Intervista

Trasformazione digitale? L’Italia manca di competenze Stem

Il presidente e amministratore delegato di Fujitsu Italia, Bruno Sirletti, individua le particolari difficoltà del nostro paese nell’affrontare le sfide della digital transformation, e parla di come la sua società stia assecondando la migrazione delle imprese verso gli ambienti multicloud

Pubblicato il 12 Giu 2018

Foto di Bruno Sirletti

Ci sono quattro pilastri, importanti per tutte le organizzazioni, su cui impiantare la trasformazione digitale, sintetizzabili nel circolo virtuoso che Bruno Sirletti, presidente e amministratore delegato di Fujitsu Italia, chiama ‘people-action-collaboration-technology’, e fa parte della visione illustrata al recente Fujitsu World Tour di Milano.

I dati indicano che, in generale, questi trend nel nostro paese sono abbastanza simili al resto d’Europa, tuttavia ZeroUno prova ad approfondire con Sirletti alcuni punti in particolare: ad esempio, ci sono specifiche difficoltà che le imprese in Italia stanno affrontando per compiere la digital transformation? “Nel nostro paese c’è un problema specifico, e credo più grande rispetto agli altri paesi, sulla componente ‘people’, quindi sulla disponibilità di persone con competenze digitali. In Italia purtroppo abbiamo pochi laureati nelle discipline Stem – cioè scienza, tecnologia, ingegneria e matematica – rispetto alla Germania e ai paesi nordici. Troppo pochi gli ingegneri che escono dalle scuole italiane. Poi in Italia c’è anche il problema del tempo, spesso troppo ampio, che intercorre tra laurea e primo posto di lavoro” e ciò, dice, porta alla fuga di cervelli all’estero: “Il governo deve intervenire, perché nei lavori di domani l’Italia avrà bisogno di figure professionali chiave, come i data scientist e gli esperti d’intelligenza artificiale”. In Italia permane anche un divario tra piccole e medie aziende e grandi imprese: ”Queste ultime, tramite stipendi e prospettive di carriera più allettanti, riescono ad attrarre la maggioranza delle competenze digitali disponibili nel nostro paese”.

Transizione multicloud, gli strumenti per favorirla

Altro tema nodale è come Fujitsu sta affrontando la transizione delle organizzazioni verso strategie multicloud, perché, anche qui, i dati indicano che le imprese cercano ora di prendere ciò che ciascuna nuvola ha di meglio da offrire: “Oggi tutte le grandi aziende si appoggiano su cinque, sei cloud diversi, con alcuni servizi in modalità SaaS, altri in PaaS, altri ancora in IaaS. In questo spazio dell’orchestrazione di cloud stiamo facendo leva su due componenti: una è la fornitura di servizi di gestione multicloud attraverso personale in grado di gestire tale complessità; l’altra è la fornitura di tecnologie sviluppate da Fujitsu stessa, come UForge AppCenter”, una piattaforma software che permette di automatizzare con facilità distribuzione e migrazione delle applicazioni attraverso diversi cloud e data center.

Fujitsu sta poi indirizzando le esigenze di sviluppo di applicazioni Internet of Things, investendo in settori che vanno dagli impianti industriali, alle supply chain del mondo retail, ai sistemi per creare sicurezza sul posto di lavoro: “Utilizzando i dispositivi ‘wearable’ si può sapere non solo dove si trova una persona in un preciso momento, ma è anche possibile rilevare parametri come il battito cardiaco, o l’accelerazione di un corpo in caduta”. E ciò riveste grande utilità per la sicurezza fisica degli addetti, per esempio in stabilimenti di grandi dimensioni come le raffinerie, dove gli operatori d’impianto fanno turni notturni e, in caso di infortuni, la rilevazione dell’incidente e i relativi soccorsi possono spesso arrivare con notevole ritardo.

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