Prospettive

Persone e competenze: strategiche per la trasformazione digitale

Il tema delle competenze e della formazione ha percorso diversi incontri e tavole rotonde dell’EY Capri Digital Summit “A New Brave World”. Si è affrontato il tema della didattica a distanza, delle nuove competenze necessarie per aumentare la competitività delle imprese, dell’impulso che può venire dalla ricerca

Pubblicato il 16 Dic 2020

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La centralità delle persone e delle competenze viene da più parti considerato centrale, in modo particolare dal mondo imprenditoriale, non solo per superare l’emergenza ma anche per preparare la ripresa e il new normal.

E di competenze e formazione si è parlato in diversi incontri e tavole rotonde durante l’EY Capri Digital Summit A New Brave World. Un esempio per tutti è quello di Sonia Bonfiglioli, Presidente del Gruppo Bonfiglioli che, in una delle tavole rotonde della kermesse EY, sottolinea la necessità di consapevolezza diffusa di quanto sta accadendo: “Nel pre-Covid, la digitalizzazione era temuta con l’idea che rubasse posti di lavoro. In realtà ne elimina alcuni ma ne inserisce di nuovi. Poiché il treno va alla velocità della carrozza più lenta, è importante aumentare la consapevolezza della maggioranza delle persone che la digitalizzazione in epoca Covid è sia un’opportunità sia una necessità”. Indispensabile, inoltre, il long life learning, basato anche su modalità digitali, che può convincere gli imprenditori della centralità la formazione spesso considerata come perdita di tempo.

Sul tema del long life learning torna anche Gianmario Verona, Rettore dell’Università Bocconi, indicandolo indispensabile per la trasformazione digitale che comporta un profondo cambiamento di mentalità, innanzitutto per la leadership del futuro. È indispensabile l’evoluzione del linguaggio da analogico a digitale, per acquisire competenze interpretative di grandi quantità di dati, non limitate a conoscenze matematiche e statistiche: “Il digitale implica connessione e dunque apertura, logica inclusiva, collaborazione”. Un esempio lampante è l’accelerazione sui vaccini resa possibile dalla condivisione dei dati, dalla collaborazione fra pubblico e privato, fra università e aziende farmaceutiche.

L’auspicio è dunque investire in un’università flessibile, interdisciplinare, capace di uscire dalle gabbie che costringono gli studenti a studiare per cinque anni la stessa materia, orientata a quell’apertura che il digitale e l’innovazione richiedono. Il presupposto, a suo parere, è una scuola che riesca a realizzare una formazione legata alla matematica e alla cultura quantitativa, più di quanto oggi non accada.

I limiti della didattica a distanza: più attenzione ai processi

Inevitabile la valutazione del ruolo della didattica a distanza nella fase dell’emergenza e oltre.

È negativo il giudizio di Giuseppe De Rita, Presidente del Censis : “La scuola, colta impreparata come tutti dal Covid, ha scelto l’insegnamento a distanza che però non funziona per mancanza di cultura digitale”. Il limite principale, a suo parere, è la scarsa attenzione ai processi: “I processi sociali – sottolinea- sono più lenti dell’innovazione tecnologica”.

Anche secondo Sabina Nuti, Rettrice della Scuola Superiore Sant’Anna, la didattica a distanza ha molti limiti. “In alcuni contesti permette di includere, purché combinata ad altri meccanismi, in molti altri rischia di incrementare la disuguaglianza, accentuando il ruolo della famiglia”. Va considerata, a suo parere, una risposta di emergenza e, nel lungo periodo, uno strumento integrativo.

Insiste però sulla capacità di mettere al centro il merito per aumentare la mobilità sociale a partire dalla capacità della scuola di fornire competenze. “Due sono i punti di attacco: agire sulla bassa scolarizzazione e sull’accesso all’università; attivare un’azione precisa sulla punta alta delle grandi competenze. Mentre sul versante del diritto allo studio si è fatto qualche passo in avanti non ci sono politiche specifiche da non perdere sull’alto merito, indispensabili per garantire l’innovazione e non perdere talenti”.

Ricerca pubblica e privata

Se l’obiettivo è premiare il merito per non perdere i talenti, un ruolo centrale può essere svolto dalla Ricerca, pubblica e privata. “I talenti vanno all’estero perché non offriamo lavoro in Italia”, è la diagnosi del CEO di Leonardo, Alessandro Profumo, che indica fra le cause la dimensione delle imprese italiane, che andrebbero accompagnate alla crescita. Leonardo, con 10mila ingegneri e investimenti in ricerca, per sviluppo prodotto e tecnologia da 1,5 miliardi (su 14 di fatturato), risulta una felice eccezione.

Come ricorda il Ministro dell’Università e della Ricerca, Gaetano Manfredi, l’Italia ha una storia antica di scarso investimento in ricerca pubblica e privata, con un rapporto dell’1% del Pil, a fronte di una media europea del 3%. “È questa una delle cause della scarsa crescita e della perdita di produttività e competitività del Paese – sottolinea – Oggi dobbiamo cogliere l’occasione unica del Recovery Fund, mentre abbiamo già dato un segnale assegnando 1,4 mld su università e ricerca nel Decreto Rilancio”. Per essere un paese competitivo in un’economia basata sulla conoscenza, servono investimenti in ricerca pubblica e un sistema industriale che metta università e ricerca al centro. “Se la ricerca italiana riesce a essere competitiva con risorse così basse, significa che c’è talento, ma serve un piano organico”, è la considerazione.

Un ruolo fondamentale per Leonardo è svolto dalla ricerca in tecnologie digitali, come dimostra il recente lancio del super computer nei laboratori di Genova, dove saranno sviluppate ricerche su Big Data, eAI, simulazione, realtà aumentata. “Non sono voci generiche ma hanno operatività immediata. A esempio le tecnologie big data consentono di trasformare in informazione le grandi quantità di dati dai satelliti e la realtà aumentata consente di fare manutenzione a distanza, con grandi benefici per le filiere produttive italiane, ad esempio nel settore della meccatronica.

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