Sono proprio i dati, così cari al mondo IT, ad “accusarlo” di essere ancora un covo di disuguaglianze e pregiudizi. Chi offre lavoro, cerca più o meno inconsciamente un soggetto di sesso maschile e di pelle bianca. Non lo scrive nella job description perché è già inciso nel suo proprio inconscio. A svelarlo è il rapporto”State of Wage Inequality in the Tech Industry 2023” di Hired. Questa società di recruiting di tecnologia e vendite, lo ha realizzato esaminando quasi 64.000 annunci e più di 860.000 interazioni tra candidati e datori di lavoro tra il 2018 e il 2022.
Discriminazioni consce e inconsce, tutte comprovate
Per quanto riguarda le discriminazioni legate al colore della pelle, nell’intervallo di tempo analizzato emerge un miglioramento. Si passa dal 26% al 10% di richieste di colloquio solo a persone di razza bianca. Un dato che non deve far sorridere: la percentuale resta stigmatizzante e da minimizzare.
Un gran lavoro c’è da compiere anche per quanto concerne la disparità di genere. Il 38% delle posizioni pubblicizzate nel 2022 ha generato richieste di colloquio solo per uomini. La percentuale, in questo caso, è perfino in aumento, rispetto al 2021, pur segnando un miglioramento generale rispetto al 2018 quando era pari al 45%.
Nel quadriennio si riduce anche la disparità salariale, per lo meno per le donne di origine asiatica ed europea, ma è pur sempre un inizio.
Affianco a questi pregiudizi classici, prevedibili e spesso applicati alla luce del sole, lo studio ne ha rilevati altri, più mimetizzati ma altrettanto ingiusti. E il fatto grave è che quasi la totalità dei responsabili delle assunzioni (99%) non ne ammette l’esistenza.
Si tratta del pregiudizio di affinità (assumere persone simili a sé stessi) e del pregiudizio di conferma (concentrarsi sulle informazioni riguardanti i candidati che supportano le convinzioni preesistenti). Sono entrambi spesso inconsci e complessi da individuare e denunciare, ma distorcono il mercato del lavoro e concorrono all’annullamento della diversity. Una prospettiva grave che si rischia di veder realizzata, attraverso la promozione di un cultural fit da parte di quasi il 70% dei datori di lavoro. Questa logica potrebbe essere valida se si parla di valori fondamentali, come l’impegno per l’innovazione, la filantropia o il rispetto degli altri, ma non deve “appiattire” la forza lavoro a una massa di persone tutte aderenti alla stessa identica linea di pensiero. Il rischio è quello di ottenere luoghi di lavoro dal pensiero omogeneo, privi di tutta quella forza innovativa insita nella diversity, comprovata anche da molti studi.
Come salvare e farsi salvare dalla diversity
Di fronte a questo quadro opprimente, gli autori del report suggeriscono di porre maggiore enfasi sulle iniziative di diversità, equità e inclusione (DEI), non solo a livello teorico o di formazione e workshop.
Non è così scontato che le aziende ci credano e ci puntino realmente, infatti. C’è ancora un 14% di responsabili delle assunzioni che ritiene che iniziative in tal senso creino un vantaggio ingiusto per alcuni gruppi. Un dato che obbliga a un violento cambio di paradigma nel mondo IT, uno scossone desiderato anche dall’82% delle donne in cerca di lavoro e dal 69% degli uomini, più propensi a lavorare in un clima “DEI friendly”.
Queste percentuali, pur non equilibrate tra i generi, riescono a creare comunque pressione sull’80% dei responsabili delle assunzioni, rendendo l’oggi il momento perfetto per le aziende perché si assicurino che il loro nome non venga associato a pratiche di assunzione discriminatorie.
Come? Hired consiglia di anonimizzare i curriculum e di effettuare colloqui strutturati, con le stesse identiche domande per tutti i candidati. Per eventuali valutazioni tecniche, l’ideale sarebbe quello di passare a un sistema asincrono, per evitare che siano imposti inconsciamente pregiudizi.
In parallelo, un aiuto potrebbe giungere anche dalle leggi sulla trasparenza salariale che in qualche Paese stanno comparendo. In questi ecosistemi sarebbe effettivamente stato registrato un miglioramento della parità salariale, ancora un miraggio in molti altri.