Se c’è una cosa chiaramente emersa dalle analisi effettuate sulla recente recessione economica è l’assoluto parallelismo esistente negli andamenti delle principali economie mondiali. Tutti i paesi, Cina e India compresi, hanno infatti avuto, nel periodo 2008/metà 2010, una comune caduta, sia pur a livelli tra loro ben differenti, del proprio Pil. Ad esclusione dell’America Latina, i cui mercati hanno registrato una crisi economica con un ritardo di circa un anno (l’Annus horribilis è stato per questi paesi soprattutto il 2010), gran parte delle economie si sono spinte a riduzioni del Pil in media da -2% a -7-8%, con Cina e India che hanno registrato “flessioni” da +12% (pre-crisi) la prima e + 8% la seconda, rispettivamente a + 7% e +5% nel corso del 2009.
In sostanza l’elemento “forte” di questa situazione è stata l’evidente interconnessione, che significa forte dipendenza e “rimbalzo” tra le economie, uno stato di cose per il quale è necessario comprendere rapidamente andamenti, mutamenti ed elementi di variabilità sul piano finanziario, economico e competitivo.
Cosa senz’altro non facile per un’azienda, visto che proprio la crisi del 2009 è stata dettata dall’assoluta incapacità diffusa di prevedere come la bolla speculativa (con evidenti segnali) potesse estendersi in modo devastante a livello globale fino a minare l’economia reale, con pesanti ripercussioni su stati, imprese, individui. Adesso, a sentire le previsioni economiche, stiamo risalendo la china, ma non è più possibile non considerare, questa è la lezione, i contraccolpi che sempre derivano dall’interdipendenza e dall’integrazione esistente tra le economie mondiali in rapporto allo svolgersi di fatti economici, scelte politiche, fenomeni sociali ed eventi naturali che accadono nel mondo. Se la “dipendenza sensibile alle condizioni iniziali” è uno dei fondamenti della teoria del caos (che viene ben riassunta con la famosa frase che afferma come “il battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo”), figuratevi cosa ad esempio può voler dire rispetto alle economie, e quindi a cascata sulle aziende e sulla loro necessità di riarticolare di continuo le loro strategie competitive, ciò che sta accadendo nel bacino del mediterraneo, con i conseguenti spostamenti nei meccanismi politici che guidano le forniture di petrolio e di altre risorse da queste nazioni verso i paesi occidentali. E l’impatto dei nuovi flussi migratori che potrebbero attivarsi in modo massiccio? Quali gli elementi negativi e quali quelli positivi di questa nuova situazione? E il tremendo terremoto, tsunami e inquinamento nucleare che sta devastando una delle principali economie mondiali come il Giappone, volete che impatti, sul mercato della domanda e sullo sviluppo economico, come “il battito delle ali di una farfalla” o qualcosa di più?
Basterebbe questo per darvi un’idea di come la variabilità, e quindi la conseguente capacità dell’azienda di proporre di continuo nuovi prodotti e servizi al mutare delle condizioni competitive e di mercato, possa impattare le strutture e le infrastrutture (senz’altro quella Ict) di un’impresa. Ecco allora emergere la necessità di cambiare radicalmente il modo e la velocità di stare sul mercato, le competenze delle persone in azienda, i tempi decisionali e operativi.
Ci sono alcuni elementi cardine che possono definire l’evoluzione di questo rapporto tra modello di business dinamico e ruolo delle tecnologie rispetto alla variabilità economica e sociale:
– l’azienda è ormai sempre più obbligata a saper disegnare e gestire un “portfolio di strategie” e non più operare secondo una singola vision del proprio business, seguendo un tradizionale quanto pericoloso approccio molto rigido, strutturato e univoco.
– Da questo punto di vista entrano in gioco nuove capacità e modelli organizzativi legati a una nuova accettazione del concetto di rischio. Non a caso, proprio di recente, Vijay Govindarajan, uno dei professori “guru” nell’ambito delle analisi economiche internazionali (il cui pensiero riportiamo in questo numero in una seconda puntata dedicata al tema di “Come organizzare l’innovazione”), nel corso di un suo recente intervento orientato a definire modelli culturali e organizzativi aziendali finalizzati all’innovazione, tra i punti forti sostenga che le imprese che vorranno innovare nei prossimi anni dovranno “saper tenere il costo del fallimento basso, in modo da potere permettersi di fallire sovente, velocemente ed economicamente”. Come dire: in un mondo tanto complesso e dinamico come quello attuale, serve aver meno paura di sbagliare, ma soprattutto serve mettere in atto quei meccanismi organizzativi e tecnologici in grado di supportare la crescita di una cultura di monitoring delle performance globali dell’impresa, attivando adeguati strumenti di mitigazione del rischio.
– Sul piano delle tecnologie questo scenario scatena una serie di scelte architetturali e applicative di fondo. Servirà molto rigore, capacità e coraggio nell’individuare cosa è standard e cosa invece rappresenta un vero valore differenziale per i sistemi informativi e, di riflesso, per il business aziendale. La scelta di introdurre tecnologie standard, scegliere elementi di automazione e governance sia (sempre restando in ambito It) ragionando su un piano organizzativo e di processo dei sistemi informativi nel loro rapporto con il business sia per quanto riguarda le tecnologie adottate, punta a innalzare la capacità di risposta dell’It verso quella domanda di innovazione, velocità, gestione della complessità che proviene dal business aziendale e dallo scenario dinamico e variabile prima descritto.
– Due, tra gli altri, sono gli ambiti che da questo quadro emergono, sotto il profilo tecnologico con forza: il primo è legato alla centralità che andrà sempre più assumendo una capacità aziendale di portare al centro dei propri processi vitali funzionalità di analisi e di intelligence diffusa ad ogni livello, con la possibilità di reingegnerizzare di continuo i processi “intelligence oriented” proprio per simulare il futuro (analytics), governare di continuo le performance, identificare aree di inefficienza e di criticità, gestire la complessità e la variabilità attraverso un efficace supporto decisionale.
Il secondo ambito riguarda invece la consapevolezza della totale immersione dell’azienda nel mondo esterno, della presa di coscienza della scomparsa dei tradizionali confini aziendali, dell’utilizzo di ogni tipo di device per accedere a quelle funzioni che servono per competere ed essere operativi. Aumentare la capacità di networking relazionale dell’impresa vuol dire accettare la consapevolezza (e di conseguenza strutturare organizzazione, processi e fare scelte tecnologiche coerenti) che le reti di partnership e di clienti cambiano velocemente e di continuo; che la condivisione di informazioni e il coinvolgimento di partner e clienti nel processo di co-creazione di idee, prodotti e servizi (da attivare attraverso ogni tipo di device possibile e tramite un uso idoneo dei social networks) rappresenta un elemento di reale differenziale competitivo, forse la risposta più adatta per consentire un allineamento continuo (e relativamente poco costoso) dell’azienda alla rapida variabilità della domanda.
In conclusione, il contesto di cui stiamo parlando non può consentire più a nessuno di perdurare nello status quo. Siamo infatti a un punto di svolta sia sul versante dell’interpretazione di nuovi modelli di consumo sia nella capacità delle imprese di dare risposte coerenti e su scala globale, articolandole tuttavia attraverso peculiarità tipiche dei differenti mercati locali. In questo ripensamento dell’impresa tradizionale, anche i sistemi informativi devono naturalmente seguire questo processo. Diventando, nell’organizzazione e nelle sue persone, un soggetto che pur mantenendo viva una competenza tecnica finalizzata alla gestione delle infrastrutture e alla riduzione dei loro costi (attivando strategie di sourcing che coinvolgano pesantemente i vendor esterni) attivi un percorso di trasformazione delle architetture finalizzato alla creazione di valore, agendo su ottimizzazione dei processi di business e supporto/spinta al miglioramento delle performance aziendali. Con i vendor che, se vorranno essere seriamente parte attiva di questo cambiamento, dovranno anch’essi cambiare. Il cloud computing, ad esempio, è un’ottima occasione per dimostrare fino a che punto, sul versante del vendor, è possibile un reale ripensamento del proprio modello di business e di go-to-market, davvero finalizzato alla flessibilità competitiva (e architetturale) dei propri clienti. Chi si limiterà a un cambiamento di facciata, probabilmente non ce la farà a superare la sfida che abbiamo di fronte e che ci coinvolge tutti.
Mutazioni Genetiche
Pubblicato il 20 Apr 2011
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