specie nell’area vitale delle paghe e stipendi, anche con soluzioni software ‘decisamente mature’, che presentano problemi d’integrazione difficili da superare non solo dal lato tecnologico ma anche da quello del rapporto con il fornitore. Inoltre, come aggiunge Contessa (F.lli Branca), “è un fatto da accettare che le richieste delle Hr passino quasi sempre in secondo piano rispetto a quelle provenienti dalla produzione o dalle business unit. Restano prioritarie paghe e stipendi, ma solo perché soggette a scadenze ineludibili”.
È appunto l’atipicità delle soluzioni paghe e stipendi a portare la discussione sul tema dell’esternalizzazione, nell’ottica di alleviare l’It aziendale affidando a specialisti compiti onerosi e indispensabili ma ben poco strategici, mantenendo però competenze e controllo sulle attività a supporto di quella che si può definire la ‘parte nobile’ della funzione Hr. La parola passa quindi a Mantovani (Byte), che dopo aver premesso che è molto difficile che un outsourcer possa o voglia aggirare l’It aziendale, e aver riconosciuto i problemi di aggiornamento e manutenzione di applicazioni vecchie e complicate (cui pertanto resta difficile garantire un futuro), aggiunge che i nodi da sciogliere riguardano i tempi e i modi.
Quando esternalizzare? “Quando occorre pensare di più alle priorità strategiche per l’impresa, oppure quando intervengono fattori, come accresciute esigenze di sicurezza o la perdita di competenze, che rendono onerosa la soluzione interna. E tenendo comunque presente che non si va a fare una scelta irreversibile”. Quanto al ‘come’, per Mantovani “Ciò che interessa alla funzione Hr è la disponibilità delle applicazioni e il coinvolgimento dell’It, che se ne renda responsabile; non che le applicazioni stiano su un server interno piuttosto che altrove”. Ciò lascia aperte più opzioni. Si può scegliere di portare all’esterno un’area, per esempio affidando all’outsourcer tutti i processi amministrativi, senza delegare i processi di valutazione e qualificazione del personale, per i quali ci si limiterà a usarne l’infrastruttura tecnologica”.
Questo approccio impedisce che la funzione It venga disintermediata. Un rischio che nella realtà, stando non solo alle affermazioni di Mantovani (che potrebbe essere considerato parte in causa) ma anche a quelle dei Cio presenti, sembra alquanto remoto. Infatti, non solo resta all’It il controllo (e la responsabilità) sull’architettura dei sistemi e delle soluzioni adottate, che vanno stabilite di concerto con l’outsourcer ma secondo le indicazioni date dall’azienda utente; ma restano soprattutto i mezzi di controllo sulla qualità del servizio, che per essere efficacemente esercitati richiedono lo sviluppo di certe competenze (non si può controllare ciò che non si conosce). “La perdita di competenze – dice Mantovani – è una leggenda metropolitana. Nell’outsourcing, anche totale, di un processo amministrativo non se ne perde alcuna. Primo perché la capacità di fare un cedolino è una competenza che salvo rarissime eccezioni non ha più nessuno, e non si perde ciò che non si ha. Poi perché nei servizi di livello superiore l’outsourcer si limita a fornire gli strumenti: non è colui che detta le regole con cui valutare le persone. Potrà farlo semmai l’esperto di una società di consulenza, ma questo è tutto un altro discorso”. Concetti ripresi da Vicaretti (“…a parte l’area paghe e amministrazione io mi sento del tutto autonomo”) e da Contessa, che giunge a dichiarare che “…su certe competenze l’It non deve entrarci. Il Cio dev’essere coinvolto se c’è una modifica del processo, ma per il resto può badare alle soluzioni infrastrutturali e tecnologiche, non alle funzionalità”.