Secondo il sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman, che ha elaborato per primo il concetto di “società liquida” tentando di spiegare la postmodernità, le condizioni attuali in cui le persone operano nei contesti aziendali si modificano con una velocità maggiore rispetto alla capacità delle persone stesse di consolidare procedure, metodologie ed abitudini.
IL VIDEO DI SINTESI DELLA TAVOLA ROTONDA
Abbiamo analizzato tale contesto nel corso di una recente tavola rotonda di redazione che ZeroUno ha organizzato in collaborazione con ADP.
"Noi oggi stiamo parlando di cambiamenti in corso nelle organizzazioni aziendali di carattere organizzativo, culturale e di valorizzazione delle persone, di processo ma anche di tipo architetturale e tecnologico”, esordisce Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno. “In una situazione di questo tipo, il change management continuo diventa caratteristica strategica e fondamentale; un change management che entra nell’ambito non soltanto dei sistemi informativi ma anche nel ridisegno dei processi di business. In particolare si inserisce nella riorganizzazione dei rapporti di lavoro, delle competenze e dei ruoli non tanto per ‘opportunità’, quanto piuttosto come indispensabile evoluzione per mantenere la competitività dell'impresa in un'economia globalizzata e variabile di continuo”.
“I fattori di cambiamento, o per meglio dire di rivoluzione, che negli ultimi 3/5 anni hanno impattato il mondo delle imprese – riflette Bruno Vicaretti, direttore risorse umane di Sirap – sono espressione della continua variazione dei mercati; la volatilità della domanda che ha raggiunto ormai la ‘schizofrenia strutturata’, per esempio, impone alle imprese uno sforzo enorme nella proposta di nuovi prodotti e servizi. Non solo: la costante e diffusa riduzione dei margini e quindi la ricerca di nuove nicchie di mercato o di nuove aree geografiche impattano sulla ‘riorganizzazione’ della proposta e sul time-to-market, con inevitabile impatto anche sulle persone. A queste ultime è richiesta una continua adattabilità, di tempi e disponibilità ma anche di prestazioni e competenze”.
Flessibilità per affrontare il cambiamento
“Sicuramente il contesto in cui operano oggi le aziende è fortemente cambiato” interviene Simone Bosetti, responsabile It e organizzazione di RBM Salute. “La nostra società, che opera nel ramo dell’assicurazione sanitaria integrativa in casi di infortuni e malattie, ha sentito fortemente il ‘cambio di passo’ necessario per riuscire a competere ancora in questo specifico settore di mercato. Un cambio di passo che ha avuto non pochi impatti sull’organizzazione, in tutte le sue funzioni di business e operative. Noi siamo principalmente un risk carrier, dobbiamo cioè valutare attentamente il rischio che ci portiamo in casa anche in virtù di normative molto stringenti; questo però contrasta parecchio con le dinamiche di un mercato che, se fino a poco tempo fa si concentrava solo in alcuni precisi periodi dell’anno (con i rinnovi contrattuali), oggi richiede un’organizzazione di taglio principalmente commerciale orientato con decisione alla vendita di nuovi prodotti e servizi. È evidente quindi la complessità che dobbiamo affrontare: dobbiamo, dipartimento It compreso, trovare continuamente l’equilibrio tra la rigidità di un ramo che nella gestione del rischio è soggetto a leggi e regolamentazioni rigide e la necessità di maggior elasticità per competere in contesti sempre più dinamici”.
“Senza fare troppa retorica, lo scenario oggi è davvero globale ed impattante sulle persone – interviene Fulvio Sioli, amministratore delegato di Binari Sonori -. Facciamo il 95% del nostro fatturato fuori dai confini italiani e di questi il 25% è fuori Europa. Operiamo su tre differenti ‘time zone’, quindi ci siamo dovuti adattare a orari di lavoro molto diversi; inoltre abbiamo deciso di mantenere al nostro interno le ‘teste pensanti’ e di avvalerci di numerosi collaborazioni esterne sparse tra Europa ma anche Tokyo, Los Angeles e altri paesi. Siamo perciò una vera impresa “liquida” all’interno della quale il problema del change management è molto sentito perché il continuo cambiamento va affrontato, nel nostro caso, attraverso sistemi di flessibilizzazione delle attività delle persone. Ricorriamo al telelavoro dal quale abbiamo avuto molti ritorni in termini di produttività e collaborazione; ma flessibilità non deve essere sinonimo di anarchia: serve necessariamente un governo strutturato, un contenitore solido che fissi delle regole alla liquidità”.
Flessibilità efficace: serve la governance
Concordano con la necessità di maggior flessibilità nei rapporti di lavoro come elemento di flessibilizzazione dell’impresa stessa anche Carlo Wolter, amministratore delegato di Tecnimex e Filippo Florio, direttore del personale di Class Editori che, però, sottolineano l’assoluta necessità di un sistema di governance e controllo affinché tale flessibilità possa tradursi in ritorni efficaci per il business.
“Per riuscire a muoversi in contesti molto dinamici servono organizzazioni non più a struttura piramidale ma matriciale – osserva Wolter – che non significa avere risorse tutte di pari livello, tutt’altro. Significa al contrario avere diversi team di persone che si muovono in una matrice organizzativa più snella, meno gerarchica e, quindi, con più facilità di adattamento. È naturale che anche una struttura di questo tipo richieda governance e controllo, ma soprattutto con questa struttura, a guidare non dev’essere l’autorità ma l’autorevolezza”.
“Non esiste un’impostazione organizzativa migliore di un’altra – interviene Florio – ma il sistema direzionale delle risorse umane non deve mai mancare; questo poi può essere calato all’interno di contesti differenti e, quindi, essere modellato a seconda della situazione, soprattutto può (o forse sarebbe meglio dire ‘deve’) essere frutto di una collaborazione diretta con le varie funzioni aziendali”.
Anche Roberto Poggi, direttore generale di Don Gnocchi Sistemi, parla di necessità di controllo ma “quando si parla di interventi aziendali che impattano sulle risorse umane – afferma – le imposizioni hanno effetti quasi sempre dannosi. Per vincere le resistenze al cambiamento, l’unica cosa da fare è suggerire la sperimentazione, provare con progetti pilota in modo che, in caso di successo, siano le persone stesse a trasferirne il valore e l’esperienza positiva ai colleghi”.
“I contesti di dinamicità e flessibilità che abbiamo analizzato – osserva Nicola Uva, business development director di ADP Italia – hanno portato le aziende ad avere relazioni con il mercato piuttosto deboli, non durature. Attenzione però: legami deboli non necessariamente è sinonimo di legami superficiali, tutt’altro. I legami (interni ed esterni alle aziende) sono diventati deboli per via del contesto globale di mercato ma possono essere efficaci e produttivi grazie al supporto delle tecnologie. Noi vediamo nelle aziende un’interessante ‘decentralizzazione del processo di gestione delle Hr’: significa che tale processo non è più confinato all’interno della direzione Hr ma coinvolge direttamente le persone (interne ed esterne). In teoria, il nostro cliente finale, non è il direttore Hr ma sono le persone che possono trarre beneficio dall’impego delle nostre tecnologie. Naturalmente serve la visione d’insieme e il governo del processo, che spetta sempre al direttore Hr, ma l’efficacia si raggiunge con il coinvolgimento collaborativo di tutte le risorse, soprattutto laddove parliamo di tecnologie finalizzate alla valorizzazione dei talenti o all’incentivazione del ruoli”.
Il ruolo delle tecnologie
L'infrastruttura tecnologica a supporto della trasformazione che stanno vivendo le aziende deve essere modellata per facilitare l’adattabilità delle competenze alla dinamicità delle imprese e alla variabilità del mercato. Gli elementi in gioco riguardano la gestione dei nuovi rapporti di lavoro, il reclutamento delle persone, l’identificazione e valorizzazione dei talenti, che, ancora una volta, possono trovare nelle infrastrutture tecnologiche e nelle soluzioni Web alcune risposte concrete.
“La tecnologia deve oggi più che mai calarsi in una serie di contesti intangibili rispetto ai quali soltanto la capacità di governo crea le condizioni affinché tali progetti producano valore di business; quello delle risorse umane è uno di quegli ambiti nei quali davvero se si riesce a intervenire nel merito di una gestione efficace rispetto alle strategie di business, si ottengono vantaggi diretti sulla capacità competitiva dell’azienda”, interviene Uberti Foppa.
“Il miglior innovatore è colui che utilizza meglio ciò che già esiste”, afferma Paolo Brossa, sales manager – new market national account di ADP Italia. “La nostra focalizzazione, perciò, è orientata verso la proposta di soluzioni che diano alle aziende la possibilità di esplorare nuovi scenari attraverso una miglior gestione delle risorse umane, trovando quindi risposte in sistemi di analisi e controllo per l’identificazione dei talenti, per la valorizzazione delle competenze, per la collaborazione e la condivisione, ecc,”.
“Se una volta le aziende avevano una definizione di confine e di metodo molto certa è chiaro che negli ultimi anni gli elementi di contaminazione sia all’interno dell’impresa sia nel rapporto tra questa e il mercato sono stati inevitabilmente accelerati da tecnologie di collaboration e social network che riescono a dare quel valore differenziante nel momento in cui si riescono a governare e ottimizzare in rapporto a una strategia d’impresa”, aggiunge Uberti Foppa.
“Noi abbiamo introdotto strumenti nuovi di collaborazione e condivisione attraverso dei portali aziendali e l’introduzione di sistemi e device mobili che hanno portato alla creazione di vere e proprie community all’interno dell’organizzazione”, porta ad esempio Florio. “Il risultato è una migliore comunicazione interna (con uno scambio più veloce di informazioni) raggiunta per altro con una diminuzione delle riunioni tra team”.
“Nel nostro caso – interviene Wolter – sono stati i clienti stessi a farci capire che servivano strumenti nuovi per operare sul mercato. Strumenti tecnologici sicuramente innovativi e di valore (digitalizzazione documentale, collaboration, mobile, ecc.) ma che devono essere inseriti nel contesto aziendale in modo adeguato, tenendo conto anche di elementi quali la sicurezza e la protezione dei dati. Certo è che la velocità di risposta (se non addirittura la proattività) verso il mercato, rende l’uso di queste tecnologie ormai pressoché indispensabile”.
E per entrare nel merito delle soluzioni specifiche per la gestione delle risorse umane, Wolter identifica in quelle abilitanti la collaborazione e la condivisione di informazioni/progetti, nonché l’analisi delle competenze per l’identificazione dei talenti più adeguati ad un ruolo o a un progetto, le soluzioni più efficaci in termini di produttività aziendale e vantaggio competitivo.
A chiusura della tavola rotonda la riflessione focalizza inevitabilmente l’evoluzione del ruolo dell’It “non tanto quanto ‘integratore’ di nuovi sistemi e implementatore delle soluzioni richieste dalle persone o dal direttore delle risorse umane – precisa Bosetti -, quanto, piuttosto, come perno di una ‘triangolazione’ che vede vendor, It e Hr ‘fare squadra’ per modellare processi e tecnologie in funzione del cammino che dovrà affrontare la propria azienda”.