Il nuovo Cfo, agente di trasformazione dell’azienda

Un ruolo sempre più da stratega quello che il Chief Financial Officer è chiamato a svolgere oggi. Una tendenza che si esprime in una partnership crescente con i responsabili delle Line of Business con l’obiettivo di aumentare le performance d’impresa. Parola di Jeremy Hope (nella foto), autore del libro "Reinventing the Cfo", e di Marco Allegrini, docente all’Università di Pisa, intervenuti a due distinte tavole rotonde. Di qui la necessità, anche per questa figura, di strumenti statistico-predittivi più potenti per comprendere al meglio i fenomeni aziendali

Pubblicato il 25 Giu 2008

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In una giornata sponsorizzata da Sas, Jeremy Hope (nella foto in alto), uno dei maggiori esperti nel performance management aziendale, co-fondatore di Beyond the Budgeting Roundtable, nonché autore del libro “Reinventing the Cfo” (Harvard Business School Press), ha illustrato le nuove competenze del Chief Financial Officer (Cfo) in un incontro con un centinaio di executive aziendali: oltre alla pura contabilità, il Cfo segue sempre più “da stratega” i fenomeni finanziari aziendali, e diventa “agente di trasformazione performante delle operazioni”. Tendenza confermata dalle aziende italiane in una recente tavola rotonda Ceo e Cfo di Business International, sponsorizzata da Ocè e Oracle, dalla quale è emersa la ridefinizione del ruolo del Cfo, il suo rapporto con Ceo e board (Cda) e il suo contributo in aziende che aprono il capitale all’esterno (M&a, Private equity, Ipo).

Performance management in tempo reale
In estrema sintesi il libro di Hope descrive un Cfo poliedrico con ben sette ruoli da scoprire e ricoprire: liberatore del tempo dei manager (abolisce lavoro inutile in processi di pianificazione eccessivi); team builder (assembla un team di skill analitici e trasferisce know how finanziario all’organizzazione); architetto del management adattativo (col Cio ridisegna i sistemi di performance management per abilitare risposte tempestive e innovazione continua); eliminatore di sprechi (promuove pratiche agili e decisioni d’investimento strategiche); promotore di cultura della performance e dell’etica (con misurazioni utili e controlli efficaci, di nuovo col Cio); referente nel cambiamento (eroga informazione obiettiva e “percezione” affidabile agli stakeholder); infine regolatore del rischio (identifica e rimuove i punti di pressione che spingono a rischi eccessivi, supporta un approccio aperto e onesto all’incertezza inerente le decisioni di business).
Hope vede inoltre una real time enterprise con gli occhi di un Cfo “che va oltre il budget e l’illusione di controllare il business attraverso di esso”. Il budget, cioè la licenza di spendere soldi, produce un target negoziato “fra un 20% e un 40%” al di sotto del profitto potenziale: induce un manager di linea (Lob), anziché a dispiegare risorse in investimenti, a trattenerle in riserva (per magari spenderle all’ultimo momento in vista dell’approvazione del prossimo budget). Uno spreco, con valore zero per il cliente. Invece, società come Toyota, American Express e Ge, stufe di investire in piani un 20% del tempo del management, di bloccare il piano e di restare impervie ai cambiamenti indotti dal mercato, hanno scoperto che “i piani devono far parte delle Lob”; e sono riuscite a misurare le performance e a controllare il business rendendole direttamente finanziariamente reattive a ciò che succede, con un “forecast residuale (rolling)”. Il tutto grazie a un sistema di controllo “real time enterprise” che dice alla singola Lob dov’è arrivata giorno per giorno rispetto ai suoi obiettivi a un mese, a un trimestre e a un anno, usando non più di una dozzina di indicatori di performance finanziari ed operativi (driver chiave di fatturato, di costo operativo, di capitale investito, di utilizzo degli asset), e poi centralmente ricomponendo “bottom up” la foto di dove il business stia andando con proiezioni di intelligence.
Insomma, dal cruscotto a livello Lob allo schermo radar finanziario aziendale: un’American Express ci arriva in meno di due giorni, abilitando così “praticamente real time” decisioni finanziarie, sia sugli investimenti che sui rischi. Il sistema di controllo in tempo reale confronta poi la Lob, non con l’utilizzo del suo budget, ma con le performance dei concorrenti: la “peer pressure è il vero driver, perché nessun manager vuol finire nel quarto quartile”, tutti vogliono essere nel gruppo di testa. Ecco perché, in una sintesi dei sette ruoli identificati, Jeremy Hope dice che “il Cfo cambia da controller remoto (dal suo ufficio), a business partner dei business leader delle Lob”, abilitate a decidere sul campo, sulla base dei rolling forecast.
Il dialogo è stato facilitato da Giovanni Paganini, Global Business Application manager di Sas, il quale ha sottolineato che “diventa fondamentale abbinare la capacità di giudizio del Cfo a strumenti statistico-predittivi in grado di comprendere i fenomeni aziendali. E per migliorare il processo di forecast si rende necessaria la collaborazione delle Lob, con le quali il Cfo si fa promotore dell’uso di metodologie analitiche innovative”.

I Cfo in Italia

Marco Allegrini, docente all’ Università di Pisa (nella foto a sinistra), durante la tavola rotonda di Business International ha presentato un’interessante inchiesta tra gli iscritti all’ Associazione Nazionale Direttori Amministrativi e Finanziari. Ovunque emerge l’influenza crescente del Cfo, chiamato, al di là del “core” contabile e finanziario, a gestire il rischio, a certificare un bilancio con comunicazioni sociali trasparenti, nonché a contributi attivi alla stessa strategia (61%), a partire almeno dalla performance governance coi Kpi (39%). Ma, lamenta Paolo Bertoli, presidente Andaf, “sul mondo anglosassone post Sarbanes Oxley c’è un ritardo tutto italiano (derivante al modello di governance dal nanismo aziendale) nel riconoscere al Cfo la pienezza dei mezzi necessari”. In 4 organigrammi archetipali del professor Allegrini, le funzioni Finanza, Amministrazione e Controller riferiscono riunite a Ceo-Cda tramite un Cfo solo in un 40% di casi; tramite una figura intermedia (un Direttore Amministrazione e Finanza, affiancato dal Controller) in un 15%; altrimenti riferiscono separate e/o senza Cfo.
Marco Colombo, Vp Giovani Imprenditori di Confindustria (e già Ceo e Vp di Omv Ventura) fa il confronto con gli Usa e dice: “la figura del Cfo evolve da bean counter a partner strategico globale: un 76% di Cfo si ritiene preparato a diventare Ceo, 1 su 5 dichiara esplicitamente di ambirvi. Insomma il Cfo è partner non alternativo, di supporto nel governo e controllo di decisioni prese e realizzate in azienda”.
Ma anche in Italia l’ascesa del Cfo è ’’inarrestabile”: se solo un 28% di Cfo è membro del Cda, i Cfo comunque vi partecipano, il 61% sempre e il 26% a volte; l’organico dei riporti è visto crescere dal 58% dei rispondenti, pur con una “frastagliata casistica di funzioni”: il Cfo accentra responsabilità di bilancio (90%); risultati su tesoreria e supporto decisioni operative (80%); governance e gestione del rischio (60%); supporto nei M&a (50%); pianificazione finanziaria (40%). Prende decisioni strategiche scaturite dall’allineamento dei risultati agli obiettivi (35%). Governa riduzione costi (23%) e comunicazioni sociali (25%). Insomma, è un uomo di business a tutti gli effetti.

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