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Tagli al personale IT? Secondo Gartner costano troppo e a lungo

Le aziende tecnologiche stanno riducendo la propria forza lavoro per assicurarsi una crescita, anche se minacciate dalla recessione. Secondo Gartner si fanno lo sgambetto da sole, con anche il rischio di scontentare gli azionisti più strategici

Pubblicato il 26 Giu 2023

Immagine di sova73 su Shutterstock

Non sempre la soluzione più ovvia è una soluzione. Nella fretta di intervenire, si può rischiare di scegliere una strada che porta benefici a breve termine ma danni sul lungo termine. È ciò che sta accadendo nel mondo delle big tech e, in generale, nel mondo IT. Molti hanno scelto di effettuare profonde riduzioni di posti di lavoro, sottovalutando gli impatti negativi sia dal punto di vista finanziario che culturale. E ci si chiede anche se questa mossa possa davvero realmente portare vantaggi agli azionisti di riferimento.

Aria di crisi? Fulmini sul personale

C’è da riconoscere che non è un periodo semplice dal punto di vista economico, anche nel mondo della tecnologia, nonostante il fervore innovativo che vi si respira. È sempre più elevato il costo del capitale e gli occhi degli investitori sono puntati su obiettivi di crescita redditizia. Nel frattempo, si deve convivere con l’ombra di una recessione globale che quasi tutti gli analisti prevedono, chi più e chi meno, ma nessuno nega.

È quindi piuttosto comprensibile che ai direttori finanziari venga chiesto di ridurre i costi. È ugualmente prevedibile che ciò avvenga tagliando i posti di lavoro. Una soluzione semplice, che molti sembrano aver scelto di adottare senza rifletterci troppo.

Secondo il servizio di monitoraggio dei dati Layoffs.fyi, nel 2023 circa 675 aziende tecnologiche hanno finora lasciato a casa 193.950 dipendenti, rispetto ai 164.591 licenziati da 1.056 aziende nel 2022.

La conta dei danni

Osservando la situazione dall’alto della sua posizione neutrale di analista, Gartner fa notare che i licenziamenti su larga scala possono andare a discapito di ciò che sono destinati a generare: il valore per gli azionisti. I CFO sono chiamati quindi a riflettere sul loro impatto effettivo, nell’immediato e nel tempo.

A breve termine si può affermare che i licenziamenti hanno un costo iniziale non indifferente. L’azienda che li compie, è infatti costretta a sostenere i pagamenti per la liquidazione ma, soprattutto, a riorganizzarsi con i dipendenti rimasti, senza che ciò minacci la propria business continuity.

Nel tempo, un imponente taglio di personale provoca altre complessità non banali da affrontare, sia per le big che per le PMI. Ogni realtà si troverà infatti a pagare degli eventuali fornitori e ad accettare le richieste di aumento di retribuzione da parte dei dipendenti rimasti.

Secondo Gartner, i risparmi iniziali in genere vengono “annullati” nel giro di tre anni proprio per via di questi meccanismi di reazione. Anzi, nel lungo termine potrebbero trasformarsi in un peso sui rendimenti degli azionisti.

Sempre guardando a un futuro più lontano dell’anno in corso, dal punto di vista strategico i tagli di personale sembrerebbero essere imprudenti e poco lungimiranti. Quando il commercio riprenderà, le aziende dovranno riassumere e, molto probabilmente, saranno costrette ad accertare di farlo a tassi più elevati. Questo danneggerebbe anche la crescita delle attività esistenti, oltre che di quelle nuove, riducendo i guadagni a lungo termine degli azionisti.

L’unica via di uscita, secondo Gartner, resta una gestione collaborativa e trasversale di eventuali tagli di personale. Una soluzione ragionevole che vede i CFO lavorare con i colleghi dell’HR, delle vendite e dell’assistenza, per assicurarsi di contabilizzare correttamente il costo potenziale dei licenziamenti. Sarebbe l’unico modo per evitare un effetto boomerang potenzialmente letale.

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