Come ha scritto George Siemens (uno dei principali teorici del connettismo, ndr), “Sapere oggi significa essere connessi”. La conoscenza però si muove troppo in fretta: “Oggi non possiamo possederla tutta”. Come dimostra il caso Wikipedia, la conoscenza sviluppata all’interno dell’ambiente non è strutturata a priori. I partecipanti al progetto considerano i loro contributi come una parte di un sapere enciclopedico pur non essendo esperti di tutto. Infatti, la partecipazione è considerata di per sé un valore, senza considerare i contributi specifici nella creazione di conoscenza; come spesso accade nelle community, il contributo di esperti esprime il suo valore nella precisione e puntualità del contenuto prodotto. Una risposta a questo paradosso, a volte indicato come “il problema dell’esperto” la possiamo trovare nei contributi della social network analisys. Recentemente con il successo di siti come Facebook, Linkedin, Ecademy, o Xing, il termine social network ha assunto un significato specifico: essere in contatto con i miei amici in una forma più o meno strutturata. Proviamo a definire un modello sia sociale che etico del fenomeno. Partiamo dal modello di “authentic trust” (Solomon and Flores, 2001) individuando nel social network la fiducia e l’endorsment tra le persone come vero motore di sviluppo del social network. Le ricerche socio-cognitive si basano sul fatto che le persone effettuano delle assunzioni implicite nella loro lettura dei fenomeni. Questa interpretazione può essere condivisa tra le persone come “comuni credenze” e viene utilizzata come guida per condividere schemi cognitivi con gli altri. È una strategia che funziona molto bene specialmente verso coloro che si presentano per la prima volta davanti all’esperienza o hanno bisogno di acquisire velocemente le informazioni per entrare a far parte di una community esistente. C’è una vasta letteratura sulla definizione di knowledge sharing, fra tutte quella del filosofo Wittengstein (1953) che la definisce “family resemblances”: individui condividono lo schema della conoscenza all’interno del quale le assunzioni e le aspettative sono le stesse (in seguito useremo il termine “schema” nell’accezione di Wittgenstein, non nell’accezione della letteratura dell’intelligenza artificiale). Questa definizione rappresenta il punto di partenza e proviamo a svilupparla nel contesto del social network. Un passo in avanti è stato fatto da Bijker (1995), che ha utilizzato lo schema di Wittgenstein per comprendere il processo socioculturale che guida specialisti e tecnologi nell’acquisizione di artefatti tecnologici, come ad esempio la bakelite per illuminare le luci delle biciclette. Bijker introduce la definizione di “technological frames” (TF). “Un technological frame comprende tutti gli elementi che influenzano le interazioni all’interno dei gruppi sociali che definiscono il significato degli artefatti tecnologici e quindi la costruzione di tecnologie”.
Collaborazione, web 2.0 e social network
La social network analysis è lontana dal potersi definire come una nuova disciplina (Levi Moreno, 1977). Il suo inizio è nei lavori pionieristici di Levi Moreno, Cross e Parker (2004) che hanno esplorato come applicare il social network analisys nelle organizzazioni per esplicitare le reali ed effettive connessioni tra le persone che collaborano per la soluzione di problemi, condividono informazioni facendo riferimento alle loro posizioni gerarchiche. Apprendiamo che insieme agli altri, ci sono dei processi di meta-apprendimento. Nella risoluzione di problemi spesso il singolo non riesce a vedere l’insieme, non riesce a porsi nella giusta prospettiva non avendo abbastanza elementi, dove la visione di insieme appartiene al network. Questi elementi di interpretazione vengono confermati dai tools che chiariscono questo tipo di analisi (elementi di pratica). In particolare i tools di network analisys sono stati introdotti con le Network Roundtable all’University of Virginia, in cui sono descritte le metodologie e i tools per individuare le connessioni tra i nodi, il modo in cui i nodi sono distribuiti a secondo del peso e dell’importanza delle relazioni. In questi network analisys vengono resi visibili i collegamenti rilevanti all’interno del social network definito “hubs”. Siamo abituati a rappresentare le nostre organizzazioni con una tipica struttura ad albero top down. Modelli superati che guardano l’organizzazione definendo logiche di potere attraverso ruoli di persone o business unit. Questa rappresentazione perde completamente l’occasione di leggere le connessioni informali che sono stabilite spontaneamente tra le persone quando lavorano sui problemi reali. Ed è su questi legami, su queste relazioni che può essere condotta un social network analysis. Allo stesso modo, secondo Bijker non bisogna concentrarsi soltanto sugli elementi di interpretazione e tener conto del ruolo fondamentale della pratica d’uso delle tecnologie sociali definite nel “technological frames.” Bisogna dire che recentemente c’è un gran discutere sulle tecnologie Web 2.0 come nuovo paradigma degli ambienti di collaborazione così come ci sono molti tentativi per cercare di definire algoritmi per misurare il livello di vicinanza e densità nel social network, finalizzato a facilitare nuove opportunità di lavoro o semplicemente di amicizia o qualsiasi altro grado di relazione. La nostra tesi è quella di promuovere nell’Enterprise tecnologie Web 2.0 per far emergere il valore nascosto attraverso il social network promuovendo un percorso di coltivazione. Infatti, c’è una crescente consapevolezza nelle aziende in merito alle opportunità offerte dall’utilizzo dei social media per facilitare l’emergere del social network basato su relazioni informali. Le relazioni informali agiscono indipendentemente dall’organizzazione formale e per questo spesso sono viste come distruttive se non intercettate in tempo. È evidente che è sia una questione di potere tra organizzazione formale e organizzazione informale che di etica: quali sono i reali benefici per l’organizzazione e il rischio di perdere il controllo dei processi chiave? Proponiamo come risposta la nozione di “authentic trust” (Solomon-Flores, 2001) che trasferisce nella fiducia delle relazioni il motore per lo sviluppo organizzativo.
Web 2.0 social network come veicolo della certificazione informale.
Il concetto di “authentic trust” nei social network è definito come fiducia e atto basato su un “agente” performante in accordo con le sue strategie e i suoi interessi. L’authentic trust è focalizzato sui limiti del contesto di riferimento. Questo significa che “l’agente” che delega la fiducia all’interno del social network è sempre consapevole del rischio di essere tradito. In questo modo l’“authentic trust” neutralizza la sua antitesi, come per esempio “la cordiale ipocrisia”. Nei social netowrk quando viene effettuata una scelta basata su una relazione di fiducia questa può essere rilasciata o da una singola persona o da gruppi di persone, altrimenti non c’è fiducia ma solo autorità. Di conseguenza, possiamo definire l’authentic trust come un processo che coinvolge e stabilisce una relazione. L’authentic trust è negoziabile e contiene il rischio della competenza disattesa. Al contrario, sempre secondo Solomon-Flores, il “simple trust” è una relazione senza condizioni; mentre il “blind trust” denuncia il rischio della “fiducia disattesa” e può essere senza valore. Come possiamo applicare l’authentic trust al web 2.0 o al social network? Prendiamo come esempio Naymz (www.naymz.com) un social network focalizzato sullo sviluppo della carriera professionale basato sulla reputazione del network, o anche Ecademy o Xing che vengono definiti dei business network. Sono siti web che hanno riscosso un discreto successo in termini di partecipazione di persone. Perché vi partecipiamo? Sono social network che sono basati sull’endorsement, “la fiducia” degli altri nei nostri confronti, la certificazione delle nostre competenze fatte dal “crowd”. Le competenze sono basate sul riconoscimento da parte degli altri, che certifica le competenze professionali. E questa certificazione informale è basata su “authentic trust”. Per esempio, la certificazione data da un’organizzazione come un’ Università, può assicurare che una persona è un Dottore, ma sarà il social network di appartenenza che dice chi è, se è sincero, onesto e non una persona alcolizzata. Quello che oggi è cambiato è l’esternalizzazione della certificazione informale attraverso il Web 2.0. Quando entriamo in un social network solitamente partiamo dalla lista di contatti del nostro indirizzario di Outlook per definire i nodi con attributi e tag che definiscono poi il profilo dei nostri contatti. Si attiva un processo virtuoso dove i partecipanti al network entrano in contatto con colleghi della propria azienda sollecitati da attributi inseriti da persone esterne all’azienda. L’aspetto critico è nella definizione del processo di “certificazione informale”. Possiamo avere fiducia di una persona che ha ricevuto fiducia da altri? Anche se non lo conosciamo direttamente? Authentic trust deve contenere la possibilità di essere disatteso, in social network come Linkedin le raccomandazioni sono esplicite, sono degli enunciati di fiducia verso le persone con le quali siamo connessi. Mentre il modello proposto da Naymz è più sofisticato nello stabilire un legame tra le persone del network. Occorre rispondere ad un survey sulla relazione di fiducia del contatto. Come risultato abbiamo una sommatoria dei punteggi che viene pubblicata. Il limite principale di un sito come Naymz è che la relazione di trust è limitata al contatto diretto: non c’è modo se ho una relazione di fiducia con Carlo, Lisa e Paolo e Paolo a sua volta è collegato con Andrea, che Carlo possa stabilire una relazione di fiducia con Andrea. L’estensione all’interno dell’Enterprise di questi modelli apre questioni ampie, mettendo in discussione il modo in cui da sempre nell’organizzazione le persone sono viste attraverso la chart dell’organigramma e dei sistemi di gestione delle competenze. Per trarre delle conclusioni proviamo a guardare due casi contrastanti (vedi riquadro).
Social network e fiducia: due casi su cui riflettere
Il primo caso si riferisce alla creazione della comunità di pratica della rete vendita della BTicino. Analizziamo una delle fasi evolutive del progetto. L’ambiente di community diventa il luogo di condivisione di valore durante il “merge” con altre due reti di vendita. Questo esempio dimostra come la social network analisys diventi uno strumento utile per introdurre un nuovo technological frames (TF) in riferimento al nuovo contesto organizzativo (“Social Network Optimization: il caso BTicino” – Sica-Gobbo, 2008). Il secondo caso si riferisce alle GAS community (Gruppo di Acquisto Solidale). Le GAS community sono gruppi informali che si aggregano con il fine di acquistare merci in gruppo, negoziando il costo che quindi risulta inferiore in confronto ad un acquisto individuale. Le GAS sono community non professionali, dove gruppi di persone si incontrano per ridurre il costo di acquisto di un prodotto. Dall’altro lato, nelle corporate le persone iniziano processi di trust che poi continuano negli ambienti web. Entrambi i casi dimostrano che mentre le organizzazioni investono nella certificazione delle competenze delle proprie risorse non si rendono conto che la fonte più preziosa di certificazione è la fiducia che le persone si scambiano all’interno del social network. La vera sfida è che il valore delle organizzazioni possa liberarsi dal social network alimentantando lo sviluppo organizzativo attraverso modelli flessibili che sono sicuramente più adeguati al tempo di turbolenza economica che stiamo vivendo. La questione che rimane aperta è quella del potere. Bisogna riuscire a rinunciare a poteri accentrati per delegare responsabilità a tutti i nodi della rete mettendo in discussione i vecchi modelli di leadership.(R.S. e F.G.)