Chi fa il mestiere di professional It si trova in un momento di trasformazione sconvolgente, determinato dalla democratizzazione dell’It, dalla digitalizzazione pervasiva che ha cambiato il mondo. L’It come l’abbiamo conosciuta fino a qualche anno fa non esiste più”, esordisce così Daniele Rizzo, Chief Information & Bpo Europe di Autogrill e Presidente del Comitato di Programma Incontri Ict 2015 di Finaki, nel salutare i partecipanti alla Tavola Rotonda che si è svolta all’inizio di ottobre a Roma nell’ambito del Progetto Finaki-ZeroUno-NetConsulting dal titolo “Connected Community. C’è un modo diverso di fare impresa e Pa in una società digitale integrata?”. E Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno, aggiunge: “È un momento che impone alle imprese una riflessione, un cambiamento del loro modello di business dove non è più sufficiente realizzare nuovi prodotti e nuovi servizi, il nuovo deve coniugarsi con innovativo; ciò significa mettere in primo piano questa pervasività della digitalizzazione, che inevitabilmente porta a un ripensamento della funzione It”.
Agire in un contesto di digitalizzazione pervasiva vuol dire appartenere a pieno titolo alla connected community, una comunità fatta di attori diversi; non solo quelli che tradizionalmente ruotano intorno all’impresa, ossia clienti, partner, fornitori e dipendenti, ma la società nel suo complesso, fatta di mondo della ricerca, delle università, delle startup e della pubblica amministrazione. “Dobbiamo cercare di capire se le aziende e la Pa stanno effettivamente percependo un processo di trasformazione che è sì tumultuoso, ma che deve essere convogliato in un processo organico. Il cambiamento avviene trasversalmente in tutto il paese; non possiamo permetterci che le aziende procedano nel loro processo di digitalizzazione senza il coinvolgimento della Pa nel supporto, nella messa a disposizione degli strumenti abilitanti questo processo. E bisogna anche capire in quale modo i vendor possono intervenire in questo complesso contesto”, ha aggiunto Uberti Foppa rivolgendosi ai rappresentanti dell’Agid, ai numerosi Cio della Pa e ai vendor presenti in sala.
Sottolinea le parole chiave del titolo dell’incontro, “c’è un modo diverso di fare impresa e Pa”, Giancarlo Capitani, Presidente e Amministratore Delegato di NetConsulting: “Bisogna partire proprio da queste parole perché un modo diverso c’è: con il digitale. Il direttore di ZeroUno ha chiarito molto bene cosa significa per le imprese e io aggiungo che per quanto riguarda la pubblica amministrazione questo significa rivedere i processi, rivedere pesantemente le competenze, ma soprattutto poter fare affidamento su una regia che governi realmente il cambiamento e su un framework normativo che consenta di agire in modo organico”. E si chiede provocatoriamente: “Esiste ancora l’Agenda Digitale? E ancora, quali sono gli elementi di continuità e discontinuità tra le due direzioni, quella di Agostino Ragosa e quella di Alessandra Poggiani, che si sono succedute in questi due anni?”.
Reinventare il servizio
Dal Digital Agenda Scorecard 2014 pubblicato nello scorso maggio dalla Commissione Europea, basato sui dati 2013 e che analizza le 101 azioni previste dall’Agenda Digitale europea, risulta che solo il 21% degli italiani utilizza servizi di e-government contro una media europea del 41%. Nel cercare una spiegazione a questo gap, Francesco Pirro, Direttore Area Pareri di Agid, dopo avere compiuto una sincera autocritica, riconoscendo che la mancanza di una visione di sistema, il fatto che le diverse amministrazioni si muovano in modo autonomo e una governance complessa sono tra le principali cause, sostiene che non è solo questo a determinare questa grande distanza con gli altri paesi europei: “Il problema è che non ci siamo messi nell’ottica di re-inventarci.La digitalizzazione della società è una grande opportunità, ma quello che noi abbiamo fatto è stato semplicemente digitalizzare l’esistente invece di ripensare completamente il servizio”.
Rendere più efficiente la macchina (e anche questo, aggiungiamo, a macchia di leopardo dove i margini di miglioramento sono ancora ampissimi) cercando di ottimizzare i costi: è quanto sta compiendo la Pa attraverso la digitalizzazione, percorrendo una strada che le imprese hanno intrapreso da tempo. Manca però il passo successivo, quello sul quale le aziende si stanno oggi impegnando: ripensare i processi ponendo il cittadino (il cliente per le aziende) al centro della definizione del servizio.
Pirro precisa che i progetti sui quali l’Agid si è impegnata si stanno portando a compimento, ma sottolinea come si sarebbe potuta cogliere l’opportunità per riorganizzare l’Agenzia basandosi sugli elementi abilitanti la trasformazione in corso e costituendo delle aree di attività (mobility, big data, cloud, security) da incrociare con le esigenze dei cittadini, delle imprese, della Pa locale. Un’impostazione di questo tipo avrebbe potuto forse meglio supportare una ridefinizione dei processi dove cittadini e imprese siano realmente al centro.
Concorda Vittorio Carosone, Sales Director, Ca Technologies: “Così come hanno fatto le aziende , anche la Pa dovrebbe cambiare il proprio approccio e trasformarlo in ‘cittadino centrico’; bisogna rimettere mano pesantemente ai processi perché costruire un servizio digitale su un’organizzazione che non sia stata ripensata completamente è fallimentare. La Pa deve intraprendere un percorso di trasformazione ragionando su alcuni elementi imprescindibili: considerare il software come parte integrante del proprio ‘business’ e quindi acquisire competenze e know how che consentano di sviluppare servizi innovativi; costruire un’elevata esperienza utente nella fruizione dei servizi e questo significa essere in grado di misurare le performance delle applicazioni; il tutto considerando gli aspetti di security, non tanto a livello tecnologico, quanto dal punto di vista delle policy e dei processi”.
Fabrizio Virtuani, Cio di Poste Italiane, riassume quelli che, dal suo punto di vista, dovrebbero essere ruoli e responsabilità, compresi quelli dei vendor: “In un mondo ideale, il sistema politico dovrebbe indirizzare le scelte di investimento, definire le linee guida alla base dell’evoluzione della Pa, su quali aree intervenire con servizi a supporto dei cittadini e delle imprese; i comitati di esperti dovrebbero svolgere il loro ruolo di definizione dei framework di intervento; l’Agid dovrebbe avere la piena autonomia, indipendenza e responsabilità nella definizione di standard e soluzioni. Questo significa, però, fornire l’Agid anche degli strumenti normativi per imporre le scelte compiute e per disincentivare le Pa che non le perseguono. L’innovazione si diffonde anche con regole nuove che diventano norma di legge. Dall’altro lato è importante che i vendor mettano a disposizione di Agid il meglio che possono offrire, in modo che si possa utilizzare qualcosa che già esiste e sul quale altri vendor si possono poi innestare costruendo ulteriori servizi”.
Sulla capacità di sapere cogliere ciò che di meglio già esiste è totalmente d’accordo Pirro che ribadisce l’importanza della condivisione dei modelli di successo: “Scelte condivise, ma poi bisogna poter imporre il rispetto della scelta”, sottolinea Virtuani.
Regole chiare e spazio al mercato
Esprime dei dubbi sulla definizione, da parte di un organismo centrale, di linee e regole molto forti Francesco Teodonno, Direttore Digital Agenda di Ibm Italia: “Da una parte si sente l’esigenza di avere delle linee guida; dall’altra, prescrizioni molto forti, con la definizione nel dettaglio delle tecnologie, in qualche modo deresponsabilizzano il vendor che è portato a rispondere: ti do quello che mi chiedi. E inevitabilmente si finisce con l’essere misurati sul prezzo, invece bisognerebbe ragionare a livello di progetto; la Pa deve chiedere che vengano garantiti determinati livelli di servizio, ma il ‘come’ va lasciato al mercato”.
Fa un distinguo molto chiaro Mariapia Giovannini, Responsabile Area Regole, standard e guide tecniche di Agid: “Bisogna distinguere tra strategia di paese e regole tecniche di attuazione. Per quanto riguarda la strategia, bisogna decidere che alcune cose devono essere fatte e altre no, ma soprattutto bisogna colmare enormi lacune perché nel nostro paese mancano ancora dei pilastri fondamentali, mancano alcune infrastrutture di base. E un esempio è l’anagrafe digitale: è incivile – afferma la dirigente di Agid – un paese che non ha un’anagrafe nazionale; un altro è la cartella clinica digitale; non è possibile che una prognosi in formato elettronico non possa essere consultata al di fuori dei confini regionali. Il paese, nei suoi vari organismi, ha il dovere di stabilire come queste cose si devono fare affinché vi sia una visione sistemica di come si realizza una certa attività, un indirizzo comune. E un esempio, positivo in questo caso, è la fatturazione elettronica: abbiamo lavorato con tutte le amministrazioni, spronato certi mercati e creato le condizioni perché poi ciascuno trovi il suo spazio; come Agid abbiamo creato l’infrastruttura, poi è il mercato che mette a disposizione i prodotti. Ma siamo solo all’inizio, non abbiamo certo pensato a questo progetto solo per digitalizzare il processo di fatturazione della Pa; l’obiettivo è che questo standard venga utilizzato anche dalle imprese tra loro, innescando un processo virtuoso”, ha concluso Giovannini ricordando l’impegno dell’Agenzia per portare questo standard a livello europeo.
“Dalla Pa ci si aspetta che fornisca pochi servizi, funzionanti. E poi deve imporre regole di interoperabilità. Di linee guida su come realizzare certi servizi ne abbiamo viste centinaia in questi anni; i servizi devono comunicare tra loro, poi se ognuno realizza il servizio in un modo un po’ diverso non ha importanza”, afferma Luigi Russo, Account Executive di Dell, al quale si aggancia Massimo Bergamasco, Direttore Funzione Tecnologie di Infocamere: “In mancanza dei requisiti di interoperabilità definiti a livello nazionale, corriamo il rischio di avere tante isole non comunicanti tra loro”. Inoltre l’innovazione richiede una buona dose di sperimentazione e questo la Pa non se lo può permettere: “Oggi il vero trend è: inventa, sbaglia, innova. E ci sono tantissime realtà, giovani, che possono realizzare progetti veramente innovativi. Diamo loro spazio, offriamo loro le opportunità per portarli avanti”, dice Russo.
E il tempo stringe: se le infrastrutture non le crea lo Stato, presto sarà scavalcato e saranno messe a disposizione da altri, con buona pace di una visione strategica di paese, è il pensiero di Pierluigi De Marinis, Direttore Sistemi Informativi e Impianti di Anas: “Il problema è che non ci sono servizi appetibili in modo spontaneo per gli utenti della Pa; sono stati portati avanti solo servizi obbligatori. E stiamo rischiando di perdere il treno: tra poco l’identità digitale la farà Google!”.
“Costruire un’anagrafe centralizzata digitale è il primo mattone fondamentale – ribadisce Paolo Cavalsassi, Direttore Vendite di Microsoft Italia, introducendo un altro tema strategico – sul quale si possono poi costruire tanti servizi. E qui si innesta un altro importante discorso che riguarda la capacità di gestire, capire e utilizzare il dato. È sugli ultimi due aspetti che dobbiamo concentrarci; dove poi risiede il dato non ha importanza, invece in Italia abbiamo l’ansia del controllo del dato e ci preoccupiamo poco di cosa farne”.
“Quello di cui abbiamo bisogno – è il pensiero di Roberto Fontana, Marketing Director di Qlik – è anche di realizzare progetti agili, che non richiedano mesi e mesi di progettazione ed essere poi subito obsoleti una volta entrati in produzione” e, rimanendo sul tema dell’utilizzo del dato introdotto da Cavalsassi, porta l’esempio del progetto Opencivitas: “Realizzato da Sose, società partecipata da Mef e Banca d’Italia, Opencivitas è uno strumento online di esplorazione, benchmarking e simulazione dei dati dei Comuni, delle Unioni di Comuni e delle Province, raccolti ed elaborati per la determinazione dei fabbisogni standard delle amministrazioni. Lo strumento consentirà agli amministratori locali di monitorare e confrontare il fabbisogno finanziario e la performance di tutti gli enti locali italiani per individuare le strategie di gestione più efficienti per l’erogazione dei servizi. Il progetto è entrato in produzione in soli 3 mesi, sfruttando banche e flussi di dati esistenti”.
La discussione, ricca di spunti, è poi proseguita su diversi altri temi come la necessità di revisione dei sistemi di procurement (a lungo dibattuta anche nel Workshop Finaki dedicato alla Pubblica Amministrazione, vedi questo articolo) o di acquisire, da parte della Pa, le competenze necessarie non solo per affrontare i trend tecnologici via via emergenti, ma soprattutto per delineare in modo adeguato quella revisione dei processi cittadino-centrica che ancora oggi manca.