Maggiore efficienza nell’operatività e la possibilità di implementare un’oculata governance dei processi sono benefici che si possono ottenere digitalizzando i flussi di lavoro. La trasformazione digitale delle attività, infatti, non consiste unicamente nel servirsi di mezzi tecnologici per il loro svolgimento: bisogna ridisegnarle, prevedendo nuovi paradigmi operativi basati sull’innovazione. Per fare al meglio ciò, tuttavia, servono competenze specifiche e, purtroppo, è annoso il problema dell’incongruenza tra le esigenze del mercato del lavoro e le figure professionali disponibili a ricoprire i ruoli richiesti, in particolare in relazione alle nuove tecnologie. Ne consegue che la formazione è un campo di importanza primaria in cui investire per il rilancio dell’intero sistema Paese.
Le sfide del new normal per le aziende
Ciò che sta emergendo sempre più drammaticamente infatti, anche in virtù delle opportunità legate al PNRR, è la sfida legata all’assenza di sufficienti figure professionali per affrontare le priorità della digitalizzazione. Ci si aspetta che l’innovazione avrà un’esplosione esponenziale, ma il vero problema è che mancano i tecnici per fare tutto quello che sarà necessario. Un grande problema, sentito da tutti i settori produttivi, maggiormente dalle imprese informatiche, perché hanno l’opportunità di offrire lavoro ma non le persone per ricoprire determinati ruoli.
Si tratta di una questione annosa, perché l’Italia non ha investito in questi profili nel corso degli anni e, ovviamente, le competenze non si creano in poco tempo.
In questo scenario, il grande tema che si sta ponendo è quello del reskilling, cioè come rendere persone formate su altre discipline competenti su temi informatici e digitali. Il problema che ci si ritrova ad affrontare, infatti, è formare rapidamente esperti, oltre a coinvolgere le donne e attingere a persone che fino adesso sono state lontane dagli ambiti STEM. Le politiche industriali vanno in questa direzione. Si pensi per esempio al piano Transizione 4.0, che offre incentivi per supportare la formazione, al fine di rispondere alle preoccupazioni delle imprese.
Del resto, i problemi in questo campo emergono anche per gli utilizzatori finali, per i quali la mancanza di competenze si traduce nel problema di non riuscire a star dietro alle tematiche di business nelle tempistiche richieste, aspetto fondamentale per esempio nelle PA.
L’impatto della mancanza di competenze sul workflow
Digitalizzare dei processi già esistenti richiede una re-ingegnerizzazione della modalità in cui si lavora. Per far ciò è necessario conoscere le potenzialità delle tecnologie e cosa permettono di fare. Prendiamo l’esempio del lavoro sul ciclo approvativo di un documento. Se il documento è in formato cartaceo è necessario stamparlo, firmarlo e poi archiviarlo, ma nel momento in cui riporto questo flusso in formato digitale non c’è questa necessità: si può, ad esempio, introdurre la firma automatica digitale, senza coinvolgere tutti i soggetti e senza stampare il documento. Nel ridisegnare i processi in formato digitale vanno analizzate, quindi, le conseguenze operative e legali, bisogna eliminare i passaggi superflui, con l’obiettivo di rendere più efficiente l’attività. Una delle conseguenze del digitale è che rende inutile una serie di operazioni, facendo saltare le intermediazioni e di conseguenza il processo diventa più immediato ed efficace. Per far tutto questo servono competenze specifiche.
Le competenze sono rilevanti anche in relazione a un altro aspetto della digitalizzazione del workflow cioè l’ambito puramente tecnico, implementativo. Bisogna avere un adeguato bagaglio di competenze per introdurre in azienda le giuste tecnologie e concretizzare la trasformazione digitale. È evidente che la mancanza di specialisti rappresenta un problema enorme.
Workflow automatizzato e flessibile: i vantaggi
Eppure, questi aspetti sono vere priorità. Trasformare il workflow abbracciando i paradigmi della dematerializzazione e digitalizzando le operazioni rende più efficiente ed efficace il processo: il digitale porta valore quando il processo viene re-ingegnerizzato e si riducono i colli di bottiglia costituiti dall’intervento umano. La digitalizzazione di un processo dovrebbe avere lo scopo di abbattere le barriere, ridurre i limiti, rendere più semplici e snelle le procedure. Questo approccio abbassa notevolmente i costi operativi e di esecuzione del procedimento, con relativi maggiori profitti per l’azienda.
Un altro aspetto fondamentale è quello della governance del processo. Tenere traccia di tutti i passaggi, raccogliere le informazioni, verificare il rispetto dei livelli di servizio, analizzare dati per gestire meglio il lavoro e i rischi operativi, controllare se le attività vengono svolte in maniera compliant a protocolli e regole normative: sono passaggi rilevanti per l’ottimizzazione delle procedure e per migliorare l’erogazione dei propri servizi.
Il caso di Jamio openwork
Al di là della dematerializzazione dei processi, alla luce di questo scenario un’interessante risposta arriva proprio dall’Italia: parliamo della piattaforma no-code Jamio openwork. Grazie all’innovativo approccio no-code, infatti, è possibile rispondere alla problematica dell’assenza di competenze perché per implementarla non serve conoscere linguaggi di programmazione e nemmeno dover fare attività formativa avanzata. La conoscenza richiesta è più applicativa e funzionale che tecnica. Non è necessario saper scrivere codice.
La soluzione Jamio di Openwork si chiama così prendendo spunto dall’ambito musicale: il termine jam session, da cui il nome Jamio deriva, indica una riunione di musicisti che suonano insieme improvvisando. Così, si vuole sottolineare l’elevata flessibilità della piattaforma cloud e della capacità di armonizzare i processi in azienda, proprio come si fa con la musica durante la jam session.
La piattaforma, infatti, dà la possibilità di sperimentare con nuovi processi, modificandoli finché non si ottiene il risultato operativo ottimale per l’azienda. Si può arrivare così alla definizione della soluzione che più si avvicina alle necessità operative, con un alto livello di customizzazione. Jamio è una cloud native platform sui cui si possono realizzare anche soluzioni molto complesse, di classe enterprise, cioè con requisiti di conformità alle normative su sicurezza e data protection. Il tutto però avviene con estrema semplicità e rapidità, in quanto, come anticipato, si tratta di una piattaforma no-code, cioè che non richiede l’impiego di codici di programmazione o di conoscenze tecniche specifiche per essere personalizzata secondo le proprie necessità operative e di business. In questo modo, Jamio openwork funge da leva di innovazione nonostante la carenza sul mercato di figure professionali specializzate in programmazione o altri settori tecnici.