A che punto è la domanda di professioni ICT in Italia? Hanno provato a rispondere a questa domanda le rilevazioni condotte sul primo semestre 2021 dall’Osservatorio Competenze Digitali, progetto che vede tra i suoi promotori le principali associazioni di categoria, quali AICA, Anitec-Assinform, Assintel e Assinter Italia, nonché l’Università Bicocca come partner scientifico. Ed è stato infatti Mario Mezzanzanica, pro-rettore per l’alta formazione e per le attività del job placement dell’ateneo milanese e direttore del CRISP (Centro di Ricerca Interuniversitario per i servizi di pubblica utilità) ad illustrare i risultati dell’Osservatorio nel corso dell’evento virtuale Analisi, trend e impatti della pandemia sulle professioni ICT tenutosi a fine gennaio.
Il ritorno della domanda di professioni ICT
L’analisi si è focalizzata su 3 Regioni (Lombardia, Lazio e Campania), in rappresentanza delle macro aree geografiche del nostro Paese. “Il primo semestre 2020 – ha evidenziato il professor Mezzanzanica – mostra nel nostro Paese una riduzione degli annunci pubblicati sul web di circa il 21%, mentre il primo semestre 2021 recupera 14 punti percentuali avvicinandosi ai valori del 2019”.
In termini assoluti, questo si traduce nella pubblicazione nel primo semestre 2021 di circa 51.700 annunci relativi alle professioni ICT, suddivisi in 8 famiglie professionali: Business, Design, Development, Emerging, Process Improvement, Service & Operation, Support, Technical. Nello stesso periodo del 2019, gli annunci erano stati all’incirca 57 mila. Tale recupero, tuttavia, non coincide con una uniformità della domanda presente nelle 3 Regioni considerate, visto che la Lombardia ha registrato nel 2021 un 67% di tale domanda, seguita dal Lazio (26%) e dalla Campania (7%). Il che significa che la caduta del 2020 è stata più accentuata in quelle Regioni, come la Lombardia e il Lazio, con una domanda più alta di profili ICT (figura 1).
Va anche fatta un’ulteriore distinzione. “Professioni – ha proseguito Mezzanzanica – come data specialist, data scientist, cloud computing specialist, cioè quelle che fanno capo a un’area di governance e processamento dei dati, o che si occupano di gestione e sviluppo di contenuti digitali, come il digital media specialist, o del tema della sicurezza e delle reti, come l’information security manager e il network specialist, anche durante il lockdown non hanno avuto una flessione e sono quelle che hanno garantito una sostanziale tenuta e un minor crollo della domanda”. (figura 2)
L’Indice di novità delle professioni ICT
Sull’evoluzione delle competenze all’interno di alcuni profili in ambito ICT si è concentrata una parte dell’indagine dell’Osservatorio che, per la prima volta, ha introdotto l’Indice di novità delle professioni CEN (Comitato europeo di normazione). Rappresenta una mappa dei cambiamenti (figure 3 e 4) in atto nella domanda di professionalità e di skill, così come sono espresse dalle aziende nel tempo, e si ottiene considerando 3 parametri:
- vacancy trend, che corrisponde all’andamento tendenziale dal 2015 e il 2021;
- novità nello skill-set, vale a dire la percentuale di skill aggiunte nel 2021 che erano assenti nel 2015;
- variazione della rilevanza nel core-set, cioè la stima della variazione dell’importanza (aumento o diminuzione) delle competenze presenti nel 2015 e confermate nel 2021.
“L’insieme di queste 3 variabili – ha spiegato il docente della Bicocca – ci ha consentito di costruire un indice sintetico di novità che ha un valore per ogni professione da zero a 100 e ci fa vedere un ranking delle professioni ICT e il loro grado di variabilità. In questo modo abbiamo ottenuto una mappa della rappresentazione delle 37 professioni ICT osservate ripartita in 4 principali quadranti che identificano l’alta, media e bassa variabilità delle competenze richieste”.
Il ranking mette in rilievo le professioni con il maggior indice di novità. Al primo posto si collocano perciò le professioni connesse all’area del cloud computing, al secondo quelle del data specialist, al terzo i solution designer, al quarto i data scientist e così via.
L’Indice di novità non si limita a valutare come sono cambiate e stanno cambiando le professioni ICT, ma anche le trasformazioni di tutte le altre professioni che, a vari livelli, stanno subendo un’evoluzione nelle competenze che le caratterizzano. Basti pensare a una figura tradizionale come quella dell’assistente sociale, per fare un esempio, che oggi necessita di skill digitali e trasversali diverse rispetto a quelle di qualche anno fa (figura 5).
Le 3 aree (+1) di competenze emergenti in campo ICT
Dall’Indice di novità emergono specialmente 3 aree di competenze delle professioni ICT. Anzitutto la capacità di analizzare i dati e di processarli per estrarre conoscenza a supporto dei processi decisionali. “Le esigenze delle aziende – ha sottolineato Mezzanzanica – sono sempre di più quelle di capire e conoscere ciò che sta accadendo per poter creare da una parte nuove soluzioni, dall’altra per rispondere al meglio ai bisogni dei propri clienti”. La seconda area di competenze si riferisce all’utilizzo di metodologie e tecniche innovative per il governo dell’innovazione dei processi produttivi e dei servizi. La terza riguarda lo sviluppo di competenze legate alla valorizzazione e alla gestione delle relazioni con i propri clienti, anche tramite piattaforme digitali e social. A queste 3 vanno aggiunte le competenze trasversali, che rappresentano l’altro grande driver del cambiamento e sono sempre di più un requisito preferenziale nella selezione delle persone da parte delle organizzazioni. L’importanza di quest’ultima tipologia di competenze deriva dal fatto che “oggi bisogna affrontare una complessità del mercato che va oltre l’aspetto puramente tecnico. Una complessità che chiede una professionalità più matura, e in questo senso il tema delle competenze trasversali sta diventando sempre più significativo”.
Un insieme di competenze nell’esempio di 2 professioni tipiche
Gli esempi di professioni tipiche sulle quali l’Osservatorio ha riportato quanto emerso dall’indagine possono essere quelle del cloud computing specialist (figura 6) e del big data specialist. Nel primo caso, insieme alle skill digitali consuete richieste, tra cui la conoscenza di diverse cloud platform o i relational database, la domanda del mercato è orientata al rinvenimento di competenze professionali che comprendono non solo la capacità di modellazione delle attività orientate ai servizi, ma anche quella di scrivere relazioni con carattere divulgativo e di indirizzare i clienti nella scelta delle migliori soluzioni.
A queste, si affiancano le skill di natura trasversale che vanno dalla leadership all’applicazione del pensiero concettuale, dallo stabilire buone relazioni di cooperazione all’autopromozione. Esaminando, analogamente, le top skill elementari del big data specialist, tra le competenze professionali si fa strada la statistica e l’attitudine alla gestione di progetti lean, mentre sul fronte di quelle trasversali comunicare con terminologia adeguata è un requisito oggi ricercato anche in chi ricopre ruoli con una forte connotazione tecnico-scientifica.
Formazione formale e continua, l’unica strada per il lavoro
Alla luce delle rilevazioni dell’Osservatorio, se ne deduce che “crescono le professioni ICT nel 2021 – ha detto in chiusura Mario Mezzanzanica – e il traino dipende da quelle professioni che hanno maggior carattere innovativo da diversi punti di vista: nella gestione dei dati, dei processi e della relazione con la clientela. L’indice di novità che abbiamo creato, osservando l’evoluzione delle competenze nei 6 anni, evidenzia non solo che stiamo assistendo a un importante cambiamento, ma che il cambiamento è molto veloce. Questa velocità chiede da una parte di monitorare continuamente l’andamento del mercato e le sue evoluzioni, dall’altra l‘esigenza di attuare piani di upskilling e di reskilling delle professioni ICT e non ICT. La pandemia, così come le crisi che ci sono state in precedenza, lasciano dei segni strutturali di cambiamento ed è una sfida che bisogna cogliere. Oggi una delle principali criticità è quella di fare evolvere le competenze dei lavoratori”.
Per questo occorre una visione di lungo periodo che intervenga innovando nei programmi di istruzione formale delle scuole e delle università e, contemporaneamente, sul versante della formazione continua. “Per chi si occupa di analisi dell’andamento del mercato del lavoro, è sempre più evidente che il tema dello sviluppo delle competenze nel tempo è quello che garantisce la continuità lavorativa per le persone”.