Un coraggio da leoni

Pubblicato il 29 Giu 2011

stefanoubertifoppa70

Mettetevi comodi e questa volta leggete questo editoriale come se stessimo sorseggiando insieme un brandy davanti al caminetto. Quindi…”parole in libertà” e “riflessioni esistenziali”. Oggi parliamo del coraggio. Abbiamo ormai di fronte a noi tantissimi segnali della necessità di essere oggi più coraggiosi di ieri, di guardare al nuovo senza l’ansia paralizzante del cambiamento ma con una mentalità orientata al domani come a un’opportunità, abbattendo steccati, comprendendo e integrando le differenze, creando e costruendo alternative da una nuova prospettiva, quella della partecipazione e del confronto.

Provate a pensarci: a quanti di noi si adatterebbero bene queste parole? Praticamente a tutti: Cio e sistemi informativi, top manager, giovani, politici, artisti e tantissime altre categorie professionali nonché, probabilmente, al proprio modo di essere individuo.
È quindi sul tema del coraggio che vi invito alla “riflessione da caminetto” con questo editoriale. Vi ricordate Nanni Moretti, in Ecce Bombo, i dubbi di Michele circa la sua presenza ad una festa? “Ma secondo te: mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”. Già allora (1978) la critica era alla tendenza, in ognuno di noi e indipendentemente dalle difficoltà del contesto (e quegli anni erano abbastanza…”turbolenti”) a porre davanti a tutto il proprio io, valorizzando al massimo, in rapporto all’ambito in cui ci si trova ad operare, la propria identità professionale e culturale. Siamo sicuri che oggi sia ancora opportuno questo approccio? Ha ancora senso guardare soltanto al proprio universo, ribadire l’assolutismo delle proprie competenze piuttosto che sperimentare la validità di una forma di coraggio “trasgressivo”, di contaminazione e di vista laterale rispetto al conosciuto?
Prendiamo ad esempio la nostra Storia di Copertina sulla Cio Transformation. Di questa figura professionale, il nostro focus editoriale di riferimento, da anni si discute del percorso di trasformazione in atto verso competenze più relazionali e di business; verso la necessità, per il responsabile dei sistemi informativi, di saper interpretare il cambiamento, sia esso proveniente da nuovi contesti competitivi (nuovo business, nuovi mercati) sia interno all’azienda (nuove esigenze degli utenti, nuove capacità di risposta da parte dei dipartimenti It agendo su organizzazione e processi). Nella nostra cover troverete, attraverso una serie di “interviste eccellenti”, le differenti “viste”, i molteplici percorsi che questo complesso cambiamento sta comportando. Cosa c’è dietro tutto questo nel momento in cui dalla discussione teorica si passa all’azione? Il coraggio. Il coraggio di guardare alla nuova complessità da una prospettiva diversa, che non può più comprendere soltanto gli schemi, le competenze, le conoscenze e le persone che hanno popolato il nostro caro, sicuro, antico mondo, ma che devono essere ricercate necessariamente nel nuovo, nel non conosciuto, nella volontà di rompere schemi organizzativi, linguaggi formali, adottando prospettive temporali non soltanto di breve termine e più sicure ma comprendere anche impostazioni strategiche di lungo periodo, sulle quali oggi non è facile avere certezze. Accettare, insomma, con coraggio la scommessa. Solo così, nella variabilità e nella sfida di un mondo che sta cambiando sotto tutti gli aspetti (economici, sociali, culturali, geografici, politici) si potrà trovare un nuovo equilibrio per la propria persona e per la propria funzione professionale. Ma serve coraggio! Serve sperimentare, creare un disegno strategico di cambiamento, trovare skill e persone adeguate riconvertendo, con fatica, quelle a disposizione; conquistarsi potere e leadership. È il momento, bisogna provarci.
Guardate cosa sta accadendo nella sfera politica, soltanto limitandoci a quella italiana. È innegabile che il cambiamento si sia messo in moto. Schemi tradizionali e schieramenti stanno trasformandosi alla ricerca di nuovi equilibri accelerati (e spinti, come sempre accade in democrazia, dal voto popolare) da una nuova visione sociale che nasce dall’insofferenza di non avere avuto risposte. Risposte sul piano economico, occupazionale, di innovazione, di riforma, ma anche sul piano morale e di capacità di prospettiva e sviluppo. In una parola? Coraggio. Quelle che noi identifichiamo sempre come “chiacchiere da bar” quando si parla di politica, diventano, ad un’analisi più approfondita, dinamiche di cambiamento sociale alle quali bisogna dare risposte politiche. Se ciò non avviene, se non si ha il coraggio di cambiare e di capire il cambiamento…si paga.
Stesso rischio avviene nel nostro settore. Se l’Ict rappresenta una delle leve più straordinarie per garantire, trasversalmente ai diversi segmenti merceologici e alle aziende, una capacità di innovazione, possiamo dire che il coraggio di sfruttare sino in fondo questa leva è finora venuto a mancare: sia negli imprenditori sia nel governo (questo e in quelli passati). Nel primo caso perché, ancora oggi, l’innovazione delle imprese italiane stenta a comprendere tra i propri strumenti principali, oltre alla abusata “fantasia tricolore”, le tecnologie Ict come fattore moltiplicatore della creatività italiana e risorsa per allinearsi, strutturalmente, alle aziende di altri paesi. Le nostre imprese, soprattutto le Pmi, sono in buona parte (non tutte, certamente) ancora oggi a chiedersi: “cosa mi serve investire in It? Non è meglio mettere i soldi soprattutto nelle macchine di produzione? E se proprio devo, il server lo voglio qui, sotto il tavolo, dove posso controllare i dati, altro che cloud computing! Anzi: cos’è ‘sto cloud computing?”. Certo volutamente stiamo banalizzando. Ma perché è ancora oggi attuale questo stucchevole dibattito sullo scarso livello culturale, tecnologicamente parlando, delle nostre aziende? Perché c’è stata scarsa volontà di conoscere e confrontarsi con il nuovo; “vendor-pirateria” degli anni passati; pancia piena (di quando l’economia andava a gonfie vele”) ma anche…mancanza di coraggio, il coraggio di capire che è necessario cambiare.
Nel secondo caso, il governo,…i fatti sono sotto gli occhi di tutti. Quante volte abbiamo sentito l’attuale ministro dell’EconomiaTremonti affermare il valore di aver mantenuto un rigore sui conti, cosa che ci ha permesso di superare meglio di altri paesi l’ultima crisi? Certo in piena crisi l’Italia, nel confronto europeo, faceva un figurone (grazie anche alla propensione al risparmio degli italiani che non ha creato, negli anni, una significativa esposizione debitoria delle famiglie, unitamente ad una significativa stabilità sociale legata alla proprietà immobiliare diffusa). Adesso però che le altre economie si sono messe a marciare nuovamente, esce con drammaticità nelle principali classifiche dei paesi sviluppati tutta la nostra carenza infrastrutturale (se parliamo di Ict possiamo ad esempio pensare alla banda larga e al livello delle nostre telecomunicazioni in genere sul nostro territorio, senza considerare l’aspetto tariffario), immobilismo sulle riforme chiave, mancanza di una politica economica che sappia mettere accanto al rigore sui conti anche una capacità di rilancio e innovazione. Un’azione che tuttora manca. Perché? Mancano le competenze? Non crediamo proprio. Certamente manca il coraggio di mettersi in gioco politicamente, cioè pensare al rilancio del Paese in una visione di medio-lungo periodo, svincolata dal tornaconto elettorale (quando non personale). Ma il cambiamento, stiamo vedendo, è arrivato anche qui.
Avete visto? Ve l’avevamo detto che erano “chiacchiere in libertà”. Il fuoco nel caminetto sta spegnendosi e vi lasciamo, come sempre, alla buona lettura di ZeroUno. Alla prossima e…coraggio!

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