Il processo di digitalizzazione, se pure in ritardo rispetto agli altri maggiori Paesi, sta avvenendo in forma più accelerata, rispetto al previsto, anche in Italia, ma per tenere il passo servono nuove competenze digitali. Da questa consapevolezza è nata l’idea di un Osservatorio che focalizzasse l’impatto della trasformazione digitale sulle competenze, del sistema offerta Ict e della domanda. L’Osservatorio sulle competenze digitali, quest’anno alla sua 2° edizione, promosso da Agid e dalle associazioni Aica, Assinform, Assintel e Assinter, e realizzato da NetConsulting cube vuole, infatti, fornire una fotografia dello stato attuale delle competenze digitali in Italia, per comprendere quali siano i gap da colmare e definire le azioni per promuovere la creazione e la diffusione di competenze digitali a tutti i livelli.
Nelle realtà utenti si parla sempre più di frequente di nuovi modelli organizzativi, nuovi modelli di business, di team cross-funzionali dedicati all’innovazione, volti ad integrare le competenze di diverse funzioni aziendali, tecnologiche e di business. Ma ci sono le competenze per indirizzare tutto questo? I risultati dell’Osservatorio confermano come vi sia consapevolezza sul fatto che la trasformazione digitale richieda un’evoluzione strutturale delle competenze correlate ma ci sono ancora diversi gap da colmare.
Le competenze che, in questa fase si rendono necessarie, sono diverse: competenze su nuove tecnologie; competenze e abilità nella gestione di un nuovo modo di interagire all’interno delle organizzazioni (tra It e Business) e con interlocutori esterni, clienti, fornitori Ict, partner; capacità di gestione del cambiamento e che abilitino l’innovazione a 360 gradi.
Una mappa delle maggiori criticità
A partire dal framework europeo e-CF 3.0, prima risposta alle esigenze di standardizzazione di competenze Ict in Europa nell’ottica di favorirne la formazione e lo sviluppo, abbiamo chiesto alle aziende di fare un check sulle competenze a disposizione e di mapparle sulle 5 aree individuate dal framework europeo: Plan, Build, Run, Manage, Enable. Questo esercizio ha evidenziato una serie di criticità. Come si vede dall’elenco che segue, mancano soprattutto le competenze che definiscono, implementano e gestiscono il cambiamento:
- PLAN: innovazione, ideazione di piani di prodotto/servizio/business, monitoraggio delle tendenze tecnologiche;
- BUILD: competenze legate a sviluppo, test di applicazioni;
- RUN: soprattutto di supporto al cambiamento;
- ENABLE: funzionali allo sviluppo di strategie;
- MANAGE: per il miglioramento dell’efficacia dei processi Ict verso il business, la gestione del rischio e della qualità.
Queste criticità sono presenti in alcuni profili Ict più che in altri, i cosiddetti “profili critici” (vedi figura):
- in primis il Cio che deve possedere competenze che lo portino a gestire in modo agile ed efficace la macchina It, ma anche abilitare un percorso di cambiamento in chiave digitale;
- esperti di Security, in particolare Manager che possano definire una strategia di sicurezza in linea con le evoluzioni del business;
- Business Information Manager e Business Analyst, in grado di gestire e valorizzare il patrimonio informativo aziendale e che sappiano analizzare i processi di business anticipandone le esigenze;
- Enterprise Architect che ridisegnino l’architettura dei sistemi informativi secondo nuove logiche e la mantengano nel tempo facendola evolvere;
- Digital Media Specialist in grado di sfruttare al meglio le potenzialità dei Social.
Formazione inadeguata
Le ragioni che determinano difficoltà di introduzione di nuovi profili sono diverse. Innanzitutto, budget limitati e il mismatch tra la domanda di skill Ict e disponibilità di questi skill tra i candidati, gap alimentato anche dal mondo della formazione che non riuscirebbe a soddisfare appieno le esigenze delle aziende attraverso gli attuali percorsi formativi. Fattori strettamente correlati che creano, a loro volta, un circolo vizioso: skill difficili da reperire, perché scarsi, diventano più costosi e mettono a dura prova budget di per sé limitati.
Spesso c’è il problema di individuare il canale di ricerca più idoneo, che più garantisca che gli skill introdotti siano quelli necessari. Nel dubbio, il network di conoscenze personale/professionale continua a rivestire un ruolo significativo.
Si fa poca formazione: sono solo tre le giornate di formazione per dipendente che in media in un anno vengono effettuate nelle aziende della domanda. Ma il problema non è solo di entità di formazione erogata, quello che bisogna chiedersi è se gli strumenti di formazione utilizzati finora siano ancora efficaci. Una pianificazione congiunta e strutturata dei percorsi formativi, scolastici e universitari, certo favorirebbe l’incontro tra competenze necessarie e competenze disponibili. Ma anche da questo punto di vista c’è ancora da fare:
- il 62% delle aziende dichiara di avere rapporti continuativi con il mondo accademico; si tratta tuttavia di rapporti finalizzati ad assorbire risorse già formate (stage per neolaureati, supporto a studenti su tesi di laurea sperimentali, partecipazione ad incontri di orientamento e tematici); non c’è un confronto finalizzato a definire corsi che generino laureati con le competenze che realmente servono;
- poco più del 20% delle aziende ha relazioni con il mondo della Scuola, finalizzati all’alternanza scuola-lavoro;
- poche le aziende (14%) che conoscono l’Istruzione Tecnica Superiore (Its) e l’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (Ifts), percorsi formativi post-secondari paralleli ai percorsi universitari, costruiti sulle esigenze emergenti del sistema produttivo. E questo è un peccato perché si tratta di risorse più accessibili di altre, alla portata anche delle imprese di minori dimensioni.
Situazione non diversa quella della Pubblica Amministrazione: stesse criticità, tendenzialmente più diffuse, stesse carenze di profili professionali, consapevolezza sul dover superare alcuni gap, accentuati da alcune rigidità tipiche del mondo pubblico come il contesto regolatorio in tema di assunzioni. Ma l’Osservatorio evidenzia anche degli aspetti positivi, ed è su questi che bisogna far leva per cambiare e creare una cultura digitale diffusa: consapevolezza sulla necessità di investire sulle competenze digitali, sfruttando alcuni strumenti che, secondo le stesse aziende, aiutano anche in questa direzione (Riforma della Buona Scuola e Jobs Act); consapevolezza sulla necessità di una visione unica a livello Paese e di azioni coordinate tra i vari attori, pubblici e privati, coinvolti sul tema.
* Giancarlo Capitani è Presidente di NetConsulting3
Mariafilomena Genovese è Project Manager di NetConsulting3