Value Search: credential check nell’era dell’identità digitale

Nello scegliere nuove risorse, oggi è pratica comune verificare il profilo dei candidati su Internet e social media. Ma cosa vogliono sapere le aziende italiane e internazionali che ricercano figure di alto livello? L’esperienza di un’azienda specializzata nella ricerca di profili executive.

Pubblicato il 24 Ott 2013

Nella fase di selezione di nuove risorse, è ormai prassi diffusa, per molti uffici del personale, navigare in Internet con l’obiettivo di ricostruire il ‘volto digitale’ del candidato, che andrà ad affiancare l’immagine presentata dallo stesso aspirante durante i colloqui di lavoro e i canali di comunicazione più tradizionali, influenzando la scelta a volte in modo determinante.

Ne abbiamo parlato con Giovanna Brambilla e Caterina Tortorella, rispettivamente amministratore delegato e practice leader per il settore It/Tlc di Value Search, società di executive search che ricerca figure di alto profilo sul mercato italiano e internazionale. “È necessario fare molta attenzione alle tracce che si disseminano sul digitale – ha detto Brambilla -. Sempre più aziende ci chiedono infatti di ricostruire non solo la storia professionale dei candidati – il che può essere effettuato sulla base di curricula e colloqui diretti -, ma anche il loro profilo digitale, quello cioè tracciato dalle informazioni presenti in rete, spesso pubblicate direttamente dal candidato sui social network”.

Giovanna Brambilla, Amministratore Delegato di Value Search

Non solo: “Alcuni illustri clienti – prosegue Brambilla – ci hanno richiesto esplicitamente quali sistemi utilizziamo per effettuare credential check [da intendersi come il controllo delle informazioni rilasciate dai candidati in rete col fine di verificarne la veridicità, ndr]”. Una richiesta che, come spiega l’amministratore delegato, da un lato ribadisce l’interesse crescente per la mappatura delle informazioni rintracciabili su social network, blog e rete in generale, ma che dall’altro racconta della necessità, una volta mappata questa identità digitale, di andare al di là di questo stesso volto, di metterlo in discussione: quanto sono attendibili queste informazioni? Quanto raccontano del reale valore professionale di un candidato? “Si tratta, così abbiamo ribattezzato il tema, di ‘andare oltre lo specchio di Alice’ – afferma Brambilla -, cioè di superare l’immagine digitale, capire cosa c’è al di là, conoscere i vari volti che il web offre di uno stesso candidato (creati dal riflesso della sua immagine in più ‘specchi digitali’) e quindi studiarli per poi superarli, per capire qual è la persona”.

Caterina Tortorella, practice leader per il settore It/Tlc di Value Search

Se il problema delle aziende è dunque quello di scoprire che verità c’è dietro lo ‘specchio di Alice’, quello dei candidati è essere consapevoli che pure questo specchio esiste ed è oggetto di analisi. “Internet crea degli effetti paradosso – racconta Tortorella -. Ad esempio, se un candidato si dichiara fortemente interessato a una posizione in un’azienda produttrice di armi e allo stesso tempo si dichiara buddhista e contrario all’uso della violenza, il mio imbarazzo è forte: si tratta di dati sensibili resi pubblici dal candidato stesso, il quale mi ha anche autorizzato al loro utilizzo. Come devo gestirli? Come devo presentare queste informazioni al mio cliente?”. Si è molto parlato di tutela della privacy in rapporto ai dati personali sul web e alle violazioni che possono essere fatte da parte dei governi, per ragioni di sicurezza, o delle aziende, per finalità commerciali. Ma esiste appunto un'altra riflessione: “Il paradosso – conclude Tortorella – è che gli stessi candidati, lasciando queste tracce sul digitale, ‘confliggono’ con la propria privacy”: anche in casi meno eclatanti di quello citato, la poca coscienza dell’attenzione posta sull’identità digitale può rendere l’utente, in fase di ricerca di lavoro, il “peggior nemico di se stesso”.

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