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L’AI svecchia e appiana la forza lavoro di chi ci investe

Le imprese che scommettono sull’intelligenza artificiale puntano sui giovani meglio istruiti e tagliano il numero di manager di medio livello. Questa tendenza ha forti impatti organizzativi e sta rendendo le strutture sempre più orizzontali

Pubblicato il 24 Ago 2023

Immagine di TA design su Shutterstock

Mentre ogni giorno osserviamo in real time i repentini cambiamenti che l’AI sta introducendo nella nostra vita quotidiana, ne esistono altri più massicci e lenti, iniziati tempo fa, e che ora possiamo analizzare a fatti già avvenuti. O quasi.

Uno dei più importanti è quello registrato nel mercato del lavoro e, ancora prima, nella composizione della forza lavoro delle aziende. In modo più silente che in altri ambiti, in questo l’intelligenza artificiale ha introdotto elementi fortemente disruptive di cui continueremo per anni a subire le conseguenze.

Per ricordarcelo, alcuni accademici statunitensi li hanno analizzati in un articolo intitolato “Firm Investments in Artificial Intelligence Technologies and Changes in Workforce Composition”. Hanno scelto di farlo in modo oggettivo, analizzando alcune serie di dati relativi ai curricula dei lavoratori e agli annunci di lavoro, con l’obiettivo di valutare l’impatto dell’impegno aziendale nelle competenze associate all’IA.

In particolare, hanno voluto monitorare l’investimento nell’AI deducendolo da annunci di lavoro contenenti termini correlati, come “intelligenza artificiale”, “computer vision”, “machine learning” e “natural language processing”.

Workforce sempre più istruita, junior e agile

La prima evidenza del quadro tracciato dai ricercatori è l’aumento di titoli di studio avanzati, soprattutto tra le new entry. La forza lavoro è diventata mediamente più istruita, in particolare grazie ad una crescita di competenze STEM. In termini di livello di istruzione, la variazione di una deviazione standard nella quota di lavoratori AI si è tradotta in un aumento del 3,7% dei lavoratori con diploma di laurea, del 2,9% dei lavoratori con master e dello 0,6% dei dottorati.

Un cambio di rotta deciso e massiccio, che ha impattato fortemente sulla struttura organizzativa delle aziende che investono in AI, rendendole meno verticistiche. Ciò significa sempre più dipendenti giovani e sempre minore enfasi sui ruoli di middle-management e senior.

Quello che è avvenuto sotto i nostri occhi, è una vera e propria trasformazione della composizione della forza lavoro e della struttura manageriale delle aziende. La si può riassumere con “spazio ai giovani, preparati ma meno esperti”, a scapito dei dirigenti di medio e alto livello. I ricercatori hanno infatti registrato un aumento dell’1,6% della quota di dipendenti junior dal 2010 al 2018, mentre i quadri intermedi sono diminuiti dello 0,8% e i dirigenti senior dello 0,7%. Ne consegue che, chi non ha un’istruzione universitaria, ha visto diminuire i posti di lavoro nelle organizzazioni orientate all’AI del 7,2%.

Occhio ai salari, rivoluzione in arrivo

Per ottenere questi trend, la ricerca si è basata su un profilo occupazionale di Cognism, che copre 535 milioni di persone in tutto il mondo, incrociandolo con i nomi delle aziende quotate in borsa nel dataset di Compustat, e su un dataset fornito da Burning Glass Technologies, che copre oltre 180 milioni di annunci di lavoro negli Stati Uniti nel 2007 e nel periodo 2010-2018.

Per completare il quadro, sono stati considerati anche i dati sui salari e sull’istruzione provenienti dalle indagini del Census American Community Surveys (ACS) e dai Quarterly Workforce Indicators (QWI) del Census. Li si trova analizzati nel documento “AI and Jobs: Evidence from Online Vacancies” in cui emerge l’assenza di relazioni evidenti tra l’esposizione all’AI e l’occupazione o la crescita dei salari a livello di occupazione o di settore. Per ora, fanno notare gli autori dello studio. Perché nei prossimi anni c’è da aspettarsi che l’assunzione di un maggior numero di lavoratori junior e la riduzione di quadri e dirigenti potrà incidere sugli obblighi salariali delle aziende.

Il tema è complesso e il cambiamento prospettato ancora in divenire. L’ondata di automation aveva eliminato le attività di routine, alleggerendo molti ruoli di task a basso valore aggiunto. L’attuale presenza di AI in azienda sta però avendo un effetto diverso: consente ai dipendenti di prendere decisioni migliori con una minore necessità di supervisione manageriale. Nei prossimi anni c’è quindi da comprendere come questo fenomeno impatterà su responsabilità e salari. Quello che è certo è che le aziende che stanno investendo in AI non ridurranno la domanda di lavoratori altamente qualificati che svolgono compiti di previsione. Questa quota di manodopera a livello aziendale continuerà ad aumentare. A preoccuparsi devono essere i lavoratori poco qualificati, per cui le opportunità sembrano essere sempre meno promettenti.

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