L’impatto che la mobility ha avuto sulle aziende, trasversalmente a tutte le divisioni, dal 2007 [anno di lancio del primo iPhone che ha ufficialmente introdotto sul mercato globale il concetto di smartphone – ndr] ad oggi è ‘devastante’. “In pochi anni è cambiato il modo in cui facciamo le cose – commenta Daryl Schoolar, Principal Analyst di Ovum Research – e la progressiva crescita e diffusione di nuovi dispositivi ‘smart’ ha determinato un vero e proprio cambiamento organizzativo in ambito business”.
Da un recente studio Idc emerge che sia negli Stati Uniti sia in Europa, già oggi il 77% delle aziende dota i propri dipendenti di smartphone, mentre il 49% fornisce loro un tablet. Secondo la società di analisi americana, più di 1,3 miliardi di lavoratori (vale a dire 37,2% della forza lavoro mondiale) utilizzeranno la tecnologia mobile entro il 2015 (già oggi abbiamo superato il 30%). Nel Nord America i livelli sono altissimi: il 75% della forza lavoro è già passata alla tecnologia mobile non solo per comunicare e connettersi ma per svolgere normalmente il proprio lavoro.
Ci chiediamo allora quali siano gli impatti di questo stravolgente fenomeno sul piano delle competenze di business: stiamo parlando di semplici strumenti nuovi a disposizione della forza lavoro o di qualcosa che ha delle conseguenze a cascata più consistenti?
“Bisogna distinguere tra l’uso che si fa dei device mobili per il proprio lavoro e l’impatto che la mobility ha invece sui clienti e sul mercato esterno all’azienda ma con la quale l’azienda stessa interagisce, e questo vale sia per le funzioni di business sia per quelle Ict”, commenta in prima analisi Annamaria Di Ruscio, Direttore Generale e Partner di NetConsulting. “Già parlando di mobile o mobility la distinzione cambia: nella prima accezione ci riferiamo ai device, nella seconda alle applicazioni, ai servizi, ai contenuti fruiti in mobilità”.
Figure Ict, le più coinvolte
È abbastanza evidente che, rimanendo sul piano dell’analisi delle competenze, quelle maggiormente impattate e sulle quali è necessaria una revisione e innovazione siano in ambito Ict. “Guardando al mobile, e quindi alla gestione dei dispositivi, le competenze necessarie vanno in due direzioni: una riguarda la conoscenza dei sistemi operativi (che hanno caratteristiche molto differenti tra loro) e di come questi si relazionano e interagiscono con i sistemi e gli apparati di rete e networking; l’altra riguarda la capacità di mobile device management che diventa molto complessa di fronte a grandi molteplicità di oggetti da gestire”, spiega Di Ruscio.
“Nell’accezione mobility, invece, le competenze coinvolte e che devono ‘fare un salto’ cambiando visione, approccio e anche capacità sono quelle interessate allo sviluppo, al testing, al controllo qualità delle applicazioni rilasciate, nonché al mobile application management, disciplina che consente di portare le applicazioni di business sui dispositivi, ma che richiede logiche di intervento completamente nuove”. Rispetto a quest’ultima considerazione, stanno emergendo all’interno dei team di sviluppo applicativo sempre più figure di ‘experience designer’ in grado di intervenire sull’esperienza utente garantita dalla soluzione, fattore estremamente discriminante sul successo (in caso di app consumer) e l’utilizzo (in caso di app business) di applicazioni via mobile.
“Non va dimenticato poi che, trasversalmente, subiscono un impatto non banale anche le figure preposte alla sicurezza che diventa ancor più critica laddove si innescano pratiche di Byod”, aggiunge Di Ruscio. “In questo caso, il tema della gestione degli accessi e la possibilità di controllare e diversificare l’utilizzo delle applicazioni, anche a seconda del luogo e del tipo di device utilizzato, è sul tavolo di moltissimi Cso che devono ripensare completamente i modelli tradizionali di accesso, analisi, governance e controllo”.
Interessante, a questo proposito, lo schema delle nuove competenze Ict sviluppato da Eucip (figura 1) dal quale si evince chiaramente come i nuovi fenomeni digital (social, mobile, cloud e big data) ‘costringano’ i dipartimenti Ict a riorganizzare le proprie figure sviluppando competenze in chiave ‘plan, build, operate’.
E nello specifico sul fronte mobility, i risultati di una recente indagine di Gartner (condotta su circa 150 professionisti It, digital e uomini di business) mostrano chiaramente come nei prossimi 5 anni le competenze ritenute più critiche e che avranno maggior impatto sulla propria organizzazione saranno il ‘mobile/tablet content design and delivery’ (al primo posto per importanza) e il ‘mobile app development’ (al terzo posto) (figura 2).
Mobility come strategia di go to market
L’altra faccia della medaglia riguarda la mobility come “fenomeno che scatena il mercato per il quale si apre un altro livello di conoscenza necessaria e va compreso quanto questo debba essere interno all’Ict e quanto invece di dominio delle line of business”, riflette Di Ruscio. “Nel momento in cui si identifica il cliente target come possessore di smartphone e fruitore di servizi in mobilità, significa che la strategia di go to market deve essere ripensata parlando una lingua nuova, per esempio di ‘location based services’, di ‘social marketing’, di ‘advergaming’ [servizi basati sulla geolocalizzazione, attività nei social networks o modalità di advertising basate sul gaming ndr], soprattutto in mercati di derivazione consumer”.
Non solo, guardando alla mobility quale strategia di ingaggio, entra in gioco anche la tematica del mobile payment all’interno della quale confluiscono tutte le competenze chiave citate di quella che possiamo definire “la filiera lunga della mobility”, conclude Di Ruscio: “Lo sviluppo di applicazioni e servizi, il monitoraggio delle transazioni e l’analisi dei dati, la sicurezza”.