Tra le nuvole

Pubblicato il 15 Giu 2011

Avete visto quel bel film, “Tra le nuvole” appunto, con George Clooney nei panni del tagliatore di teste? Sarebbe interessante discutere un po’ con voi a proposito dello straordinario esempio di nemesi che ha visto l’informatica passare da falce tecnologica per la riduzione del personale a coltello per fare harakiri.Be’, rilassatevi! L’argomento del giorno non è la ristrutturazione (!) del personale It, ma qualcosa di meno traumatico, il nuovo Sacro Graal del nostro settore: il Cloud computing e il suo impatto sulla nostra vita professionale.
Devo confessare che questa periodica rincorsa alla ricerca della soluzione di tutti i nostri problemi mi ha sempre dato un po’ fastidio, dai tempi remoti della Saa (Ibm chi se la ricorda?) a quelli più recenti della Soa, ma almeno in questo caso cambiamo vocale, sperando di cambiare anche i risultati.
Dunque il Cloud, come lo si affronta?
Un individuo razionale dovrebbe porsi un certo numero di domande, cominciando col chiedersi cos’è, per passare poi a che tipo di benefici può portare e soprattutto a chi, ma senza trascurare i possibili trade-off che ogni nuova tecnologia porta inevitabilmente con sé.
Cominciamo dal primo punto: come si può descrivere il contenuto tecnico del Cloud e quali sono le sue caratteristiche essenziali? La risposta più completa e comunemente accettata è quella fornita dal Nist, che descrive il Cloud come “un modello che abilita l’accesso on demand tramite la rete a un pool condiviso di risorse di elaborazione configurabili come reti, server, storage, applicazioni e servizi, che possono essere erogate e liberate in modo rapido con contenuta attività di gestione”.
Concentriamoci invece sui concetti chiave.
On demand: utilizzo le risorse del cloud solo quando ne ho effettivamente bisogno.
Rete: significa da ogni maledetto sperduto posto possibile.
Pool condiviso di risorse: modello flessibile e non proprietario.
Contenuta gestione: velocità di risposta, sicurezza nell’erogazione, costo misurabile e contenuto.
È evidente l’efficacia di questa definizione, soprattutto a livello commerciale.
In fondo, il sogno di ogni Ceo è riassunto diabolicamente nei concetti insiti nel Cloud: un “pay per use” spinto con caratteristiche di flessibilità ed economia, un’alternativa all’It inefficiente che non arriva mai in tempo ma in compenso costa sempre troppo; inoltre il passaggio da Opex a Capex può essere interessante sul piano finanziario, senza contare l’ulteriore potenziale riduzione del personale It (ci risiamo!).
Ma è proprio così, o dobbiamo farci qualche altra domanda e darci qualche risposta?
Allora scendiamo di livello, qualche nuvola più in basso, e andiamo ad analizzare come si traduce in pratica il concetto di Cloud. Riprendo in parte a questo scopo la chiara rappresentazione fornita di recente durante uno degli Executive Dinner di ZeroUno dal Prof. Mainetti del Politecnico di Milano.
La torta del Cloud si può dividere in tre strati: quello più basso è costituito dalle caratteristiche essenziali, già descritte in precedenza; quello più alto dal modello di delivery (privato, pubblico, ibrido) e lo strato intermedio dal modello di servizio (IaaS, PaaS, SaaS), che ne costituisce il motore abilitante.
Le caratteristiche essenziali sono assiomatiche e il modello di delivery è una scelta legata a molteplici fattori, ne parleremo in seguito, ma il modello di servizio è essenziale, se non funziona tutto il castello crolla, quindi scendiamo ancora un po’, posiamoci sullo stratocumulo formato da IaaS, PaaS e SaaS e guardiamo da vicino l’effettivo livello di maturità della proposta.
Cominciamo dallo IaaS: è indubbiamente lo strato più maturo e il meglio presidiato; già da tempo le strutture It (clienti o service provider) hanno imboccato il percorso della virtualizzazione delle risorse infrastrutturali e del sistema operativo di base. Aziende come Emc2, Citrix, VMware forniscono prodotti affidabili e visto che i vituperati Cio, diciamocelo, non sono fessi, il livello di pervasività delle soluzioni è già molto alto.
Tutto merito del Cloud? Mi pare un caso di millantato credito, la genesi di quello che oggi viene definito IaaS è antecedente al Cloud, ma certamente l’interazione con gli altri strati non potrà che migliorare l’offerta.
Da questo lato quindi, stiamo tranquilli.
Passiamo al SaaS: e qui cominciano i dolori.
Cerchiamo di essere onesti: la scarsità di soluzioni in quest’area confina momentaneamente il SaaS a poche nicchie di mercato, l’area cosiddetta Ccc (Content, Communication e Collaboration : tradotto vuol dire posta elettronica, video comunicazione e Crm “light”). Nessuna delle grandi applicazioni Business è oggi pronta per essere erogata in questa modalità, al più si assiste a qualche tentativo di integrazione marginale con servizi non critici.
Le ragioni sono molteplici.
– La base installata di software applicativo è così estesa che il costo del cambiamento verso la SaaS sarebbe inaccettabile, almeno in tempi brevi.
– Le applicazioni Business sono mediamente cablate sui processi aziendali: ditemi ad esempio qual è l’utente Sap che non ha personalizzato il pacchetto.
– I produttori non hanno ancora definito una politica di licensing accettabile, anche perché temono che il Cloud costituisca una minaccia per le loro decennali rendite di posizione
– Esistono forti vincoli normativi e legali per la rilocazione esterna/estera di dati e applicazioni
– Le tematiche di sicurezza non sono ancora completamente risolte
– Le stesse applicazioni non sono ancora state ridisegnate in ottica Soa, e in ogni caso il middleware utilizzato non è trasparente rispetto ai servizi
Tirando le fila, questa è un’area a lenta evoluzione per le strutture informatiche medio/grandi, mentre può essere interessante da subito, offerta permettendo, per chi parte da green field.
Infine la PaaS, e qui, per dirla con Mao Tse Tung, “Grande è la confusione sotto il cielo, e dunque tutto è stupendo”.
Stupendo? Ovviamente è vera solo la prima parte, sulla seconda ho qualche fondato dubbio.
La prima considerazione è che l’offerta PaaS oggi è confusa, immatura, più nebbia che nuvola, con troppi players che affollano l’arena competitiva, perché è chiaro a tutti che non si tratta di fornire quattro servizi in croce, ma di disegnare il sistema operativo esteso dei prossimi anni, quello che sostituirà o integrerà l’attuale piattaforma Microsoft o Ibm.
Se l’offerta finora è stata presidiata da players di nicchia, da Telcos o venditori di altri servizi, come ad esempio Amazon, adesso stanno arrivando i big del settore, che hanno dalla loro parte non solo la potenza economica ma tutto il background tecnologico e culturale per la gestione dei sistemi complessi.
Nel laghetto della PaaS stanno arrivando di corsa gli elefanti che hanno appena attraversato il Kalahari tecnologico, e si faranno spazio calpestando le creature più piccole già sul posto.
In sintesi: non aspettiamoci approcci sofisticati: sono disponibili servizi ancora rozzi e soluzioni non standard, ma se le applicazioni non sono troppo critiche si può anche pensare di provare.
Brevemente poi sul modello di delivery: il Cloud Privato ha senso solo per le grandi organizzazioni, che hanno capacità d’investimento iniziale e competenze tecniche per implementarlo senza rischi; tuttavia il focus sarà soprattutto sulla componente infrastrutturale, per aumentare la flessibilità e la rapidità di delivery, ma il dimensionamento complessivo dovrà essere comunque in grado di assorbire le punte senza patemi. Per quanto riguarda le applicazioni, non credo che questa fase economica consenta grandi cambiamenti.
Il Cloud Ibrido è invece un’interessante proposta per chi ha problematiche di picchi di carico molto variabili, ad esempio il settore trasporti o la grande distribuzione. Portare da un provider esterno le applicazioni che gestiscono la stagionalità, o parte di esse, può essere effettivamente una strada che consentirebbe una gestione efficace ed efficiente, ma il trade-off del sincronismo operativo è tutt’altro che trascurabile.
Infine il Cloud Pubblico: per un paese come il nostro potrebbe essere una leva enorme di modernizzazione. La struttura del nostro sistema economico è a cuspide, non a piramide, e la base è costituita da piccole e medie aziende che nello strato più basso hanno un livello di automazione insufficiente se non inesistente. Gli ostacoli all’ammodernamento sono di vario tipo: economici certo, ma soprattutto tecnico-gestionali, con scarsa capacità di autonomia nel problem solving. Fornire a basso costo soluzioni di qualità a questo strato, con un buon livello di assistenza remota, potrebbe consentire una forte crescita del mercato dell’offerta ma soprattutto un miglioramento competitivo delle nostre aziende manifatturiere.
Anche in questo caso però non vanno trascurati gli ostacoli: le reti ad alta velocità avanzano con lentezza, per ragioni ben note di scarsità di fondi (e di regia politica…), i servizi di assistenza per i clienti devono essere opportunamente dimensionati per reggere i volumi prospettici, ecc. Non va ignorato l’aspetto culturale: affidare le informazioni aziendali all’esterno genera paure spesso immotivate, ma comprensibili in un paese che ha una delle più alte evasioni fiscali fra i paesi industrializzati.
Cosa dobbiamo aspettarci quindi dal Cloud? Per gli utenti la risposta è già presente nel modello di delivery, e potrebbe davvero generare un grande cambiamento a livello soprattutto della fascia più bassa delle nostre aziende; ma per i fornitori? Si prepara davvero una nuova era? Ho parecchi dubbi.
Credo vi siano buone opportunità per alcune grandi aziende che tradizionalmente gestiscono servizi di Outsourcing, e TelecomItalia potrebbe ad esempio davvero avere un ruolo centrale in questo mercato, se riuscirà a scrollarsi di dosso l’atteggiamento da monopolista che ancora la pervade, ma dalla sua ha la leva della rete, che non è poco. Il resto lo dovrà fare l’intelligenza del management.
I produttori software sono quasi tutti stranieri che operano sul mercato globale, non vedo quindi possibilità di successo per le nostre poche aziende del settore.
E i fornitori di servizi? Per la spina dorsale del settore It italiano il Cloud porterà probabilmente ad un cambio di skill mix necessario per operare nel nuovo contesto tecnologico, ma non credo vi sia la possibilità di una forte crescita, probabilmente si assisterà ad un contenimento della caduta della domanda (soprattutto nei prezzi) e ad un ribilanciamento delle revenues fra sviluppo e manutenzione. Come sempre in questi casi alcune società avranno successo nel fornire servizi ad alto valore aggiunto su nicchie tecnologiche, ma senza cambiare drasticamente le prospettive del settore.
Credo che i problemi che da anni caratterizzano il segmento It non troveranno soluzione nel Cloud ma andrebbero risolti piuttosto a partire dalla eccessiva frammentazione delle nostre aziende.
Ma questo, come sapete, è un altro film.

* = Marco Forneris è un professionista che opera nel campo dell’informatica e dell’organizzazione dagli anni ’70.
Laureato a Torino, ha insegnato nella locale Università per un paio d’anni prima di cominciare la sua carriera in Olivetti.
Ad inizio degli anni ’80 ha fondato insieme ad alcuni ex compagni di corso una delle più importanti società italiane nell’ambito dell’automazione industriale, ceduta in seguito ad una multinazionale francese per la quale ha ricoperto importanti incarichi in Europa.
È stato successivamente Chief Information Officer di: Il Sole 24 Ore, Assicurazioni Generali, Gucci, Fiat e Telecomitalia.
Attualmente si occupa di Merge&Acquisition e Business Development per aziende di Information Technology, per Private Equity e per Banche d’affari.

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