Il tema “Performance management e Risorse Umane” è stato al centro della “cena-dibattito” organizzata da ZeroUno, con la sponsorizzazione di Byte, che ha visto la partecipazione di oltre sessanta ospiti, in gran parte It manager e responsabili dell’area Human Resource, molti dei quali sono interventi nel corso della tavola rotonda, momento centrale della serata, coordinata da Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno
Alla tavola rotonda hanno partecipato:
Alberto Melgrati, responsabile product development di ISTUD
Paolo Torri, Product Manager, Byte
Carlo Pettinelli, Direttore Sviluppo del Personale, Gruppo Angelini
Dino Ruta, Sda Bocconi
La discussione ha preso spunto soprattutto dall’esperienza concreta, illustrata da Carlo Pettinelli, del Gruppo Angelini (link al caso Angelini) che ha adottato un sistema informatico basato su web per supportare l’evoluzione della valutazione della competenza prestazione.
Uberti Foppa
Nel suo intervento Pettinelli ha sostenuto un’evoluzione da valutazione della competenza a prestazione, grazie anche al supporto di un software dedicato. Ma certo l’adozione di un’applicazione, per quanto ottimale, non è sufficiente per una trasfomazione così profonda. Quali difficoltà sono state incontrate sul terreno culturale e di mentalità?
Pettinelli
Come ho già accennato nel mio intervento, avevamo capito che qualcosa non funzionava nel sistema di valutazione, dal momento che il contenuto delle valutazioni che arrivavano dai manager non era congruente e non portavano a miglioramenti nelle performance aziendali. In parole povere i sistemi di valutazione, adottati per migliorare le prestazioni delle persone, hanno come obiettivo finale il miglioramento dei risultati di business delle aziende. Se si dimentica questo aspetto si ottiene il risultato di innalzare la cultura interna, ma non si ottengono risultati concreti. Abbiamo così deciso di ricondurre il sistema ad una valutazione delle competenze, anzichè della conoscenza, che certamente va sviluppata, ma non deve essere oggetto di valutazione.
Questo cambiamento è stato per i manager più facile del cambiamento precedente, che prevedeva un focalizzazione sulle conoscenze.
Concordo dunque con l’obiezione di Uberti Foppa. Il problema è innazi tutto di cultura e trovare un giusto approccio per farlo all’interno dell’azienda, mentre il ruolo del software è semplificare la gestione, riduce i tempi eliminando la carta, offrire una repostistica avanzata.
Per quanto riguarda agli sviluppi, nel prossimo anno prevediamo di ampliare il numero di attori che contribuiscono alla valutazione, coinvolgrndo non solo i diretti responsabili, ma anche i clienti interni.
Fino ad oggi la valutazione è fatta infatti esclusivamente dal responsabile sul collaboratore. Dal 2006 vorremmo invece prevedere anche un panel di clienti interni (ad esempio se la persona da valutare opera in ambito produzione potrebbero essere coinvolti i responsabili della logistica, della programmazione…). In prospettiva ci piacerebbe ricorrere anche alle valutazioni di clienti esterni, ma si tratta di un passo molto delicato, da valutare con attenzione e su cui stiamo ancora riflettendo.
Intervento dal pubblico
Mi sembra di aver capito dall’intervento di Pettinelli che il gruppo Angelini abbia in pratica spostato il sistema di valutazione dalle competenze al prodotto finito, derivato dall’attività lavorativa. Non c’è però il rischio che si deformi il giudizio sulla persona? Infatti, mentre la competenza appartiene al singolo, il risultato prodotto può essere influenzato, in una logica di processo, anche da molti fattori esterni.
Pettinelli
Questa obiezione è interessante e infatti ne abbiammo discusso molto. La logica di valutazione per prodotto/servizio è molto vicina a quella per obiettivi. Anche in questo caso capire fino a che punto l’obiettivo sia nelle mani della persona da valutare e fino a che punto sull’obiettivo agiscano altri fattori è un elemento di criticità. Però, pur evidenziando la presenza di possibili condizionamenti derivanti da altre funzioni, abbiamo preferito proseguire nella direzione della valutazione sui risultati dell’attività, piuttosto che tornare al sistema delle competenze, considerando che il rischio da evitare fosse l’eccessiva focalizzazione della valutazione sulla conoscenza teorica a scapito dell’applicabilità quotidiana della competenza. Faccio un esempio: per essere un buon responsabile di relazioni industriali non è necessario essere il massimo esperto di giurisprudenza del lavoro, anche se una serie di conoscenze di base sono indispensabili. Viceversa non è detto che il massimo esperto nella giurisprunedenza sia anche il miglior esperto di relazioni industriali.
Torri
Per integrare la risposta di Pettinelli su come evitare il rischio di focalizzarsi su una sola tipologia di valutazione delle persone. Abbiamo visto per un numero di clienti crescente la tendenza ad adottare sia la valutazione della performance sia a mettere in atto valutazioni di altro tipo, come ad esempio il potenziale. E’ il caso della Ferrari che ha messo in campo un progetto importante per lo sviluppo delle persone, che consente di impiegare le valutazioni sia in termini di compensatione sia in termini di sviluppo di carriera all’interno dell’organizzazione.
Intervento dal pubblico
Nel sistema adottato da Angelini è previsto un colloquio di valutazione? E quali regole sono peviste per gestirlo? Non c’è il rischio che, una eccessiva concentrazione sugli strumenti tecnologici di supporto faccia venire meno la funzione del colloquio?
PettinelliQuesto aspetto è molto importante, ancora più dell’impostazione del sistema che abbiamo adottato. Senza il colloquio di valutazione tutto quello che abbiamo costruito non serve, rischia di diventare una pagellina.
Abbiamo definito un sistema formalizzato di colloquio di valutazione che è stato spiegato al management, verso il quale sono in corso azioni formative anche per aiutarlo a gestire sistuazioni conflittuali, purtroppo inevitabili. La valutazione è annuale ed è previsto a fine anno un colloquio di valutazione con il responsabile.
Sono state definite alcune regole: il dipendente ha diritto a ricevere una copia della valutazione in modo che il processo sia trasparente; il piano di miglioramento deve essere focalizzato su uno-due punti critici su cui lavorare, definiti congiutamente. Il colloquio serve dunque anche per definire alcuni obiettivi, che sono di due tipi: aziendali (margini, fatturato…) e individuali. Fra questi ultimi (che vanno concordati) abbiamo chiesto di indicare un obiettivo di crescita personale e le azioni attraverso le quali raggiungerlo.
Ruta
Il problema è fra quantità e qualità delle attività condivise e messe a sistema dal singolo. Faccio un esempio. Ho condotto una ricerca in due società di consulenza dotate di sistemi sofisticati di gestione della conoscenza, da cui è emerso che la quantità da il senso di aver fatto il proprio dovere all’interno dell’organizzazione, mentre la qualità dipende dalla cultura percepita all’interno del proprio sistema professionale e deriva dal sistema manageriale e dunque da ciò che valorizza il capo.
La qualità è più difficile da valorizzare, ma si può fare attraverso categorie come il riuso, la visibilità, il riconoscimento dei colleghi che detengono la medesima competenza delle contribuzioni di un certo peso.
Ciò che viene descritto nella valutazione della prestazione non sempre viene percepito essere rilevante per il proprio successo all’interno dell’organizzazione e per la propria crescita professionale.
Intervento dal pubblico
Faccio una premessa doverosa, sottolineando quanto detto precedentemente; quando si parla di gestione di processo si parla di un fattore culturale. Un’azienda deve essere matura per avere la cultura di valutazione della perfomance. Lo strumento può essere di tipo Web, ma potrebbe essere anche la carta e il colloquio continuo e sostematico capo collaboratore.
Nella mia azienda, da anni è utilizzato il processo di gestione della performance, questa cultura è quasi innata. Lo scorso gennaio abbiamo concluso il primo ciclo di sperimentazione su web. La nostra esperienza è simile a quella di Angelini: anche noi ci siamo chiesti che cosa fosse giusto misurare. Per noi obiettivi sono sia quelli eccezionali sia la gestione delle attività chiave. Un altro passaggio importante, non citato ma credo condiviso da tutti i presenti, è che nella valutazione della performanace il management cerchi sempre di dare ai collaboratori e a sè stesso obiettivi coerenti con quelli dell’azienda.
Vorrei anche cercare di rispondere alla domanda di Uberti Foppa, ossia qual è stato l’impatto dell’introduzione del nuovo sistema. In una situazione dove era già presente la cultura di processo, la funzione Hr ha cercato di posizionare il nuovo prodotto come una soluzione “win-win”. La funzione Hr, attraverso un sistema su web che permette la gestione integrata di tutte le reti, ha la possibilità di verificare quali capi hanno concluso cosa, verficare gli obiettivi dati, le competenze, gli sviluppi previsti. Per inciso ricordo che nel nostro caso il sistema coinvolge duemila persone di cui millequattrocento informatori medico-scientifici, che hanno accesso al sistema attarverso il portale creato per loro.
La funzione Hr è stata molto abile a far percepire ai collaboratori i vantaggi che derivavano anche per loro dall’introduzione del nuovo sistema. Possono ad esempio avere sotto controllo sistematicamente quanto il suo avvicinamento agli obiettivi sia in linea con le aspettative.
Ma anche noi dalla parte sistemi abbiamo svolto il nostro ruolo adottando un sistema che dopo un anno non ha dato problemi. All’inizio di quest’anno abbiamo avviato il secondo ciclo di sperimentazione e siamo determinati ad andare avanti.
Intervento dal pubblico
Vorrei unirmi per portare l’esperienza della mia azienda che quest’anno ha introdotto un sistema informatico basato su web per la valutazione della performance. Da una parte abbiamo trovato difficoltà, simili a molte aziende, di alfabetizzazione informatica. D’altra parte abbiamo fatto una scelta che ha visto il lavoro più impegnativo nella preparazione. Siamo però stati avvantaggiati dal fatto che l’azienda aveva già una cultura di valutazione della prestazione: da anni veniva infatti adottato un sistema, basato su obiettivi economico-finanziari, uniforme a livello mondiale, su 17 paesi. La novità è stata “solo” l’introduzione delle competenze. Il lavoro di preparazione è stato il più complesso, ma indispensabile per evitare un insuccesso. Infatti abbiamo coinvolto nel progetto il management, che quando si è trovato di fronte allo strumento informatico vi ha ritrovato ciò che aveva costruito e contribuito a diffondere fra i collaboratori.
Vorrei infine sottolineare che lo strumento infromatico è utilissimo, ma non è pensabile che possa sostituire il rapporto diretto con il dipendente.
Intervento dal pubblico
Finora si è parlato poco di estrnalizzazione dei servizi avanzati.
C’è una tendenza che proviene dagli Stati Uniti che mira ad esempio ad esternalizzare quando Angelini ha realizzato in house.
Cosa ne pensate?
Torri
Faccio parte di un gruppo che al suo interno ha un’azienda (Hro), che offre questo tipo di servizi. Verifico però che da parte dei direttori delle risorse umane c’è ancora una certa resistenza per alcune problematiche di sviluppo, mentre c’è disponibilità per aree di amministrazione e gestione. Chi fornisce servizi di outsourcing deve saper gestire un sistema complesso, sintetizzando impostazioni metodologiche portate da società di consulenza e da competenze interne, che però poi devono adattarsi alle esigenze della singola azienda. E’ dunque per questa ragione, a mio parere, che l’outsourcing è diffuso in aree come l’amministrazione del personale e in futuro lo sarà nella nella gestione operativa; ma forse non è ancora maturo per attività più strategiche. Perchè si sviluppi anche in queste aree è necessario un cambiamento sia sul versante dei fornitori di servizi sia su quello della funzione funzione Hr
PettinelliParlare di outsourcing significa discutere di cosa faremo in futuro come persone dell’area risorse umane, tema su cui c’è grande dibattito. Personalmente ritengo che ci siano aree come la selezione e l’amministrazione del personale, la formazione, la compensation, l’area gestionale che per l’azienda, pur con qualche rischio, è conveniente esternalizzare. In ambiti come il sistema di valutazione e sviluppo l’outsourcing è invece più difficile. Una soluzione può dunque essere di ri-affidare questa attività al management, aiutandolo a crescere, mentre noi, come funzione Hr, dovremmo limitarci a fornire strumenti validi. Ma quale ruolo andiamo allora a giocare?
In sisntesi: per un’azienda a mio parere è preferibile esternalizzare la maggior parte delle attività mantenendo però all’interno le attvità core, sulle quali lavorare.
Intervento dal pubblico
Non sono invece d’accordo sul fatto che l’outsourcing sia sempre conveniente, va sempre valutato anche su aspetti amministrativi; dipende infatti dalle economie di scala, dalle competenze interne…
Per altre funzioni si possono esternalizzare alcune componenti. Ad esempio per il recruiting nella mia azienda abbiamo un sistema altamente automatizzato, che raccoglie i curriculum e li classifica (riceviamo 10mila curriculum l’anno); abbiamo valutato che ci ci convenga effettuare la selezione all’interno, anche in termini di costi.
Non si possono inevece a mio parere delegare attività che devono essere integrate nell’azienda come le relazioni sindacali, l’organizzazione, la formazione.
Torri
Vorrei integrare quanto già detto. Quando parliamo di esternalizzazione dovremmo distinguere fra l’outsourcing dei sistemi e esternalizzazione della funzione. Un conto è dunque l’esternalizzazione dell’attvità operativa e un conto è esternalizzare la funzione, che non ritengo sia ancora matura
MelgratiSono tendenzialmented’accordo sul fatto che quanto più un processo è complesso e riguarda uno sviluppo strategico tanto più dovrebbe essere tenuto all’interno. Ci sono tuttavia esempi storici clamorosi in cui la componente più intensa in termini di “intelligenza” viene esternalizzata, mentre viene mantenuta all’interno la componente operativa. La consulenza strategica assegna ad esempio spesso ai consulenti la parte più interessante e porta dentro la componente implementativa, ossia il derivato della parte più strategica, che è invece sviluppata all’esterno. Faccio una provocazione: secondo me si potrebbe esternalizzare qualuanque cosa. Ad esempio in Porsche è stata esternalizzata la gestione del processo di innovazione e sviluppo di prodotto, che coinvolge 250 persone, ossia i più alti potenziali da cui deriva il tasso di innovazione e la fidelizzazione dei clienti dell’azienda.
Un intervento dal pubblico sosteneva che la funzione Hr ha preparato la cultura, un altro evidenziava che alcuni aspetti del processo di Angelini possono essere migliorate. Ad esempio la valutazione delle risorse sul front-office. Un altro ancora si chiedeva: come la mettiamo con gli obiettivi che non dipendono solo dalla persona oggetto di valutazione?
Potremmo cercare di fare una sintesi dicendo che la tecnologia fornisce strumenti imperfetti, ma il cuore del salto culturale è rappresentato dalla disponibilità di uno metodo condiviso, che il software ci aiutaottenere; ci avviciniano in questo modo a modalità di pensiero diffuse in culture diverse dalla nostra dove il problema non è tanto la perfezione del modello, ma che un modello di riferimento ci sia.
E’ inutile, sosteneva ad esempio un articolo su Hardward Busieness Review, riferendosi ai sistemi Erp, sceglire il sistema più nuovo; utilizzate pure lo stesso dei vostri concorrenti; l’importante è che sappiate implementarlo bene e che i vostri manager lo usino.
Una delle chiavi è dunque: la strada indicata è imprecisa, ma proviamo a percorrerla.
Uberti Foppa
Questo intervento apre molti interrogativi a cui è difficile rispondere nei pochi minuti che ci restano. Mi pongo ora il problema del come fare. Quale punto di partenza per misurare le prestazioni e commisurarle agli obiettivi dell’azienda? Accettando che la tecnologia è una strumento imperfetto con questo dobbiamo misurarci o scontrarci. Come si fa attraverso un uso intelligente della tecnologia a individuare i passi attraverso i quali raggiunger l’obietivo?
Discutendo con Paolo Torri qualche giorno fa è emerso il caso di un’azienda che facendo un’analisi sulle competenze ha scoperto che la maggior parte delle competenze strategiche sono concentrate nelle persone di in una fascia di età in procinto di lasciare l’azienda. L’utilizzo della tecnologia in questo caso può dare subito un chiaro ritorno.
Torri
Cerco di rispondere e poi lascio il sasso.
La prima domanda è: c’è dicotomia fra It e Hr?
A mio parere no a condizione che il sistema informativo arrivi dopo la definizione metodologica, che deve tenere conto delle esigenze dell’azienda a cui il sistema informativo deve adeguarsi e deve supportare quanto definito. Nel momento in cui il sistema informativo invece impone un nuovo metodo le cose non funzionano. Detto questo, ritengo che il software sia indispensabile per poter governare le informazioni. Non posso utilizzare il patrimonio informativo scritto sulla carta così come posso utilizzare quanto invece presente sul sistema informativo.
L’esempio fatto da Uberti Foppa si rifersice ad banca che stava andando in borsa e stava cambiato natura per diventare competitiva. In quel caso si doveva analizzare quali competenze supportasseo la strategia. Se nei prossimi ciqnue anni si vuole diventare la banca numero uno in un certo settore, ci si deve assicure fin da oggi la disponibilità delle competenze necessarie. Se si scopre che quelle competenze sono concentrate in persone che stanno per andare in pensione e non ne disporrò più prorpio quando saranno più indispensabili si devono attuare processi di formazione, di mobilità interna e di assunzione per poter disporre delle competenze indispensabili per attauare la linea strategica.
Lo strumento informatico supporta la metodologia che deriva dalla linea strategica, elaborando una massa di dati altrimenti non accessibile.